lunedì 27 gennaio 2014

Ha ancora senso credere in Dio?


Il filosofo Vittorio Possenti spiega come rimettere l'esperienza metafisica al centro della discussione, nel contesto di un nuovo umanesimo condiviso


In un momento di crisi come quello che l’Europa sta vivendo, quali sono le domande radicali da porre? E che cosa significa e quali implicazioni hanno termini come "nichlismo giuridico”, “alleanza tra materialismo e tecnica”, “rivoluzione bio-politica” ? In che modo rimettere al centro della discussione l'esperienza metafisica che una certa cultura ridicolizza o relega alla sfera privata? Sono alcune delle domande alle quali risponde il prof. Vittorio Possenti, filosofo, direttore presso l'Università Cà Foscari di Venezia del Centro interdipartimentale di ricerca sui diritti umani (Cirdu), membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, della Pontificia accademia delle scienze sociali, della Pontificia accademia di San Tommaso d'Aquino, autore di oltre 25 volumi e varie centinaia di saggi.
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Nel recente rapporto sulla Dottrina Sociale della Chiesa si parla ampiamente di una dilagante “crisi giuridica” con caotiche conseguenze a livello locale ed internazionale. In un suo celebre saggio, lei tratta in profondità il tema del "nichilismo giuridico". Quali sono le prospettive in un clima di aspri contrasti?
Prof. Possenti: La presente crisi giuridica, che può evolvere verso momenti di nichilismo giuridico, rappresenta una delle maggiori espressioni dello scollamento tra diritto e realtà all’insegna di un libertarismo individualistico. Questo ritiene i diritti umani qualcosa che dipende non dalla natura dell’uomo ma dalle libere scelte individuali. Nel volume Le ragioni della laicità (Rubbettino 2007) ho sviluppato l’assunto di una doppia tradizione dei diritti umani: quella dignitaria fondata sulla persona, il suo carattere sociale, la sua dignità, e quella libertaria generata da un’idea individualistica e isolata di essere umano che tende a privilegiare i soli diritti di libertà, assumendo più o meno apertamente che i diritti umani si concentrino in questi ultimi. La conseguenza è che diritti primari come il diritto alla vita e quello al lavoro assumono nella prospettiva libertaria uno status secondario e subordinato ai precedenti.
 A questa situazione precaria si aggiunge un’attività giurisprudenziale di corti e magistrati che procedono ad innovazioni notevoli, allargando in modo disinvolto le maglie della legge o anche talvolta procedendo contra legem. L’attività delle corti internazionali tende a basarsi su un’interpretazione evolutiva dei principali trattati, convenzioni e dichiarazioni sui diritti umani, alla luce non dichiarata di un forte positivismo giuridico. Ciò accade nell’epoca in cui si fa più forte l’affidarsi al diritto come a fondamentale e quasi unica istanza e ‘collante’ che possano tenere insieme le attuali società fortemente pluralistiche e secolarizzate.
Il nichilismo giuridico, espressione del nichilismo europeo, è un ospite inquietante che bussa alla porta, insidiando la natura stessa del diritto, volgendolo verso la volontà del più forte, scindendone i legami con la ragione e la giustizia, facendo del diritto solo un prodotto del consenso sociale. Nel dialogo monacense tra Habermas e Ratzinger (2004) la questione è emersa per impulso di Ratzinger, che domandava se non esista qualcosa che non può mai diventare diritto anche se votato da una maggioranza.  Secondo Nietzsche invece non esiste nulla che sia giusto o ingiusto in sé, ma il giusto e l’ingiusto prendono vigore solo dopo la statuizione della legge positiva, e questo è ciò che deve valere come giusto o ingiusto sino a quando una nuova decisione positiva stabilisca una diversa distribuzione del giusto e dell’ingiusto. 
Al momento non è facile risalire la corrente. Una possibilità sarebbe offerta dall’intento di procedere ad una visione integrata dei diritti umani, nel senso che essi sono indivisibili, inalienabili e interconnessi di modo che nessuno può essere affermato contro un altro, e nessuno può essere lasciato fuori. Ciò aiuterebbe ad esempio a bloccare la deriva verso il riconoscimento di un assurdo diritto all’aborto. Un’altra strada importante da percorrere è quella di contrastare il ricorso indiscriminato al principio di non-discriminazione che tende ad essere impiegato dalla politica e dalle corti come un assoluto che passa sopra differenze reali che non possono invece essere cancellate.
 Rimane in ogni caso il bisogno di riprendere la lotta contro il positivismo giuridico, e contro l’assunto che la legge possieda un carattere pattizio e convenzionale in cui non si esprime una situazione reale ma l’esito di un accordo che avrebbe ben potuto essere diverso. Ciò significa che sempre di più si chiede alla legge di concedere autorizzazioni, di permettere, più che di indirizzare verso la vita buona. A sua volta questo aspetto implica che sia svanito l’elemento pedagogico della legge civile, a cui appunto non si domanda un indirizzo ma una quota crescente di permessi, autorizzazioni e ‘diritti’. Conseguentemente aumenta l’area del convenzionale e diminuisce ciò che vale per natura. In questo processo esercita un impatto decisivo la potenza della tecnica che mettendo a disposizione possibilità quasi illimitate di intervento e manipolazione, inclina a ritenere che il fattibile tecnicamente sia ipso facto lecito moralmente. Tende perciò a prevalere il funzionalismo che dice: magari non è lecito, ma funziona, ed evviva l’efficacia. In sostanza nel costume e nella cultura si osserva lo sfumarsi crescente della differenza tra diritto e pretesa.

