venerdì 13 settembre 2013

I primi sei mesi del Papa della misericordia

Papa Francesco

Francesco e la Chiesa che «non ha paura di uscire nella notte» dei lontani

ANDREA TORNIELLI

Sei mesi fa, la sera del 13 marzo scorso, il vescovo di Roma venuto «dalla fine del mondo» si affacciava dalla loggia centrale di  San Pietro e faceva pregare tutta la piazza recitando il Pater, Ave, Gloria, chiedendo - prima di benedire gli uomini e le donne della sua nuova diocesi e del  mondo intero - che la gente pregasse per lui.
L'elezione, avvenuta in tempi rapidissimi come quella del suo predecessore, è stata una sorpresa. Così come una sorpresa, un mese prima, era stato l'annuncio della rinuncia da parte di Benedetto XVI.  Due sono gli elementi che balzano agli occhi e che aiutano a spiegare l'attenzione e la simpatia suscitata, anche in ambienti lontani, da Francesco. Un'attenzione e una simpatia che non accennano a diminuire, nonostante le previsioni sulla fine della «luna di miele» mediatica avanzate da chi sembra talvolta rimpiangere i tempi recenti della Chiesa «sotto attacco».
Il primo è la sua testimonianza personale del messaggio evangelico: piccoli e grandi gesti, le piccole o grandi scelte quotidianamente compiute, la sua capacità di incontrare tutti e di parlare a tutti, il suo essere semplicemente se stesso, lo hanno reso non soltanto credibile, ma innanzitutto vicino. Il Papa viene percepito da tantissime persone in tutto il mondo come «uno di noi». Basta guardare agli abbracci con i malati, i sofferenti, i bambini. Basta guardare al tempo che trascorre tra la gente prima e dopo le udienze del mercoledì, per percepire questa vicinanza del vescovo di Roma che non ha paura della tenerezza. Per il resto, i cambiamenti operati sono sotto gli occhi di tutti, in sintonia con l'inedito nome che il Papa gesuita ha scelto di assumere, quello del Poverello di Assisi.
Il secondo elemento è il magistero rappresentato dalle omelie quotidiane della messa a Santa Marta. Brevi commenti sulle Letture del giorno, divenute un appuntamento atteso. Una «catechetica in briciole» (titolo di un libro di Albino Luciani) al tempo stesso profonda e capace di raggiungere il cuore delle persone. Questo magistero, derubricato da taluni come «fervorini», sta accompagnando di giorno in giorno tanti credenti più delle grandi encicliche o dei grandi dibattiti culturali.
Il messaggio che Francesco considera più importante, come egli stesso ha detto nell'omelia della messa nella parrocchia vaticana di Sant'Anna il 17 marzo, è quello della misericordia. «Senza la misericordia - ha detto ai vescovi brasiliani lo scorso luglio - c'è poco da fare oggi, per inserirsi in un mondo di feriti che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore». Serve una Chiesa, aggiungeva, «in grado di far compagnia... capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle». Serve una Chiesa «che non abbia paura di uscire nella loro notte, capace di intercettare la loro strada». Che cosa, se non questo, può aver spinto Francesco a prendere carta e penna, e rispondere personalmente alle domande di Eugenio Scalfari sulla fede e sulla figura di Gesù?
Un dato evidente a chi cerca di guardare la realtà - e non si lascia condizionare da pregiudizi nostalgici, dai propri gusti sull'abbigliamento ecclesiastico, o ancora dal dibattito autoreferenziale di alcuni circoli intellettuali che hanno spesso schiacciato il profondo magistero di Papa Ratzinger nello schema di una Chiesa tutta «law & order» - è che questi primi sei mesi di pontificato hanno regalato a molti un respiro nuovo.
C'è comprensibilmente una grande attesa negli ambienti ecclesiastici e mediatici per le annunciate riforme strutturali: la cura dimagrante per la Curia; l'urgente e quanto mai necessario e radicale risanamento degli organismi finanziari vaticani, così spesso occasione di contro-testimonianza evangelica; le nomine nei dicasteri della Santa Sede. Tutte riforme necessarie, che devono avere come criterio ultimo, spiegava il cardinale Bergoglio nel suo intervento alle congregazioni del pre-conclave, soltanto quello del «bene delle anime».
Eppure, come ha osservato padre Federico Lombardi, questo aspetto delle «cosiddette riforme di struttura» - così dibattute tra gli addetti ai lavori - non va sopravvalutato. Perché, ha detto Lombardi a Radio Vaticana, «quello che conta è il cuore della riforma perenne della vita della Chiesa, e in questo senso Papa Francesco, certamente, con l’esempio, con la sua spiritualità, con il suo atteggiamento di umiltà e di prossimità, vuole renderci vicini a Gesù, vuole renderci una Chiesa che cammina, vicina all’umanità di oggi, in particolare all’umanità che soffre e che più ha bisogno della manifestazione dell’amore di Dio».
È proprio questo atteggiamento di «umiltà e di prossimità», questo ritorno all'essenziale della fede cristiana e alla radicalità evangelica, il segno distintivo di questi primi mesi. Un atteggiamento che dà forza  e credibilità a messaggi come quello per la pace in Siria, rendendo possibile un evento straordinario, senza precedenti come la veglia di sabato 7 settembre. Con il Papa per quattro ore in preghiera in piazza San Pietro, ai piedi dell'icona mariana «Salus Populi Romani» e poi di fronte all'eucaristia.


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"Ha successo perché è positivo, la gente ha bisogno di amore". Intervista a p. Federico Lombardi   
La Repubblica - Le Inchieste

(Paolo Rodari) "Il pontefice", sostiene il portavoce del Vaticano, "insiste sulla misericordia di Dio. Sa che tanti portano profonde ferite da risanare. Lo sa dire in modo chiaro, semplice, efficace, con parole e gesti di prossimità anche fisica". In questi primi sei mesi tanti cambiamenti.  (...)