martedì 3 settembre 2013

Il Papa: Gesù non ha bisogno di eserciti per vincere il male, la sua forza è l’umiltà



Il  tweet di Papa Francesco: "Gesù, venendo in mezzo a noi trasforma la nostra vita. In Lui vediamo che Dio è amore, è fedeltà, è vita che si dona." (3 settembre 2013)


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L’umiltà, la mitezza, l’amore, l’esperienza della croce sono i mezzi attraverso i quali il Signore sconfigge il male. E la luce che Gesù ha portato nel mondo vince la cecità dell’uomo, spesso abbagliato dalla falsa luce del mondo, più potente ma ingannevole. Sta a noi saper discernere quale luce viene da Dio. È questo il senso della riflessione proposta da Papa Francesco durante la messa celebrata questa mattina, martedì 3 settembre, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Commentando la prima lettura, il Santo Padre si è soffermato sulla «bella parola» che san Paolo rivolge ai Tessalonicesi: «Voi fratelli non siete nelle tenebre... siete tutti figli della luce e figli del giorno, non della notte. Noi non apparteniamo alla notte né alle tenebre» (1 Ts 5,1-6, 9-11). È chiaro, ha spiegato il Papa, quello che vuole dire l’apostolo: «l’identità cristiana è identità della luce, non delle tenebre». E Gesù ha portato questa luce nel mondo. «San Giovanni — ha precisato Papa Francesco — nel primo capitolo del suo Vangelo ci dice “la luce è venuta nel mondo”, lui, Gesù». Una luce che «non è stata ben voluta dal mondo», ma che tuttavia «ci salva dalle tenebre, dalle tenebre del peccato». Oggi, ha proseguito il Pontefice, si pensa che sia possibile ottenere questa luce che squarcia le tenebre attraverso tanti ritrovati scientifici e altre invenzioni dell’uomo, grazie ai quali «si può conoscere tutto, si può avere scienza di tutto». Ma «la luce di Gesù — ha avvertito Papa Francesco — è un’altra cosa. Non è una luce di ignoranza, no, no! È una luce di sapienza, di saggezza; ma è un’altra cosa. La luce che ci offre il mondo è una luce artificiale. Forse forte, più forte di quella di Gesù, eh?. Forte come un fuoco di artificio, come un flash della fotografia. Invece la luce di Gesù è una luce mite, è una luce tranquilla, è una luce di pace. È come la luce della notte di Natale: senza pretese. È così: si offre e dà pace. La luce di Gesù non fa spettacolo; è una luce che viene nel cuore. È vero che il diavolo, e questo lo dice san Paolo, tante volte viene travestito da angelo di luce. A lui piace imitare la luce di Gesù. Si fa buono e ci parla così, tranquillamente, come ha parlato a Gesù dopo il digiuno nel deserto: “se tu sei il figlio di Dio fa’ questo miracolo, buttati giù dal tempio” fa’ lo spettacolo! E lo dice in una maniera tranquilla» e perciò ingannevole.
Per questo Papa Francesco ha raccomandato di «chiedere tanto al Signore la saggezza del discernimento per riconoscere quando è Gesù che ci dà la luce e quando è proprio il demonio travestito da angelo di luce. Quanti credono di vivere nella luce ma sono nelle tenebre e non se ne accorgono!».
Ma com’è la luce che ci offre Gesù? «Possiamo riconoscerla — ha spiegato il Santo Padre — perché è una luce umile. Non è una luce che si impone, è umile. È una luce mite, con la forza della mitezza; è una luce che parla al cuore ed è anche una luce che offre la croce. Se noi, nella nostra luce interiore, siamo uomini miti sentiamo la voce di Gesù nel cuore e guardiamo senza paura alla croce nella luce di Gesù». Ma se, al contrario, ci lasciamo abbagliare da una luce che ci fa sentire sicuri, orgogliosi e ci porta a guardare gli altri dall’alto, a sdegnarli con superbia, certamente non ci troviamo in presenza della «luce di Gesù». È invece «luce del diavolo travestito da Gesù — ha detto il Vescovo di Roma — da angelo di luce. Dobbiamo distinguere sempre: dove è Gesù c’è sempre umiltà, mitezza, amore e croce. Mai troveremo infatti Gesù senza umiltà, senza mitezza, senza amore e senza la croce. Lui ha fatto per primo questa strada di luce. Dobbiamo andare dietro a lui senza paura», perché «Gesù ha la forza e l’autorità per darci questa luce». Una forza descritta nel brano del Vangelo della liturgia odierna, nel quale Luca narra l’episodio della cacciata, a Cafarnao, del demonio dall’uomo posseduto (cfr. Lc 4, 16-30). «La gente — ha sottolineato il Papa commentando la lettura — era presa dal timore e, dice il Vangelo, si domandava: “che parola è mai questa che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?”. Gesù non ha bisogno di un esercito per scacciare via i demoni, non ha bisogno della superbia, non ha bisogno della forza, dell’orgoglio». Qual è questa parola «che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?», si è chiesto il Pontefice. «È una parola — è stata la sua risposta — umile, mite, con tanto amore». È una parola che ci accompagna nei momenti di sofferenza, che ci avvicinano alla croce di Gesù. «Chiediamo al Signore — è stata l’esortazione conclusiva di Papa Francesco — che ci dia oggi la grazia della sua luce e ci insegni a distinguere quando la luce è la sua luce e quando è una luce artificiale fatta dal nemico per ingannarci».
L'Osservatore Romano

