giovedì 30 gennaio 2014

Collegialità ed esercizio della suprema potestà nella Chiesa (Gerhard Ludwing Muller)



Primato e collegialità nella Chiesa secondo Papa Francesco. Per superare il letargo

Conferenza a Valencia. L’arcivescovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede è intervenuto a Valencia, all’università cattolica San Vicente Mártir, alla dodicesima edizione delle Conversazioni di diritto canonico. Il cardinale eletto ha tenuto una conferenza intitolata «Collegialità ed esercizio della suprema potestà nella Chiesa». Ne pubblichiamo alcuni stralci in una nostra traduzione. Il testo integrale in tedesco e la sua traduzione in spagnolo sono consultabili sul sito: www.osservatoreromano.va.

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(Gerhard Ludwing Muller) Della Chiesa si può parlare solo sulla base della domanda di Dio e della conoscenza della sua presenza umana in Gesù Cristo per il mondo. Dinanzi alle tragedie globali e quotidiane delle guerre civili e del terrorismo, della povertà e dello sfruttamento, della miseria dei rifugiati, della morte per droga, del crescente numero di suicidi e della dipendenza dalla pornografia nel venti per cento dei giovani, la crisi di significato e il disorientamento spirituale e morale di milioni di persone, la Chiesa di Dio ha il compito epocale di dare nuovamente speranza alla gente. Ma la Chiesa non è la luce; essa può solo dare testimonianza della luce che illumina ogni persona, di Gesù Cristo, Figlio di Dio e redentore dell’intera umanità.
È dalla conoscenza di Dio che si vede se l’uomo è consapevole della sua vocazione divina e se ha un futuro in questo mondo e oltre.
Una Chiesa preoccupata solo dei propri problemi strutturali sarebbe spaventosamente anacronistica e lontana dalla realtà. Infatti, nel suo essere e nella sua missione essa non è nient’altro che la Chiesa del Dio trino, origine e meta di ogni uomo e dell’intero universo. Una nuova messa a punto dell’autonomia e della collaborazione delle Chiese locali, della collegialità episcopale e del primato del Papa non deve mai perdere di vista la sfida epocale della domanda di Dio.
Nella sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium Papa Francesco parla di una salutare «decentralizzazione». La vita della Chiesa non può concentrarsi in così grande misura sul Papa e sulla sua Curia, come se nelle parrocchie, nelle comunità e nelle diocesi si svolgesse solo qualcosa di secondario. Il Papa e i vescovi piuttosto rimandano a Cristo che, solo, dà speranza agli uomini. Il Papa non può e non deve capire centralmente, da Roma, le molteplici condizioni di vita, che emergono per la Chiesa nelle singole nazioni e culture, e risolvere di persona ogni problema locale. Un’eccessiva centralizzazione dell’amministrazione non aiuterebbe la Chiesa, ma piuttosto ostacolerebbe la sua dinamica missionaria (Evangelii gaudium, 32).
Per questo, della nuova evangelizzazione, che è stata il tema dell’ultimo sinodo dei vescovi (7-28 ottobre 2012) fa parte anche un esercizio riformato del primato. Ciò riguarda le istituzioni della guida universale della Chiesa, quindi in modo particolare i dicasteri della Curia Romana, della quale il Papa si avvale nell’esercizio della più alta, piena e immediata potestà della Chiesa universale. I dicasteri «compiono il loro lavoro nel suo nome e nella sua autorità, a vantaggio delle Chiese e al servizio dei sacri pastori» (Christus Dominus, n. 9). Nel senso della nuova evangelizzazione, anche i vescovi, i sinodi e le Conferenze episcopali devono essere consapevoli di una maggiore responsabilità, compresa «una certa competenza magisteriale». Questa, infatti, appartiene loro grazie alla consacrazione e alla missione canonica, e non solo per mezzo di uno speciale mandato del Papa.
«I vescovi che insegnano in comunione col romano Pontefice devono essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità» (Lumen gentium, n. 25). Il magistero papale non sostituisce l’insegnamento dei vescovi e la loro azione comune a livello nazionale o anche continentale (per esempio i documenti del Celam: Puebla, Medellín, Santo Domingo, Aparecida) ma lo presuppone e lo promuove nella responsabilità per l’intera Chiesa (Evangelii gaudium, n. 16).