Quali sono le caratteristiche della “rivoluzione bio-politica” di cui lei parla lel libro « La rivoluzione biopolitica, la fatale alleanza tra materialismo e tecnica » pubblicato da Lindau?
Prof. Possenti Ieri erano i totalitarismi, oggi può essere la potenza della tecnica quella che introduce i maggiori rischi, poiché la tecnica volge la sua attenzione verso l’uomo come oggetto di manipolazione e di produzione. Produrre artificialmente la persona e cambiarne l’essenza è il più alto (e folle) sogno che l’ideologia della Tecnica sembra nutrire: sogno che rimane tale ma che nel tentativo di essere realizzato comporta per noi grandi rischi.
La rivoluzione biopolitica mira molto in alto in specie con l’ingegneria genetica profonda che interviene sul genoma umano, e con l’idea di arrivare ad una condizione postumana, in cui avverrebbe una sorta di transizione dall’umano ad un’altra realtà che in mancanza di meglio si chiama postumana. Al centro di questa vicenda attualmente in fieri e abbastanza indeterminata si colloca il tema della persona e dell’umanesimo che, da qualunque parte si guardi, risulta del tutto decisivo.
Da una considerazione non superficiale della situazione antropologica contemporanea si evidenzia la necessità di un nuovo umanesimo condiviso, basato sulla realtà della persona e della natura umana, e sulla spiritualità dell’uomo. Ciò significa che l’uomo non è solo materia e natura fisica, ma emerge al di sopra della physis col suo spirito. Spesso le applicazioni più sconsiderate della tecnica hanno alla base l’assunto che la persona è mera materia organica disponibile per ogni trasformazione. Nel dibattito contemporaneo sull’umanesimo rimane poi decisivo mantenere la barriera uomo-animale, che teorie evoluzionistiche tendono in più casi a cancellare.
La mia impressione è che la tesi materialistica sia largamente diffusa nelle scienze (naturali, umane e sociali) e che proprio tale assunto tolga all’essere umano la differenza fondamentale che lo caratterizza in rapporto all’animale ed alla macchina. Ed è a questo incrocio che si innestano le forme radicali di biopolitica che si volgono solo verso la nuda vita biologica immanente, includendo in essa tutto l’uomo. In tal modo si finisce per decostruire l’idea stessa di persona, in certe posizioni sacrificata a favore di un’ambigua idea di impersonale.
Senza dubbio l'uomo contemporaneo è disorientato in un contesto estremamente parcellizzato e di dilagante secolarizzazione, in cui l´esperienza metafisica è considerata alla stregua di una favola o rilegata pudicamente nella sfera privata. Quale orizzonte si apre a chi, per un´esigenza insita nella natura umana e più forte nei momenti di crisi, si pone quelle domande radicali che vanno oltre la contingenza?
Prof. Possenti: Lo spaesamento dell’uomo contemporaneo risulta forte, nel senso che è dis-orientato, incerto, non di rado pronto a cambiare la ricerca della salvezza in ricerca della salute. Chi è in movimento verso un senso si pone  domande metafisiche a cui trova difficile dare risposta. Una strada maestra è quella di riprendere a considerare le esperienze umane elementari del nascere, del vivere, del lavorare, dell’amare e del morire, cercando di vederle in una luce esistenziale, come nuclei primari dell’esistenza che abbisognano di una risposta. Questo allo scopo di rendere abitabile il rapporto con se stessi e con la terra degli uomini. Dobbiamo cercare una vera e propria ecologia umana, senza di cui diventiamo soggetti a depressione e sbandamenti; se non siamo più in grado di rispondere alle domande essenziali la terra ci manca sotto i piedi. Dobbiamo riscoprire quelle esperienze elementari non da soli ma cercando di fare rete con gli altri, di edificare dialogo e comunità contro un individualismo che deprime ed intristisce con le sue continue richieste e pretese. E poi bisogna riprendere a parlare tra le generazioni: la solidarietà intergenerazionale include in primo luogo il tessere ogni giorno la tela dei rapporti intergenerazionali, grande scuola di vita e di senso, evitando che ogni nuova generazione si costituisca in un mondo chiuso e dialoghi solo con se stessa.
Se sapremo riannodare le fila del dialogo tra età diverse, successivamente potranno rinascere e trovare risposta concettualmente elaborata le questioni metafisiche nell’alta cultura e tra i filosofi. Qui vi è un bisogno immenso di pensiero positivo, poiché nichilismo, decostruzionismo, desiderio di ‘distruzione’ della storia della metafisica hanno infierito, mettendo da parte la questione della trascendenza e lasciando l’uomo rinchiuso nella sua finitezza, spesso percepita con un senso ultimo di disperazione. Di fatto l’elogio della finitezza non dura a lungo e spesso si converte in profondo disincanto. Ciò comporta la necessità di un rinnovato sguardo metafisico, di una sapienza metafisica di cui l’essere umano non può fare a meno. Con questa mossa si evita anche che la filosofia da sapere universale si indebolisca con le proprie mani e si riduca ad una delle tante province del sapere umano. Il cammino primario consiste nel passare dal fenomeno al fondamento, sormontando l’atteggiamento postmetafisico e il dubbio sulla possibilità della filosofia di raggiungere la verità, che per molti sarebbe esclusivo appannaggio della scienza.
Zenit