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“Chi fa chiacchiere uccide i fratelli” l’anatema del Papa sui veleni nella Chiesa
La Repubblica - Rassegna "Fine settimana"
 
(Paolo Rodari) Con ieri sono tornate le omelie del mattino di papa Francesco. Pronunciate a braccio, prendono spunto sempre dal Vangelo del giorno. Riflessioni il cui destinatario soltanto in apparenza è l’indistinto orbe cattolico. In realtà, Jorge Mario Bergoglio non (...) 

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Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza, aveva detto domenica all’Angelus il Papa. In Siria si rischia la guerra mondiale, ha aggiunto ieri per fare ancora più chiarezza mons. Mario Toso, segretario del Pontificio consiglio Giustizia e Pace, secondo cui c’è il concreto pericolo che il conflitto “deflagri e si estenda ad altri paesi”. Gli ingredienti, aggiunge a Radio Vaticana, “ci sono tutti”. L’attacco contro Damasco – anche se limitato nel tempo e sferrato per punire l’uso di armi chimiche sulla popolazione civile da parte del regime di Bashar el Assad – è un’opzione che non può neppure essere presa in considerazione, a giudizio della Santa Sede. Mentre le strutture diplomatiche d’oltretevere lavorano per favorire una composizione del conflitto attraverso “l’incontro e il negoziato”, Francesco si prepara alla veglia di preghiera e digiuno di sabato prossimo, cui si unirà “probabilmente” anche il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, la quale ha comunque precisato – se ce ne fosse bisogno – che non si unirà nella preghiera “in quanto laica”. L’obiettivo del gesto di Bergoglio è di mobilitare le coscienze, di riempire il sagrato di San Pietro di uomini e donne (non importa se cristiani, appartenenti ad altre confessioni religiose o atei) convinti che, se non al giudizio di Dio, almeno “a quello della storia sulle nostre azioni non si potrà sfuggire”.
La strategia è chiara ed è stata messa a punto sabato mattina nel corso di un’udienza a Santa Marta cui hanno preso parte i vertici della segreteria di stato, il prefetto della Congregazione per le chiese orientali, il cardinale Sandri, e il Pontefice stesso. Due giorni prima, Francesco aveva ricevuto il re giordano, Abdallah II, per farsi un’idea in prima persona di quale sia la situazione sul campo e degli sviluppi diplomatici. Un Angelus, quello di domenica, in cui il Papa cita Giovanni XXIII e la sua Pacem in terris, ma nel quale pare di riascoltare il “nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra” pronunciato da Pio XII nell’agosto del 1939 e i passaggi più duri e drammatici della Lettera di Benedetto XV ai capi dei popoli belligeranti del 1917, in piena Grande Guerra.
L’attivismo del Papa argentino contro la guerra senza se e senza ma – anche se come reazione all’uso di armi chimiche, condannato esplicitamente domenica da Francesco – è molto di più che preoccupazione per le conseguenze che potranno scaturire dai raid sulla Siria. Bergoglio sta ribaltando il concetto secondo il quale, in casi particolari e circostanziati, l’intervento umanitario sia ammissibile se non addirittura provvidenziale. E’ una rivoluzione che chiude un’epoca durata vent’anni, da quando Giovanni Paolo II scrisse una lettera all’allora segretario generale dell’Onu, Boutros Boutros-Ghali, in cui sosteneva che “l’autorità del diritto e la forza morale dell’Onu costituiscono le basi sulle quali si fonda il diritto d’intervento per salvaguardare la popolazione presa in ostaggio dalla follia mortale dei fautori della guerra”. Ribadiva quanto, l’anno prima, aveva detto intervenendo alla Fao: “Sia reso obbligatorio l’intervento umanitario nelle situazioni che compromettono gravemente la sopravvivenza di popoli e di interi gruppi etnici: è un dovere per le nazioni e la comunità internazionale”. Oggi, Francesco archivia il bellum iustum invocato da Karol Wojtyla per salvare Sarajevo e grida dalla finestra dello studio privato del Palazzo apostolico che “non è mai l’uso della violenza che porta alla pace”. Le bombe, insomma, non si possono mai considerare legittime. Neanche se hanno impressa la firma delle Nazioni Unite.
M. Matzuzzi

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“la Repubblica” - Rassegna "Fine settimana"
(Marco Ansaldo) L’appello, il digiuno, due tweet. E poi incontri personali, parole di fermezza, la mobilitazione della sua diplomazia. Jorge Mario Bergoglio prova a lanciare il peso del suo fresco incarico come Pontefice di Santa Romana Chiesa nel tentativo di coagulare, (...)
Bonino, Veronesi e il Gran Muftì di Siria ecco il popolo dei “digiunatori” di Francesco (di Marco Ansaldo in “la Repubblica” - Rassegna "Fine settimana"