domenica 13 ottobre 2013

Amore senza fine



Videomessaggio di papa Francesco alla Cerimonia di Beatificazione di 522 martiri spagnoli del XX secolo, che si è svolta oggi a Tarragona


Di seguito il testo del videomessaggio di Papa Francesco, che è stato trasmesso all’ inizio della Cerimonia di Beatificazione di 522 martiri spagnoli del XX secolo, svoltasi oggi a Tarragona.
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Cari fratelli e sorelle , buongiorno
Mi unisco di cuore con tutti i partecipanti alla celebrazione che si svolge a Tarragona , in cui un gran numero di pastori , persone consacrate e fedeli laici sono stati proclamati Beati Martiri .
Chi sono i martiri? Sono cristiani impegnati per Cristo, discepoli che hanno imparato bene il significato della parole "amare sino alla fine" che ha portato Gesù sulla croce . Non esiste amore parziale o in porzioni. L’amore è totale: e quando si ama si ama fino alla fine. Sulla croce, Gesù ha sentito il peso della morte, il peso del peccato, però si affidò completamente al Padre, e ha perdonato. Quasi non pronunciò parole, ma consegnò la sua vita. Cristo è il primo nell’amore e i martiri lo hanno imitato nell’amare fino alla fine. 
Appena pronunciato queste parole, Cristo è stato il primo a dare la sua vita, così i martiri lo hanno imitato nel l’amare fino alla fine.
Dicono i Santi Padri: "Imitiamo i martiri!”. Dobbiamo sempre morire un po’ per uscire da noi stessi, dal nostro egoismo, dal nostro benessere, dalla nostra pigrizia, dai nostri dolori, e di aprirci a Dio, per aiutare gli altri, soprattutto i più bisognosi .
Imploriamo l'intercessione dei martiri per essere cristiani concreti, cristiani in opere e non solo in parole, per non essere cristiani mediocri, verniciati di cristianesimo senza sostanza. I martiri non sono verniciati di cristianesimo, sono cristiani fino alla fine, chiediamo il loro aiuto per rendere solida la fede, anche se ci sono delle difficoltà, ed essere fermento di speranza e architetti di fratellanza e solidarietà .
Vi chiedo di pregare per me. Che Gesù vi benedica e la Vergine Santa si prenda cura di voi. 
Trad. Zenit
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"Lodiamo il Signore per questi suoi coraggiosi testimoni, e per loro intercessione supplichiamolo di liberare il mondo da ogni violenza". Con queste parole, Papa Francesco ha ricordato all'Angelus di stamattina, al termine della Messa in Piazza San Pietro, i 522 martiri della persecuzione spagnola beatificati oggi a Tarragona, in Spagna, nella cerimonia presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Ai partecipanti, il Papa ha inviato anche un videomessaggio, nel quale ha indicato i martiri come esempio da seguire per uscire da se stessi e aprirsi a Dio. 

“¿Quiénes son los mártires? Son cristianos ganados por Cristo…”.

“Chi sono i martiri? Sono cristiani conquistati da Cristo, discepoli che hanno imparato bene il senso di quell’"amare fino al limite estremo" che portò Gesù sulla Croce”. Papa Francesco mostra la figura dei martiri in una luce nuova: quella di imitatori dell’amore di Cristo fino alla fine. Gesù, infatti, sulla Croce ha provato il peso della morte e del peccato, ma si è affidato interamente al Padre e ha perdonato, ha donato la vita, dimostrando che non esiste l’amore a rate, a porzioni, ma solo l’amore totale, perché quando si ama, si ama fino alla fine. 

“Dicen los Santos Padres: 'Imitemos a los mártires!'. Siempre hay que morir un poco para salir de nosotros mismos…”.

“Dicono i Santi Padri: "Imitiamo i martiri!". Bisogna sempre morire un po’ per uscire da noi stessi e dal nostro egoismo”. Il Papa invita, così, a implorare l’intercessione dei martiri per essere cristiani concreti e non mediocri, cristiani di opere e non di parole, sull’esempio di coloro che erano cristiani fino alla fine: solo in questo modo saremo “fermento di speranza e artefici di fratellanza e solidarietà”.

