venerdì 31 gennaio 2014

Don Bosco per amico



Messa del vescovo Vérgez Alzaga per L’Osservatore Romano e la Tipografia Vaticana nella festa del fondatore dei salesiani.

Redattori, grafici, fotografi, tipografi — ciascuno con le proprie competenze — lavorano «al servizio del Papa e della Chiesa». E con la loro opera possono rendersi «benemeriti della società, della religione, e far bene all’anima», specialmente quando offrono a Dio «le quotidiane occupazioni».
Ha usato le stesse parole di san Giovanni Bosco, il vescovo Fernando Vérgez Alzaga, segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, nel rivolgersi ai responsabili e ai dipendenti della Tipografia Vaticana e dell’Osservatore Romano presenti alla celebrazione eucaristica, presieduta venerdì mattina, 31 gennaio, memoria liturgica del fondatore dei salesiani, nella chiesa di Maria Madre della famiglia, nel palazzo del Governatorato.
I ricordi personali si sono intrecciati con il commento della liturgia della Parola. Il presule ha ricordato infatti che, quando era segretario del cardinale Eduardo Francisco Pironio, frequentava spesso la comunità salesiana, con la quale il porporato argentino aveva un vincolo di ammirazione e affetto. Ha anche confidato di essere personalmente legato a don Bosco fin dall’infanzia, in quanto i suoi fratelli maggiori sono stati alunni dei collegi salesiani. Proprio grazie a loro ha iniziato a conoscere don Bosco. «La sua vita e la sua testimonianza — ha detto — continuano ad affascinarmi e in lui ho sempre trovato un padre, un maestro, ma anche un amico».
Monsignor Vérgez Alzaga ha sottolineato poi come la parola di Dio metta in risalto il messaggio che il santo dei giovani ha vissuto, predicato e testimoniato. In primo luogo «la gioia e l’affabilità che devono caratterizzare il servizio della Chiesa e di ogni cristiano verso tutti gli uomini». Per questo, la festa di don Bosco è «un soffio di aria pura e di slancio apostolico, perché egli ispira e comunica la gioia». Una gioia che nasce «da un cuore carico di amore per Cristo e per ogni persona, che trova in don Bosco un modello di vita». Siamo chiamati — ha detto il presule — «ad accogliere con serietà, vigore spirituale e pedagogico l’esempio di vita e di missione di san Giovanni Bosco, ognuno nel proprio lavoro, nello svolgimento dei propri compiti». Allo stesso tempo, ha aggiunto, «dobbiamo essere consapevoli che dobbiamo estendere la luce ricevuta con la nostra personale testimonianza».
Don Bosco, ha sottolineato monsignor Vérgez Alzaga, «in ognuno ha saputo sempre scorgere quel bene che c’era nel cuore, non valutando soltanto i comportamenti esterni, ma facendo leva su quell’appello interiore che esiste nell’animo di tutti». Purtroppo, ha aggiunto, «la nostra vita, oggi, è spesso priva dei veri valori di riferimento, di forza di testimonianza coerente, di ideali per cui impegnare la vita». Ma l’esempio di Papa Francesco, che come don Bosco, «invita tutti noi a sentirci capaci di fare cose grandi e meravigliose», permette di renderci «protagonisti in prima persona della nostra crescita nella gioia e nel costante rinnovamento della vita». Senza dimenticare l’amore verso i poveri, i quali venivano accolti dal santo piemontese nei suoi oratori, dove egli, «spinto dalla sua carità instancabile e senza esclusione di persone, curava non solo i corpi, ma anche le anime».
All’inizio della messa, don Sergio Pellini, direttore della Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano, ha rivolto ai presenti un breve saluto, ricordando la ricorrenza del bicentenario della nascita di don Bosco, che si celebrerà il 16 agosto 2015, e affidando al santo le preoccupazioni, le fatiche e le speranze di quanti lavorano nella Tipografia Vaticana e nell’Osservatore Romano, così come quelle dei salesiani che festeggiano il 76° anniversario della loro presenza in Vaticano al servizio del successore di Pietro.
Insieme con il vescovo Vérgez Alzaga e con don Pellini hanno concelebrato i salesiani Marek Kaczmarczyk, direttore commerciale della Tipografia, e Pierantonio Polledro, e il gesuita Władisław Gryzło, incaricato dell’edizione polacca del nostro giornale. Erano presenti, tra gli altri, Giovanni Battista Dadda, Livio Gualerzi e Giuseppe Mascarucci, del Consiglio di sovrintendenza; Luciano La Camera, Francesco Perrotta e Giorgio Ciccioriccio, del Collegio dei revisori dei conti; Domenico Nguyên Duc Nam, direttore tecnico, e Antonio Pacella, direttore amministrativo; Domenico Giani, comandante della Gendarmeria Vaticana; il vice direttore e il direttore del nostro giornale. Ha animato la liturgia il coro del Vicariato vaticano, diretto da Temistocle Capone.
L'Osservatore Romano

