mercoledì 29 gennaio 2014

Il Figlio incarnato e il significato dell’unità divina



Nel documento della Commissione teologica internazionale su monoteismo e violenza. 

(Gilles Emery) Dopo i necessari chiarimenti sul tema esaminato e la presentazione della via liberatrice del monoteismo biblico (capitolo 1 e 2), i capitoli 3 e 4 propongono un approfondimento teologico e filosofico. Il capitolo 3, il cui contenuto è principalmente scritturale e teologico, mira soprattutto a mostrare che è Dio Padre stesso a liberarci dalla violenza, attraverso il suo Figlio incarnato, nello Spirito Santo. In effetti, nella sua obbedienza al Padre, il Figlio incarnato ha liberamente accettato di essere colpito dalla violenza degli uomini; ha preso questa violenza su di sé, nel senso che ha patito nella sua stessa persona la violenza umana per vincerla: a tale violenza ha risposto con il perdono del suo amore redentore.
Troviamo qui un’affermazione assolutamente specifica del monoteismo cristiano: l’Uno della Trinità ha volontariamente accettato di soffrire (Unus de Trinitate passus est) al fine di liberarci dal peccato e dalla sofferenza che esso genera, specie il peccato che consiste in un agire ingiusto e violento. Ciò implica in particolare tre conseguenze. In primo luogo, i cristiani sono chiamati a seguire l’esempio del loro Maestro, adottando un comportamento non violento animato dal perdono. In secondo luogo, il perdono vissuto nella fede e nella carità reca in sé la speranza di partecipare alla resurrezione gloriosa di Cristo: nello Spirito Santo la vocazione della nostra carne umana è nientemeno che quella di essere associata alla pienezza di vita della Trinità beata. Come la liberazione dalla violenza ha la sua origine in Dio Trinità, così essa trova il suo compimento (il suo fine, la sua realizzazione ultima) in Dio che è Pace nella vita intima delle tre persone divine. In terzo luogo, la Chiesa, come sacramento dell’unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano, ha la missione di operare a favore della riconciliazione di tutti gli uomini, attraverso la sua predicazione, la sua vita liturgica e l’agire dei cristiani in ogni ambito dell’esistenza umana.
Su queste basi, il capitolo 4 offre un saggio di sintesi, innanzitutto filosofico, poi teologico. Questo capitolo prolunga i tre precedenti riprendendo la questione da un punto di vista che si può definire “sistematico”. Riguardando la filosofia, le implicazioni dell’affermazione di Dio sono esaminate in un dialogo critico con l’ateismo contemporaneo (di tipo principalmente antropologico e naturalista). La fede, come virtù teologale donata gratuitamente da Dio e avente Dio stesso come “oggetto”, va molto più lontano e molto più in alto della filosofia. Ciò non toglie assolutamente che la fede rispetti la ragione e la promuova (come la grazia presuppone la natura che essa eleva). Riconosciamo così la consistenza propria della ragione umana e la sua specificità. La tesi centrale è la seguente: la dimensione universale dell’esperienza religiosa e la realtà stessa di tale esperienza religiosa si fondono in ultima analisi nella capacità dell’intelligenza umana di trovare Dio. Se è vero che l’intelligenza umana riceve il suo compimento nella fede e nella visione di Dio, è altrettanto vero che la fede è sostenuta dall’esercizio naturale dell’intelligenza umana, un’intelligenza che è per natura aperta al riconoscimento di Dio e il cui esercizio concreto non può essere separato dalle condizioni affettive del soggetto conoscente.
Ciò implica due cose in particolare. In primo luogo bisogna scartare un malinteso purtroppo molto diffuso. Il riconoscimento della verità non comporta né violenza né intolleranza. L’adesione al vero suscita la gioia e il desiderio di comunicare la verità ad altri, proprio per mezzo dell’intelligenza, e dunque senza violenza. In secondo luogo, la riflessione razionale su Dio, che rende conto dell’esperienza di miliardi di esseri umani (un’esperienza che altrimenti resterebbe inspiegabile) e aiuta a scoprire l’ampiezza della ragione umana, contribuisce a purificare le nostre rappresentazioni di Dio. Riassumendo: la potenza della realtà di Dio sollecita la ragione e suscita la libertà dell’uomo.
L’approccio teologico del capitolo 4 prosegue questa riflessione esaminando il mistero rivelato di Dio Trinità. Di fatto, quando si affronta la questione del monoteismo, non basta considerare l’affermazione «esiste un solo Dio» (l’unicità di Dio). Bisogna anche vedere: come Dio è «uno» in se stesso (l’intrinseca unità di Dio); come Dio è «uno» nella sua distinzione rispetto alle creature (l’unità di Dio verso le creature); quali relazioni questo «Dio unico» intrattiene con il mondo e con gli uomini. Questi tre interrogativi sono indispensabili per chiarire che cosa s’intende con “monoteismo”. Al primo interrogativo la dottrina cristiana propone in particolare due risposte. Da una parte, Dio è semplice, cioè senza composizione: «Dio “è ciò che ha”» , e «“ciò che” Dio è, la sua “natura” o “essenza”, si identifica alla sua esistenza». Dall’altra, e prima di tutto, Dio è Trinità consustanziale. Dio è pienezza di vita nella generazione eterna del Figlio e nella processione eterna dello Spirito Santo, Dio è mistero di saggezza e di amore. Al secondo interrogativo la fede cristiana risponde che Dio non si mescola con le creature, non assorbe le creature. Nel creare, Dio non si ritira dal mondo; e l’Assoluto che è Dio non diminuisce le creature. Dio è trascendente, è di un ordine totalmente diverso da quello delle creature; perciò Dio non entra mai in competizione o in concorrenza con esse. Infine, al terzo interrogativo il documento risponde innanzitutto che, nel suo esercizio effettivo, la potenza di Dio non è mai distaccata dalla sua saggezza e dal suo amore. L’onnipotenza di Dio si esercita sempre secondo quanto è stato disposto dalla sua saggezza e voluto dal suo amore. Ciò esclude la concezione delirante di una onnipotenza arbitraria.
La fede cattolica sottolinea poi che Dio invita le creature a collaborare con lui. Alle creature Dio ha dato la «dignità di essere causa» (san Tommaso d’Aquino), la dignità di agire per il bene degli altri in modo realmente efficace. È soprattutto il caso dell’uomo, immagine di Dio, dotato di intelligenza e di libertà mediante le quali esercita la sua intendenza sul mondo materiale, e mediante le quali agisce a favore degli altri uomini, in vista di una vera comunione delle persone. L’esempio scelto dal documento è quello della preghiera. Con la nostra preghiera non cerchiamo di cambiare le disposizioni della saggezza di Dio, e neppure la Sua volontà, ma collaboriamo con Dio, per il bene voluto da Dio: «Noi preghiamo per impetrare quanto Dio ha disposto che venga compiuto per le preghiere».
L'Osservatore Romano