Il Papa fa espresso riferimento al motuproprio Apostolos suos (1998), nel quale Giovanni Paolo II, sulla base del concilio Vaticano II, ha circoscritto maggiormente i compiti delle conferenze episcopali. Contrariamente alle interpretazioni superficiali, non si tratta del segnale di un cambiamento di rotta o di una “rivoluzione in Vaticano”. La Chiesa potrebbe permettersi lotte di potere e conflitti di competenze solo a discapito del suo mandato missionario. Dopo la sintesi ecclesiologica del concilio Vaticano II è esclusa una interpretazione antagonistica o dialettica del rapporto tra la Chiesa universale e le Chiese locali. Gli estremi storici di papismo / curialismo da un lato ed episcopalismo / (conciliarismo / gallicanismo / febronianismo / veterocattolicesimo) dall’altro non possono che mostrarci come non va e che l’assolutizzazione di un elemento costitutivo a scapito di un altro contraddice la professione della ecclesia una sancta catholica et apostolica.
La comunione fraterna dei vescovi della Chiesa universale cum e sub Petro si fonda sulla sacralità della Chiesa ed è pertanto di diritto divino. Solo al prezzo di una de-sacramentalizzazione della Chiesa si potrebbe condurre una lotta di potere tra forze centraliste e particolariste. Alla fine resterebbe una Chiesa secolarizzata e politicizzata, che si distinguerebbe solo per grado da una Ong. Ciò sarebbe in totale contrasto con l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium.
Come genere letterario, questa Esortazione apostolica non è un testo dogmatico bensì parenetico. Ha come base dogmatica la dottrina sulla Chiesa nella Lumen gentium, spiegata con la massima autorità magisteriale (Evangelii gaudium, n. 17). Al Papa interessa superare il letargo e la rassegnazione dinanzi all’estrema secolarizzazione, e porre fine ai paralizzanti contrasti tra ideologie tradizionaliste e moderniste all’interno della Chiesa. Malgrado le tempeste e i venti contrari, la piccola barca di Pietro deve di nuovo issare le vele della gioia per Gesù, che è con noi. E i discepoli devono prendere in mano il timone senza avere paura, per portare avanti con forza la missione della Chiesa.
Se all’esterno la Chiesa offre un’immagine di lacerazione e di ostilità, non ci si può aspettare che venga percepita come testimone credibile dell’amore di Dio e che si impari ad amarla come una madre. È però importante comprendere il servizio episcopale stesso come realtà sacramentale nella Chiesa sacramentale e non confonderlo con quello di moderatore di associazioni meramente umane.
L’episcopato, infatti, è un ufficio che Dio ha stabilito nella Chiesa fino alla fine dei secoli (Lumen gentium, 18). I vescovi, istituiti dallo Spirito Santo (cfr. Atti degli apostoli, 20, 28), guidano il gregge di Cristo al posto di Dio (Lumen gentium, 19). Attraverso la consacrazione sacramentale lo Spirito Santo fa sì che «i vescovi, in modo eminente e visibile, tengono il posto dello stesso Cristo maestro, pastore e pontefice, e agiscono in sua vece» (ibidem, 21). Nello svolgimento del loro servizio essi sono «vicari e legati di Cristo» (ibidem, 27).
Il fatto stesso che nell’ordinazione sacramentale del successore si rimandi alla consacrazione da parte di «vescovi vicini di altre Chiese» dimostra la dimensione collegiale e universale del ministero episcopale. La singola comunità non costituisce se stessa e il suo ministero. La consacrazione episcopale inserisce il vescovo simbolicamente nel collegio episcopale e gli conferisce la responsabilità per la Chiesa cattolica una e universale, che esiste nella communio ecclesiarum.
Nella sua Chiesa locale il vescovo è «visibile principio e fondamento dell’unità» (ibidem, 23). Ciò riguarda la communio di tutti i fedeli e il collegio di quanti svolgono un incarico: i presbiteri, i diaconi e gli altri responsabili nella Chiesa. L’unico ministero episcopale non assorbe la molteplicità delle missioni e dei servizi. Il ministero episcopale non solo impedisce lo sgretolarsi dei singoli servizi, ma promuove anche la loro molteplicità nei singoli elementi e garantisce l’unità dell’unica Chiesa nella martyria, nella liturgia, e nella diakonìa.
Poiché il collegio episcopale serve l’unità della Chiesa, deve recare in sé il principio della sua unità. Questo non può che essere il vescovo di una Chiesa locale, e non il presidente di una federazione di associazioni ecclesiastiche regionali e continentali. Non può nemmeno essere un mero principio impersonale (decisione maggioritaria, delega di diritti a un organo direttivo eletto, e così via). Poiché la natura intima del ministero episcopale è la testimonianza personale, il principio dell’unità dell’episcopato stesso si incarna sempre in una persona.
Secondo la concezione cattolica, il principio personale dell’unità in origine, come anche nel suo esercizio attuale, è dato nel vescovo di Roma. Come vescovo egli è Successore di Pietro, che ha a sua volta incarnato l’unità del collegio degli apostoli.