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Le intuizioni educative ed evangelizzatrici di Don Bosco

Intervento del rettore della PUL al Simposio "Educazione e la nuova evangelizzazione

Di seguito la parte iniziale dell’intervento pronunciato venerdì 31 gennaio 2014 dal Rettore magnifico della Pontificia Università Lateranense, monsignor Enrico dal Covolo, al Simposio “Educazione e nuova evangelizzazione”, che si conclude oggi a Roma.
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Il tema che mi è stato assegnato – proprio oggi, nella memoria del Padre e maestro dei giovani: perché così Don Bosco fu solennemente definito dal santo Papa Giovanni Paolo II – è senz’altro un tema molto bello, ma assai ampio da trattare. E noi non abbiamo troppo tempo a disposizione…
Del resto, con estrema onestà, conviene subito precisare che Don Bosco non fu un pedagogista nel senso scientifico di questo termine. Voglio dire, egli non elaborò dei trattati di pedagogia. 
Sì – come tutti sanno – egli scrisse nel 1877 quello che viene chiamato comunemente il trattatello su Il sistema preventivo nella educazione della gioventù. Il suo esordio è illuminante: «Più volte – scrive Don Bosco – fui richiesto di esprimere verbalmente o per iscritto alcuni pensieri intorno al così detto sistema preventivo, che si vuole usare nelle nostre case. Per mancanza di tempo non ho potuto finora appagare questo desiderio, e presentemente volendo stampare il regolamento che finora si è quasi sempre usato tradizionalmente, credo opportuno darne qui un cenno che però sarà come l’indice di un’operetta che vo preparando se Dio mi darà tanto di vita da poterlo terminare».
Tale operetta, purtroppo, non fu mai pubblicata, e perciò dobbiamo accontentarci di quest decina di pagine premesse al Regolamento per le case della Società di S. Francesco di Sales (Torino, Tipografia Salesiana 1877, pp. 3-13 [Opere Edite 29, 99-109]).
Personalmente, dopo tanti anni di vita salesiana, sono convinto che l’approccio più plausibile a Don Bosco educatore vada condotto non tanto sulla sua  teoria pedagogica, bensì sulla sua prassi esistenziale. 
Così preferisco affrontare due argomenti precisi, che toccano più da vicino Don Bosco come testimone vivente di intuizioni educative ed evangelizzatrici. 
Il primo argomento riguarda l’amorevolezza salesiana, “punta di diamante” del metodo educativo (o sistema preventivo) di Don Bosco; il secondo riguarda invece la storia stessa della vocazione di Don Bosco, una via di santificazione per ogni educatore.
1. L'amorevolezza salesiana
Mi introduco a questo tema con un riferimento alla situazione del nostro tempo, richiamando quei «segni dei tempi», a cui, come educatori, dovremmo essere sempre attenti, nell'esercizio della nostra missione.
L'amore figura come «la punta emergente» nella graduatoria dei valori espressa da un campione di 1000 giovani italiani. Alla domanda: «Quale valore ritieni in assoluto il più importante?», il 99% dei mille ragazzi intervistati ha risposto: «L'amore. L'amore è quel valore che, unico, mi ripaga della fatica del vivere».
Sergio Zavoli commentava che questa generazione è, probabilmente, la più «amorevole» che sia mai esistita. Ma poi, da persona intelligente, avanzava un dubbio: chissà se con la parola amore tutti questi giovani intendono alludere alla medesima realtà? Amore è parola abusata, persino logora...
Che cos'è in profondità questo amore, di cui i giovani di sempre (e non solo loro) sono assetati, e quelli di oggi sembrano esserlo in maniera particolare?
E' certo che chi intende raccogliere la missione educativa di Don Bosco, e in particolare l'eredità della sua amorevolezza, non può rimanere indifferente di fronte a questa domanda d'amore dei giovani d'oggi.
D'altra parte, è questo uno di quegli interrogativi (che cos'è l'amore) dinanzi ai quali chi tenta una risposta si sente subito inadeguato. Quasi gli sembra presuntuoso e ridicolo qualsiasi tentativo.
Tuttavia cercheremo di dire qualcosa, prendendo come punto di partenza qualche riflessione di E. Fromm. 
(...)
Per leggere il testo completo dell’intervento di mons. Enrico dal Covolo si può cliccare qui.

