lunedì 27 gennaio 2014

L'ultima chiamata della Ue

Bandiera europea gayNo alla Relazione Lunacek, ultima chiamata alla Ue
di J. C. von Krempach

Per molti decenni il Parlamento europeo ha avuto un problema di immagine: era considerato ininfluente e non attirava alcuna attenzione. La gente aveva un certo interesse ed una certa conoscenza delle politiche dei propri Paesi, ma quando si trattava di eleggere i 700 rappresentanti dell’UE, nessuno sapeva realmente cosa essi facessero e, ancor peggio, nessuno voleva saperlo: tutto appariva come remoto, noioso, ed irrilevante.
Nel corso degli ultimi anni, questa attitudine è cambiata, e molte persone hanno iniziato ad essere consapevoli del fatto che le decisioni dell’UE li riguardano realmente. C’è stato, negli ultimi tempi, un numero crescente di situazioni in cui le reazioni negative di massa hanno causato l’abbandono da parte dell’UE di ambiziose iniziative politiche. Ciò è iniziato con la cosiddetta “Direttiva Bolkestein”, sulla libera circolazione dei servizi, seguita dalla direttiva sui brevetti software e poi dall’ACTA (l’Accordo commerciale anti-contraffazione). 
Ma tutte queste tempeste si scatenavano su delle proposte legislative molto importanti che, se adottate, avrebbero avuto un impatto concreto e misurabile sulla vita della gente. Oggi, invece, il Parlamento europeo sta facendo un’esperienza completamente nuova: continua a provocare scandalo e indignazione con le cosiddette “relazioni di iniziativa” che, se adottate, non avrebbero alcun effetto vincolante.
In effetti, tali “relazioni di iniziativa” non avevano mai attirato l’attenzione dell’opinione pubblica.  Gli stessi eurodeputati (ad eccezione, ovviamente, di quelli direttamente coinvolti nella loro stesura) difficilmente ne notavano l’esistenza, senza parlare del loro contenuto. Ma ciò è cambiato con l’infausta “Relazione Estrela”, con la quale alcuni deputati dell’estrema sinistra, con stretti legami con l’industria dell’aborto, hanno provato a far adottare al Parlamento un testo assurdo che avrebbe elevato l’omicidio di bambini (l’aborto, ndt) al rango di diritto umano, e avrebbe potuto trasformare la masturbazione in un corso obbligatorio per la primissima infanzia. 
Senza alcun precedente per una relazione non vincolante, questo progetto di risoluzione ha attirato l’inattesa reazione negativa da parte dei cittadini, con un invio massiccio di lettere di protesta e con due manifestazioni davanti alla sede del Parlamento, mentre all’interno esso diventava l’oggetto di due delle più tumultuose sessioni nella storia di questa istituzione. 
I cittadini sono diventati consapevoli che all’interno del Parlamento europeo c’è una coalizione di politici che hanno come loro obiettivo comune la distruzione della cultura e della civilizzazione, che essi cercano di rimpiazzare con dei feticci: sesso casuale, omosessualità, aborto e laicismo militante. 
In seguito alla sconfitta di misura della “Relazione Estrela”, ora questa agenda anti-civilizzazione si ripresenta con la “Relazione Lunacek”, che ha l’obiettivo di rimpiazzare il tradizionale significato di diritti umani attraverso settari “diritti dei gay”. Se adottata, questa relazione legittimerebbe le politiche che trasformerebbero la libertà di espressione e la protezione dal discorso dell’odio in un privilegio specifico degli omosessuali, togliendo protezioni simili per tutti i non-omosessuali. 
Come la relazione Estrela, anche la Relazione Lunacek sta provocando un’enorme indignazione pubblica: due settimane prima del voto, più di 10mila cittadini avevano già firmato una petizione contro di essa. 10mila firme potrebbero non sembrare molte, ma in effetti in tutta la storia del Parlamento europeo non ci sono molte petizioni, e in particolare non ci sono molte “relazioni di iniziativa” che abbiano provocato tale interesse pubblico e simili reazioni negative. 
Se così tanti cittadini si oppongono alla Relazione Lunacek c’è forse un numero così importante di cittadini in favore? Finora, sembra di no. È tempo di far comprendere ai politici nell’UE che dare privilegi non dovuti a persone con comportamenti sessuali non-normali non è il miglior modo per conquistare rispetto e supporto tra i normali cittadini. Se le prossime elezioni europee saranno vinte da movimenti euroscettici, una delle ragioni potrebbe essere che i cittadini si sentono abbandonati dai grandi partiti (liberali, democristiani o socialisti) che continuano a sostenere questa “contraffazione” della società o che mancano di opporvisi adeguatamente. C’è un allontanamento tra l’elettorato e l’élite politica che, invece di risolvere la crisi dell’Euro e altre serie questioni, preferisce trovare soluzioni a problemi che non ci sono.
I critici affermano che Lunacek vuole trasformare i diritti e le tutele in un privilegio per gli omosessuali. Dove sono i bei tempi in cui il Parlamento europeo era considerato remoto ed irrilevante? Il problema d’immagine di questa istituzione sembra essere oggi ben peggiore. Un chiaro e risoluto No alla Relazione Lunacek potrebbe essere l’ultima possibilità per la politica europea di scongiurare il disastro che si sta avvicinando. 