Decisiva per la teologia del primato è la rappresentazione del ministero petrino come missione episcopale, nonché la realizzazione che questo ministero non è di diritto umano bensì divino, in quanto può essere esercitato solo in virtù di un carisma conferito personalmente nello Spirito Santo per mandato di Cristo. «Affinché poi lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, [il Pastore eterno Gesù Cristo] prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità di fede e di comunione» (ibidem, 18; Pastor aeternus, Denzinger Hünermann 3051).
Nella Evangelii gaudium il Papa ha in mente una prassi migliorata, corrispondente alla civiltà globalizzata e digitalizzata attuale. Sebbene il primato e l’episcopato facciano parte della natura della Chiesa, le forme in cui si sono concretizzati nella storia sono necessariamente diverse. L’invito del Papa a una nuova percezione della collegialità dei vescovi è l’esatto contrario di una relativizzazione del servizio all’unità di tutti i vescovi e i fedeli nella fede rivelata, che gli è stato affidato direttamente da Cristo, della vita comune a partire dalla grazia sacramentale e della missione di trasmettere l’unità degli uomini in Dio (Lumen gentium, 1).
Poiché il ministero episcopale è di natura collegiale, in virtù della consacrazione e della missione canonica al vescovo è dato anche di partecipare alla cura e alla responsabilità per il bene della Chiesa universale: «La cura di annunziare il Vangelo in ogni parte della terra appartiene al corpo dei pastori. Quindi i singoli vescovi, per quanto lo permette l’esercizio del particolare loro dovere, sono tenuti a collaborare tra di loro e col successore di Pietro, al quale in modo speciale fu affidato l’altissimo ufficio di propagare il nome cristiano» (ibidem, 23).
Riconoscendo il fecondo apostolato svolto dalle Conferenze episcopali già esistenti, e auspicando che questi organi vengano istituiti ovunque, il concilio Vaticano II ne dà anche una breve definizione: «La conferenza episcopale è in qualche modo una assemblea in cui i sacri pastori di una determinata nazione o territorio esercitano congiuntamente il loro ministero pastorale, per l’incremento del bene che la Chiesa offre agli uomini, specialmente per mezzo di quelle forme di apostolato che sono appropriate alle circostanze presenti» (Christus Dominus, 38, 1).
La realizzazione teologica e pratica del servizio delle Conferenze episcopali alla Chiesa universale e alle Chiese particolari in essa associate, è stata ulteriormente sviluppata e concretizzata nel motuproprio Apostolos suos. Di questo fa parte anche la competenza magisteriale dei vescovi in generale, che appartengono a una Conferenza (cfr. n. 21; Codex iuris canonici, can. 753). Essa è al servizio dell’unità della fede e della realizzazione concreta in un’area culturale. Il riferimento al Successore di Pietro, principio visibile di unità della Chiesa, per ogni concilio ecumenico, ogni sinodo particolare e ogni Conferenza episcopale, è costitutivo e di diritto divino, che deve essere alla base di ogni diritto codificato. Una Conferenza episcopale non potrà mai emettere una dichiarazione dogmatica vincolante separata, o addirittura relativizzare dogmi definiti e strutture sacramentali costitutive (per esempio far dipendere il proprio ministero magisteriale e pastorale da organismi di mero diritto canonico). Le tendenze separatiste e un comportamento prepotente non farebbero altro che danneggiare la Chiesa. La Rivelazione è stata affidata, per essere custodita fedelmente, alla Chiesa una e universale, guidata dal Papa e dai vescovi in unità con lui (Lumen gentium, 8; Dei Verbum, 10).
La Chiesa cattolica è communio ecclesiarum e non una federazione di Chiese regionali o un’associazione mondiale di comunità ecclesiali confessionalmente affini, che per tradizione umana rispettano il vescovo di Roma come presidente onorario. Infatti, nazione, lingua e cultura non sono principi costitutivi della Chiesa, che testimonia e realizza in Cristo l’unità dei popoli; sono però mezzi indispensabili attraverso i quali si dispiegano tutta la ricchezza e la pienezza di Cristo nei redenti.
L’Evangelii gaudium vuole unire la Chiesa internamente, affinché il popolo di Dio non ostacoli se stesso nel suo servizio missionario per la salvezza e l’assistenza dell’umanità bisognosa. Nella sua Esortazione apostolica Papa Francesco traccia «alcune linee che possano incoraggiare e orientare in tutta la Chiesa una nuova tappa evangelizzatrice, piena di fervore e dinamismo» (n. 17).
L'Osservatore Romano