Sull’importanza della testimonianza di chi ha subito il martirio, aveva insistito anche il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato, presente oggi alla cerimonia di Tarragona in rappresentanza del Santo Padre, il quale ha definito i martiri spagnoli, al microfono di Roberto Piermarini, “profeti disarmati della carità di Cristo”:

“Sono tutte vittime innocenti che affrontarono carceri, torture, processi ingiusti, umiliazioni e supplizi indescrivibili. È una schiera immensa di battezzati che seguirono Cristo fino al Calvario per risorgere con Lui nella gloria della Gerusalemme celeste. La loro beatificazione è un evento straordinario di grazia”. 
Qualcuno li chiama erroneamente caduti della Guerra civile, ma sono qualcosa di più i martiri dell’ondata anticattolica verificatasi in Spagna negli anni Trenta del secolo scorso: sono vittime di una persecuzione religiosa che si proponeva lo sterminio programmato della Chiesa. Tutto ebbe inizio nel 1931 con l’istituzione della Repubblica: allora combattere la monarchia equivaleva a combattere la Chiesa, ma la situazione degenerò durante la Guerra civile, quando iniziarono la profanazione delle chiese e perfino delle tombe, la distruzione dei simboli, ma soprattutto gli omicidi dei credenti. A iniziare le Beatificazioni delle vittime di quel periodo fu Giovanni Paolo II che, vissuto sotto la scure del nazismo prima e del comunismo poi, voleva che ci si ricordasse di ciascuno di loro, in un’epoca in cui erano considerati martiri cristiani solo coloro che erano morti durante le persecuzioni dell’impero romano. I martiri, invece, che non hanno bisogno di dimostrare virtù eroiche, ma sono illuminati da una fede per cui vale la pena di dare la propria vita. Tornano con ogni totalitarismo e ogni dittatura, testimoni che hanno il coraggio di andare controcorrente senza piegarsi alle leggi mondane. Del loro esempio di persone che perseguono il bene e non hanno paura di convertirsi ad esso, hanno parlato spesso anche Benedetto XVI e ora Papa Francesco, come ricorda ancora il cardinale Amato

“Tutti siamo chiamati a convertirci alla pace, alla fraternità, al rispetto altrui, alla serenità nei rapporti umani. Così hanno agito i nostri martiri, così agiscono i Santi che – come dice Papa Francesco – seguono ‘la strada della conversione, la strada dell’umiltà, dell’amore, del cuore. Insomma: la strada della bellezza e della santità'”. 

Erano persone che non odiavano nessuno, questi martiri. Al contrario, amavano tutti e a tutti facevano del bene occupandosi della catechesi nelle parrocchie, dell’insegnamento nelle scuole, della cura degli ammalati, della carità ai poveri, dell’assistenza agli anziani e agli emarginati. Il loro è un invito silenzioso al perdono, all’eliminazione dal cuore del rancore e dell’odio, un messaggio alla pace diretto a tutti e sempre attuale nel mondo di oggi, come conclude il cardinale Amato: 

“Tutti siamo invitati a convertirci al bene, non solo chi si dichiara cristiano, ma anche chi non lo é. Per questo la Chiesa invita anche i persecutori a non temere di convertirsi, a non aver paura del bene, a rigettare il male. Tutti, buoni e cattivi, abbiamo bisogno di conversione”.
 Radio Vaticana 


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Di seguito il testo originale della omelia del Card. Amato.

Homilía de la Misa de Beatificación del año de la Fe

Angelo Card. Amato, SDB

l. La Iglesia española celebra hoy la beatificación de 522 (quinientos veintidós) hijos mártires, profetas desarmados de la caridad de Cristo. Es un extraordinario evento de gracia, que quita toda tristeza y llena de júbilo a la comunidad cristiana. Hoy recordamos con gratitud su sacrificio, que es la manifestación concreta de la civilización del amor predicada por Jesús: «Ahora -dice el libro del Apocalipsis de San Juan-se cumple la salvación, la fuerza y el reino de nuestro Dios y la potencia de su Cristo» (Ap 12, 10). Los mártires no se han avergonzado del Evangelio, sino que han permanecido fieles a Cristo, que dice: «Si alguno quiere seguirme, niéguese a sí mismo, tome su cruz cada día y me siga. Quien quiera salvar la propia vida, la perderá, pero quien pierda la propia vida por mí, la salvará» (Le 9, 23-24). Sepultados con Cristo en la muerte, con Él viven por la fe en la fuerza de Dios (cf. Col 2, 12). 