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Diritti gay, la Ue prova a imporceli
di Riccardo Cascioli
L’Europa ci prova ancora: martedì 4 febbraio sarà discussa all’Europarlamento la Relazione Lunicek dal titolo «Tabella di marcia dell'UE contro l'omofobia e la discriminazione legata all'orientamento sessuale e all'identità di genere» (clicca qui per il testo integrale).

Si capisce subito di cosa si tratta: nel caso venisse approvata, tutti gli Stati membri dell’Unione Europea si troverebbero ad essere oggetto di formidabili pressioni per cambiare la propria legislazione nazionale al fine di introdurvi i diritti dei gay. Non per niente la relazione prende il nome dell’eurodeputata che l’ha proposta, l’austriaca Ulrike Lunicek, attivista lesbica e uno dei membri di punta dell’intergruppo parlamentare LGBT (Lesbiche, Gay, Bisex, Transex). E’ vero, le risoluzioni del Parlamento Europeo non sono vincolanti, ma costituiscono un’indicazione di indirizzo politico dell’Unione molto precisa, che peraltro in questo caso verrebbe continuamente invocata da associazioni Lgbt locali e da parlamentari per promuovere dei cambiamenti nelle legislazioni nazionali.
Nella Relazione Lunicek il focus è tutto sui diritti umani e appare come una declinazione dei “Princìpi di Yogyacarta” nel contesto dell’Unione Europea. Di cosa si tratta?  "I princìpi di Yogyacarta" è un documento, presentato il 26 marzo 2007 alla Commissione Diritti Umani dell’Onu a Ginevra, che prende il nome dalla città indonesiana dove 29 esperti internazionali si sono ritrovati per stenderlo. Esso analizza 29 diritti già vincolanti nel diritto internazionale – come il diritto alla vita, all’educazione e alla libertà dalla tortura – reinterpretandoli uno ad uno in chiave omosessuale.

Il criterio di fondo è che “la legge internazionale sui diritti umani impone un’assoluta proibizione di discriminazione riguardo al pieno godimento di tutti i diritti umani”, per cui tutti gli Stati sarebbero legalmente obbligati a cambiare le loro Costituzioni e Codici penali per poter includere i diritti omosessuali.  Secondo questo documento dovrebbero essere cambiati anche i programmi scolastici, anche facilitando “l’accesso” per coloro che vogliono cambiare sesso, ma soprattutto insegnando la totale normalità di ogni orientamento sessuale e identità di genere. I Princìpi affermano inoltre “il diritto a esprimere l’identità e la personalità anche attraverso il modo di parlare e di vestire, le caratteristiche del corpo, la scelta del nome o qualsiasi altro mezzo”, e anche “il diritto a trovare una famiglia, compreso attraverso l’accesso all’adozione o alla procreazione assistita”.
La Relazione Lunacek “traduce” per l’Europa questi princìpi, sintetizzabili in “omosessualizzazione istituzionale dei diritti umani”. Vale a dire che in futuro non potranno esserci legislazioni nazionali che contraddicano gli interessi degli attivisti Lgbt, così che – ad esempio – gli Stati membri saranno obbligati ad approvare matrimoni tra persone dello stesso sesso, iniziando dal riconoscimento a tutti gli effetti, in ciascuno Stato, dei “matrimoni” contratti in altri Stati che già lo permettono.  Inoltre coppie formate da persone dello stesso sesso in tutti gli Stati Membri dovrebbero avere accesso libero all'adozione, alla fecondazione in vitro e alla maternità surrogata.
I gruppi gay poi non dovranno mai incontrare restrizioni o resistenze per lo svolgimento delle parate o di altre manifestazioni di piazza, cosa invece negata a chi voglia manifestare contro il riconoscimento delle unioni gay. In questo modo è evidente che il Parlamento europeo applicherebbe un doppio standard: libertà di espressione  illimitata per la comunità gay, ma libertà d’espressione ristretta per quanti  sono critici delle rivendicazioni omosessualiste.
Il pericolo di un tale indirizzo è evidente, e altrettanto evidente è il fatto che sia necessario fare sentire la propria voce alle istituzioni europee per evitare un “disastro antropologico”. Intanto, in vista del 4 febbraio ci sono già due strumenti: il primo è la firma di una petizione europea per chiedere agli europarlamentari di bloccare questa risoluzione (clicca qui per firmare).
L’altro strumento è una manifestazione europea contro il Rapporto Lunacek, una Manif pour Tous che si svolgerà domenica 2 febbraio contemporaneamente a Parigi, Lione, Roma,  Bruxelles, Madrid, Bucarest, Varsavia. Per Roma l’appuntamento è alle 11 in Piazza Farnese (per contatti e informazioni  www.lamanifpourtous.it).