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C'è del buono a questo mondo...
di Marco Pappalardo | 31 gennaio 2014 
Don Bosco scelse di puntare sul buono che c'era nei ragazzi, partendo proprio dagli ultimi e incontrandoli con il volto del Risorto

Sam: «È come nelle grandi storie, padron Frodo, quelle che contano davvero, erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi sapere il finale, perché come poteva esserci un finale allegro, come poteva il mondo tornare com'era dopo che erano successe tante cose brutte; ma alla fine è solo una cosa passeggera, quest'ombra, anche l'oscurità deve passare, arriverà un nuovo giorno, e quando il sole splenderà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, anche se eri troppo piccolo per capire il perché, ma credo, padron Frodo, di capire ora, adesso so: le persone di quelle storie avevano molte occasioni di tornare indietro e non l'hanno fatto; andavano avanti, perché loro erano aggrappati a qualcosa».
Frodo: «Noi a cosa siamo aggrappati Sam?».

Sam: «C'è del buono in questo mondo, padron Frodo: è giusto combattere per questo!».
(Dal film "Il Signore degli anelli - Le due torri").
Chi educa non può che crederci: "C'è del buono a questo a mondo"! Crederci è combattere nelle "Terre dell'educazione", tutti i giorni, la buona battaglia per ogni giovane che viene posto sulla propria strada:
Stefania che a 20 anni è morta di leucemia, ma qualche giorno prima ha voluto salutare tutte le persone che le erano state vicine. Sul letto della sua stanza, consumata dalla malattia nel fisico, non ha mai smesso di sorridere e ha fatto al suo prof. la domanda più difficile che abbia mai ricevuto: «Prof, ma in Paradiso soffrirò ancora?»;
Giada che, facendo una sera - come ogni lunedì - volontariato con gli immigrati e i senza dimora, riceve 5 euro da un povero anziano contento a cui aveva dato un po' di sollievo, quasi fosse sua nipote. Da allora quella banconota è incorniciata e appesa nella sua camera per ricordarle ciò per cui è importante vivere;
Gianni che a scuola il suo prof. ogni giorno trovava a fumare nascosto nei bagni e da allora non smette di telefonargli in tutte le feste per fargli gli auguri;
Milena che, dopo una giornata difficile a scuola con una classe, raggiunge in corridoio la prof., le dà una pacca sulla spalla e dice con un gran sorriso: «Stia serena»;
Gigi che, una mattina al campo estivo dell'oratorio, vedendo il don preoccupato poiché la giornata era piovosa, gli dice: «Don, di che ti preoccupi? L'importante è che il sole ce l'abbiamo dentro»;
Rosario, detto Saro, che tutti gli animatori rimproveravano all'oratorio, ma nessuno per mesi e mesi gli aveva mai chiesto come si chiamasse;
Chiara che non si sente voluta bene da nessuno, vomita ciò che mangia e questo riesce a raccontarlo solo in chat a suor Agnese per lunghe ore la sera;
Giuseppe, orfano di padre, che oggi è laureato e ha pubblicato una raccolta di poesia realizzando un suo piccolo sogno e chissà quante soddisfazioni lo aspettano ancora.
Allora ogni vita è una storia grande, di quelle che contano davvero e per poter vivere è necessario essere aggrappati a qualcosa, a Qualcuno. In questo mondo, nonostante tutto, c'è qualcosa di buono per cui vale la pena impegnarsi! Don Bosco scelse di puntare sul buono che c'era nei ragazzi, partendo proprio dagli ultimi e incontrandoli con il volto del Risorto, che è un volto che manifesta bontà e gioia. E gli educatori possono solo restare a guardare o ammirare quanto fatto da altri?
Certo ad alcune situazioni dovrebbero pensarci le istituzioni, ma non è forse vero che la prima "istituzione" è proprio l'uomo e che non saranno certo le istituzioni ad andare in Paradiso o da qualche altra parte più giù? Nei luoghi in cui non si è presenti educativamente, ci saranno altri pronti a rubare il cuore e la serenità ai giovani, offrendo il marcio a buon mercato e travestito di buono. In ognuna delle "Terre dell'educazione" si è chiamati a stare con uno sguardo da "risorti", con la gioia di chi ha incontrato Gesù Cristo, perché - se si è tristi - vuol dire che si è incontrato qualcun altro! Gesù poteva mai essere un uomo triste? Chi avrebbe mai seguito un giovane con il muso lungo, chi avrebbe mai passato del tempo con lui? E come educatori che sguardo c'è sulla realtà? C'è la certezza che il bene è più contagioso del male? Si crede che una foresta intera che cresce possa fare più rumore di un albero che cade? Si sogna che chi nasce tondo possa morire quadrato al di là di tutte le leggi della geometria? Ci s'impegna affinché da ogni sogno possa nascere un progetto di vita?

