mercoledì 11 settembre 2013

Uccelli di rovo: nuova serie



«Il celibato non è un dogma» - Apertura di Parolin sui preti
di Gian Guido Vecchi
in “Corriere della Sera” del 11 settembre 2013
Il celibato sacerdotale? «Non è un dogma della Chiesa e se ne può discutere perché è una tradizione
ecclesiastica». Le parole dell'arcivescovo Pietro Parolin, neo Segretario di Stato vaticano in carica
dal 15 ottobre, non significano certo che la Chiesa stia pensando di abolire quella tradizione che
«risale ai primi secoli» e della quale lo stesso Parolin difende il valore, «non si può dire,
semplicemente, che appartiene al passato». Però è importante il fatto stesso che il suo più stretto
collaboratore parli di «una grande sfida per il Papa», poiché «egli possiede il ministero dell'unità e
tutte queste decisioni devono essere assunte per unire la Chiesa, non per dividerla». Che dica: «È
possibile parlare e riflettere e approfondire quei temi che non sono articoli di fede e pensare ad
alcune modifiche, però sempre al servizio dell'unità e secondo la volontà di Dio».
Con i tempi (lunghi) della Chiesa, l'idea di «modifiche» non è più un tabù. Parolin, nunzio a
Caracas, parlando al quotidiano venezuelano El Universal pondera le parole. Dice che si tratta di
seguire «la volontà di Dio e la storia della Chiesa» così come «l'apertura ai segni dei tempi», ad
esempio «la scarsezza del clero». Di per sé che il celibato non sia un dogma è un dato di fatto.
Eppure, nel 2006, bastò che il cardinale Cláudio Hummes ricordasse la stessa cosa perché dal
Vaticano fioccassero precisazioni imbarazzate. Era stato appena nominato prefetto del clero e la
cosa, si disse, gli costò un certo isolamento in Curia. Ma i tempi cambiano, il cardinale cappuccino
è un grande amico di Bergoglio (fu lui ad abbracciarlo nella Sistina e dirgli: «Ricordati dei
poveri!») e chi dice queste cose non rischia più l'isolamento.
Del resto il neo Segretario di Stato parla di riforme, dei cambiamenti che riprendono il Concilio e
trovano «resistenze» ma «non possono mettere in pericolo l'essenza della Chiesa»: e dice che se la
Chiesa «non è una democrazia» — alla fine decide il Papa — «è una buona cosa che in questi tempi
ci sia spirito più democratico, nel senso di ascoltare attentamente», una «conduzione collegiale dove
possono esprimersi tutte le istanze». Propri ieri il Papa a riunito i capi dicastero in vista della
riunione del «gruppo» cardinalizio che a ottobre affronterà la riforma di Curia.
Ma quali potrebbero essere le «modifiche» da discutere sul celibato? C'è un'idea che si fa strada da
quando nel 2009 Benedetto XVI istituì degli «ordinariati» per gli anglicani che tornavano nella
Chiesa cattolica, compresi i sacerdoti sposati. Di per sé, non una novità assoluta: nella Chiesa
cattolica esistono già dei preti sposati. La disciplina del celibato vale per la Chiesa latina, ma in
quelle cattoliche orientali non c'è obbligo. C'è quindi la possibilità che in futuro si vada verso una
doppia disciplina anche nella Chiesa latina. Magari con le stesse regole: solo i celibi possono essere
vescovi.
Del resto grandi voci nella Chiesa hanno aperto il tema. Il cardinale Carlo Maria Martini parlò del
celibato come di «un grande valore e un segno evangelico» ma diceva: «Non per questo è
necessario imporlo a tutti». Propose «la possibilità di ordinare viri probati», ovvero «uomini sposati
che abbiano esperienza e maturità». L'ipotesi era stata bocciata nel sinodo del 2005, altre voci
importanti si aggiunsero. Lo stesso Bergoglio parlò del tema da cardinale, nel libro Papa
Francesco. Un testo in cui afferma d'essere «pienamente convinto» che "il celibato vada
conservato». Ma dice anche che «se la Chiesa dovesse rivedere tale norma» non lo farebbe «spinta
dalla scarsità» di vocazioni e comunque «non sarebbe una regola valida per tutti»: «Tratterebbe la
cosa come un problema culturale di un luogo specifico, non in modo universale ma come
un'opzione personale».

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La norma nel IV secolo ma ai preti orientali fu concesso di sposarsi (Armando Torno)