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Genitori in Guerra contro il viceministro
di Tommaso Scandroglio
Parliamo di Maria Cecilia Guerra, vice ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali con delega alle Pari Opportunità. Se dici “pari opportunità” oggi devi pensare più alle pari opportunità per le persone omosessuali che a quelle per le donne. E così il vice-ministro non perde occasione di mostrarsi gay friendly. Lo scorso settembre, come è noto, venticinque coppie di connazionali erano state bloccate in Congo perché la Direction Générale de la Migration aveva deciso di sospendere i permessi di uscita per i minori in vista di una loro adozione internazionale. Il Congo, a seguito di alcune spiacevoli vicende che riguardavano soprattutto gli States e il Canada, non voleva dare in adozione i propri bambini a coppie gay. Il nostro governo assicurò quello congolese che da noi nessuna coppia omosessuale avrebbe mai potuto adottare un bambino. 
Ma il viceministro si mostrò d’altro parere e – fedele al suo cognome - fece brillare una mina diplomatica in un’intervista al Corriere del 9 gennaio scorso. “Lei pensa che sarebbe giusto concedere anche la possibilità di adozione alle coppie omosessuali?” chiede la giornalista. La Guerra risponde: “Personalmente penso di sì perché sono a favore di una piena equiparazione”. 
La vice ministro aveva poi risposto a La Nuova BQ prima di Natale difendendo le Linee guida per i giornalisti in tema di omofobia dell'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), un vero e proprio bavaglio per la stampa.
Da ultimo la Guerra, in un’intervista rilasciata lo scorso 21 gennaio all’Agenzia Sir, si è espressa con favore in merito al famigerato documento “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)”, strategia che, partorita all’interno del suo dipartimento ed elaborata sempre dall’UNAR, mira ad estendere l’ideologia di genere in tutti gli ambiti del vivere civile: dalla scuola al lavoro, dai mass media alle istituzioni sanitarie.
“Un primo aspetto – tiene innanzitutto a precisare la vice ministro - è che non si può negare che esista un problema di discriminazione nei confronti delle persone omosessuali o Lgbt nel nostro Paese”. Peccato che lo stesso documento, stilato dalle principali associazioni gay, smentisca le parole della Guerra. Infatti si indicano per il 2012 solo 135 casi rilevati di discriminazioni – tra l’altro non verificati e scovati d’ufficio (p. 5). Se aprissimo un numero verde per atti di discriminazione denunciati da interisti forse il numero sarebbe ben maggiore. Non c’è emergenza omofobia anche perché un altro studio realizzato a firma dell’Avvocatura per i diritti LGBT – Rete Lenford (Realizzazione di uno studio volto all’identificazione, analisi e al trasferimento di buone prassi in materia di non discriminazione nello specifico ambito dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, 2007-2013) ci informa che la percentuale di persone omosessuali le quali si dichiarano vittima di discriminazione oscilla tra il 2 e il 6 (p. 63). Stessa conferma viene dallo studio “A Global Divide On Homosexuality” del Pew Research Center di Washington: il 74% degli italiani dichiara la propria non ostilità verso l’omosessualità. 
Ma poco importa cosa ti dicono i fatti, l’importante è cosa ti suggerisce l’ideologia di genere: “Stiamo indicando che – continua il vice ministro - chi non è nel ‘modello’ della vita eterosessuale lui, sì, si trova ad essere spesso ‘discriminato’”. Capito l’equazione? “Omosessuale” uguale “discriminato”. Non basta altro.