Non si andrà in Paradiso perché papa Francesco testimonia e vive la povertà e l'attenzione agli ultimi, non ci basterà dire a San Pietro: «Siamo amici di papa Francesco». Funzionerà forse un po' come in certe discoteche o locali dove si entra solo se accompagnati, dove la ragazza entra gratis in coppia! L'educatore entrerà in Paradiso solo accompagnato dai giovani cui avrà voluto bene; saranno loro il pass, saranno loro il biglietto di ingresso.
Vino Nuovo

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Don Bosco non è solo dei salesiani: è un cittadino d'Italia e del mondo

In una conferenza internazionale sarà discussa la figura del santo piemontese in vista del bicentenario della nascita

"Don Bosco appartiene a tutti, dobbiamo rilanciare il suo messaggio al mondo”. Con questa frase don Claudio Belfiore, presidente  del Cnos (Centro Nazionale Opere Salesiane per lo sport), vuole invitare i  giornalisti alla conferenza stampa internazionale sul bicentenario della nascita del santo piemontese (1815-2015), in programma giovedì 6 febbraio alle 11.30 presso la sede della Stampa estera (via dell’Umiltà 83) a Roma.
Il bicentenario della nascita del santo “è una ricorrenza che, noi salesiani stiamo preparando da circa tre anni – afferma Don Claudio - ed è l’occasione per ripresentare la figura di Don Bosco, come personaggio che ha cambiato il mondo attraverso l’opera educativa. I salesiani sono infatti presenti in 140 nazioni del mondo, anzi forse di più”.
“Siamo una realtà molto consistente e diffusa - continua Belfiore -. Se poi consideriamo tutti coloro che sono stati coinvolti dal messaggio di don Bosco, parliamo di milioni di persone sparse nel mondo e nei cinque continenti (cito, ad esempio, le Figlie di Maria Ausiliatrice, gli ex allievi). Per tutti questi motivi riteniamo che Don Bosco non sia un ‘personaggio nostro’, pur essendo il nostro fondatore: è un personaggio della Chiesa ed è un cittadino d’Italia e del mondo, che attraverso l’educazione e l’aiuto ai più deboli si è avvicinato a culture molto diverse”.
“Abbiamo pensato di organizzare la Conferenza nella sede della stampa estera perché volevamo favorire una grande apertura internazionale - continua il sacerdote -. Il motivo della partecipazione di un giornalista, lo dice la sua nazione stessa e cioè se nel suo stato è presente l’opera salesiana”.
Oggi c’è più che mai bisogno di rilanciare l’opera di Don Bosco: “È necessaria che un’attenzione educativa a tutti i livelli venga svegliata, sia in famiglia che nelle istituzioni. Attenzione educativa - secondo Belfiore - vuol dire educazione alla Persona. Senza questa non avremo futuro: dobbiamo preoccuparci di come gli individui maturano, si relazionano e costituiscono la società civile. L’opera salesiana dà importanza ai giovani, quella parte di umanità, che don Bosco definiva la porzione più preziosa e più delicata dell’umana società, da cui dipende il futuro di una società stessa”.
“L’esperienza odierna ci fa pensare che l’attenzione ai più giovani è in continuo ribasso. Qual è il futuro della gioventù e quindi quello dell’umanità? Papa Francesco ha più volte ricordato che la cura dei giovani e degli anziani determina il valore che diamo al futuro e al passato della nostra società. Gli anziani sono la memoria, la tradizione, i giovani sono il futuro. E in questo momento tali categorie sono, come dice papa Francesco, “alle periferie”. Il teologo Dietrich Bonhoeffer ha poi affermato: "Il senso morale di una società si misura su ciò che fa per i suoi bambini", ha concluso il salesiano.
È stato invitato a moderare la conferenza stampa, Antonio Preziosi, direttore del Giornale Radio Rai e Radio 1. Don Pascual Chávez, nono successore di don Bosco e Rettor Maggiore dei Salesiani, presenterà le iniziative e gli avvenimenti più importanti che contrassegneranno l’Anno del Bicentenario. Si segnala la presenza di monsignor Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Cristina Chiabotto, Miss Italia nel 2004 porterà la sua esperienza di ex allieva salesiana, e Flavio Insinna, parlerà infine della figura di Don Bosco, dopo l’interpretazione dell’omonima miniserie televisiva nel 2004.
Giorgia Innocenti