lunedì 2 settembre 2013

Un pastore più povero dei poveri



A Messina il cardinale Amato beatifica Antonio Franco. 

«Pastore secondo il cuore di Cristo, zelante testimone della carità evangelica». Le parole usate da Papa Francesco per definire Antonio Franco (1585-1626), prelato ordinario di Santa Lucia del Mela, riecheggiano lunedì pomeriggio, 2 settembre, nella cattedrale di Messina. Le ripropone il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il quale, in rappresentanza del Santo Padre, presiede il rito per la beatificazione di questo esemplare testimone della fede, il quale «non aveva limiti nel dare» come sottolinea il porporato nella sua omelia. Antonio Franco «dava secondo il bisogno, dava tanto da ridursi spesso a essere più povero dei poveri». Un’opera caritativa, la sua, che, come afferma il cardinale Amato, si esprimeva «anche verso gli ammalati, che visitava spesso e al cui capezzale accorreva anche di notte per prepararli all’ultimo passo». Ed era un’opera accompagnata da una instancabile azione pastorale, che si intensificò quando nel 1616 il re di Spagna, Filippo III, nominò Franco abate e prelato ordinario della prelatura nullius di Santa Lucia del Mela in Sicilia, con gli stessi privilegi episcopali del suo predecessore. 
A quel tempo, ricorda ancora il cardinale Amato, la prelatura aveva circa 4.200 abitanti, quasi tutti contadini e pastori. Il nuovo beato si distinse per lo zelo a favore della popolazione e del clero. «Per un vescovo — dice il porporato — non è sufficiente essere personalmente santo, bisogna anche che egli educhi i suoi fedeli ad avere costumi onesti, pii, evangelici». 
Egli, aggiunge, «spese gli ultimi anni della sua vita proprio alla formazione del popolo di Dio, alla cui santificazione contribuì con i sinodi diocesani annuali, con le ammonizioni emesse con prudenza e avvedutezza, con le solenni feste religiose, con la preparazione e la frequenza ai sacramenti, con le visite alle chiese, ai monasteri, agli ospedali, alle confraternite, con l’istruzione civile e religiosa dei piccoli, con l’istituzione di scuole per i giovani e le giovani».
Da zelante pastore, «si interessò della promozione delle vocazioni, della formazione iniziale dei chierici e di quella permanente dei sacerdoti». Si narra, fa notare il porporato, «che con la sua solerzia e il suo zelo, alla sua morte lasciò in Santa Lucia un clero di ben settanta presbiteri secolari e di ottanta chierici, senza tener conto dei sacerdoti regolari e dei religiosi». Un fatto importante per una diocesi molto piccola come quella di Santa Lucia del Mela. Monsignor Franco, infatti, ha lasciato una traccia indelebile nella comunità, in quanto la sua diffusa fama di santità, nonostante siano passati quasi quattro secoli dalla sua morte, è «giunta intatta e viva fino a noi». 
A questo proposito, ricorda il cardinale Amato, monsignor Franco ancora vivente «era venerato per la sua vita santa e per la sua fama di taumaturgo, con interventi prodigiosi a favore degli ammalati e dei contadini, che chiedevano la pioggia per i loro campi o l’allontanamento delle intemperie dai loro raccolti». 
Il prelato morì in odore di santità, il 2 settembre 1626, consumato dalle penitenze e dalle privazioni alle quali si sottoponeva in spirito di sacrificio.
L'Osservatore Romano