Torniamo all’intervista. Domanda del giornalista: “Lei sa che questa ‘strategia’ è stata accusata di puntare ad ‘imporre un pensiero unico’ circa la condizione Lgbt. Cosa ne dice?”. Risposta della Guerra: “Anzitutto la strategia è stata validata dall’amministrazione, nel senso che c’è un ministro che si assume la responsabilità. Quindi non c’è niente che non sia stato condiviso al massimo livello e quando la si propone sappiamo tutti che nelle scuole ci sono degli organismi i cui rappresentanti sono anche gli studenti ed i genitori. […] Nel concreto si tratta di attività che vengono proposte, nessuna scuola è ‘obbligata’ a fare nessuna attività”. 
La critica alle parole del vice ministro è evidente: non è lecito proporre un’iniziativa diseducativa con la scusa che se gli istituti non la vogliono basta rifiutarla. E’ un po’ come dire: io ti inquino le falde acquifere, poi se vuoi puoi anche non aprire i rubinetti di casa. E poi nel documento dell’UNAR si parla di azioni di informazione, sensibilizzazione, monitoraggio e formazione: ben più che mere indicazioni orientative.
Continuiamo. All’obiezione che nelle scuole entreranno solo associazioni gay e non quelle dei genitori o di altro tipo il vice ministro ecco cosa risponde: “Il coinvolgimento delle realtà Lgbt è legato al fatto che queste hanno una rappresentanza specifica sul tema di cui si tratta. […] Le associazioni familiari invece non sono state coinvolte perché le famiglie sono rappresentate direttamente nella scuola, nei diversi organismi di gestione previsti”. A parti invertite: provate a far entrare delle associazioni pro-life a parlare di aborto nelle scuole pubbliche senza aver interpellato tutti, dai rappresentanti dei genitori al bidello. Non solo non vi faranno entrare ma vi bolleranno come scaltri sobillatori di giovani coscienze. L’unica speranza di riuscita sarebbe un contraddittorio in classe con associazioni abortiste. 
Inoltre, come annota un comunicato stampa redatto dalle associazioni di genitori della scuola A.G.E., AGeSC e FAES a commento delle parole del vice ministro, “a) il confronto fra il 'parere’ di un piccolo gruppo di genitori di una scuola e ‘l’indicazione’ che arriva da un Ministero dell’Istruzione che gestisce tutte le scuole statali appare in partenza ‘sbilanciato’ a favore di quest’ultimo; b) se il Ministero decide da solo cosa ‘indicare’, perché ha istituito un Forum Nazionale delle Associazioni di genitori della scuola come organo consultivo?”. Insomma: si sono scavalcati i genitori (rectius: si sono discriminati), loro che sono i primi soggetti competenti nell’educazione dei figli. Ci venga perdonato il facile gioco di parole, ma Guerra ha dichiarato guerra alle famiglie.
Sempre in questo comunicato si fa poi notare che, in merito a questa decisione del governo presa senza aver ascoltato i pareri di nessuno, “una discussione fra i rappresentanti politici eletti dai cittadini e un confronto con tutte le rappresentanze della società civile sarebbero più adeguati per arrivare a decidere su temi decisamente delicati che vanno ad impattare direttamente nelle scuole sull’educazione delle giovani generazioni, a partire dalle scuole dell’infanzia”.
La strategia prevista dal documento del Dipartimento Pari Opportunità non è rimasta sulla carta, ma sta prendendo piede in tutta Italia sulla scorta delle indicazioni contenute nel Decreto Legge 104/2013. L’operazione costerà a tutti noi 500mila euro più altre risorse previste dal Decreto citato, senza poi contare i 10 milioni di euro che si vorrebbero dare alle associazioni gay. La spending review non può essere discriminatoria.