España es una tierra bendecida por la sangre de los mártires. Si nos limitamos a los testigos heroicos de la fe, víctimas de la persecución religiosa de los años 30 (treinta) del siglo pasado, la Iglesia en 14 (catorce) distintas ceremonias ha beatificado más de mil. La primera, en 1987 (mil novecientos ochenta y siete), fue la beatificación de tres Carmelitas descalzas de Guadalajara. Entre las ceremonias más numerosas recordamos la del 11 (once) de marzo de 2001 (dos mil uno), con 233 (doscientos treinta y tres) mártires; la del 28 (veintiocho) de octubre de 2007 (dosmilsiete), con 498 (cuatrocientos noventa y ocho) mártires, entre los cuales los obispos de Ciudad Real y de Cuenca; y la celebrada en la catedral de la Almudena de Madrid, el 17 (diecisiete) de diciembre de 2011 (dosmil once), con 23 (veintitrés) testigos de la fe. 

Hoy, aquí en Tarragona, el Papa Francisco beatifica 522 (quinientos veintidós) mártires, que «versaron su sangre para dar testimonio del Señor Jesús» (Carta Apostólica). Es la ceremonia de beatificación más grande que ha habido en tierra española. Este último grupo incluye tres obispos ­Manuel Basulto Jiménez, obispo de Jaén; Salvio Huix Miralpeix, obispo de Lleida e Manuel Borrás Ferré, obispo auxiliar de Tarragona -y, además, numerosos sacerdotes, seminaristas, consagrados y consagradas, jóvenes y ancianos, padres y madres de familia. Son todos víctimas inocentes que soportaron cárceles, torturas, procesos injustos, humillaciones y suplicios indescriptibles. Es un ejército inmenso de bautizados que, con el vestido blanco de la caridad, siguieron a Cristo hasta el Calvario para resucitar con Él en la gloria de la Jerusalén celestial. 

2. En el periodo oscuro de la hostilidad anticatólica de los años 30 (treinta), vuestra noble nación fue envuelta en la niebla diabólica de una ideología, que anuló a millares y millares de ciudadanos pacíficos, incendiando iglesias y símbolos religiosos, cerrando conventos y escuelas católicas, detruyendo parte de vuestro precioso patrimonio artístico. El Papa Pío XI (once) con la encíclica Dilectissima nobis, del 3 (tres) de junio de 1933 (mil novecientos treinta y tres), denunció enérgicamente esta libertina política antirreligiosa. 

Recordemos de antemano que los mártires no fueron caídos de la guerra civil, sino víctimas de una radical persecución religiosa, que se proponía el exterminio programado de la Iglesia. Estos hermanos y hermanas nuestros no eran combatientes, no tenían armas, no se encontraban en el frente, no apoyaban a ningún partido, no eran provocadores. Eran hombres y mujeres pacíficos. Fueron matados por odio a la fe, solo porque eran católicos, porque eran sacerdotes, porque eran seminaristas, porque eran religiosos, porque eran religiosas, porque creían en Dios, porque tenían a Jesús como único tesoro, más querido que la propia vida. No odiaban a nadie, amaban a todos, hacían el bien a todos. Su apostolado era la catequesis en las parroquias, la enseñanza en las escuelas, el cuidado de los enfermos, la caridad con los pobres, la asistencia a los ancianos y a los marginados. A la atrocidad de los perseguidores, no respondieron con la rebelión o con las armas, sino con la mansedumbre de los fuertes. 

En aquel periodo, mientras se encontraba en el exilio, Don Luigi Sturzo, diplomático y sacerdote católico italiano, en un artículo de 1933 (mil novecientos treinta y tres), publicado en el periódico El Mati de Barcelona, escribía con intuición profética, que las modernas ideología son verdaderas religiones idolátricas, que exigen altares y víctimas, sobre todo víctimas, miles, e incluso millones. Y añadía que el aumento aberrante de la violencia hacía que las víctimas fueran con mucho más numerosas que en las antiguas persecuciones romanas.(2) 

3. Queridos hermanos, ante la respuesta valiente y unánime de estos mártires, sobre todo de muchísimos sacerdotes y seminaristas, me he preguntado muchas veces: cómo se explica su fuerza sobrehumana de preferir la muerte antes que renegar la propia fe en Dios? Además de la eficacia de la gracia divina, la respuesta hay que buscarla en una buena preparación al sacerdocio. En los años previos a la persecución, en los seminarios y en las casas de formación los jóvenes eran informados claramente sobre el peligro mortal en el que se encontraban. Eran preparados espiritualmente para afrontar incluso la muerte por su vocación. Era una verdadera pedagogía martirial, que hizo a los jóvenes fuertes e incluso gozosos en su testimonio supremo. 

4. Ahora planteémonos una pregunta: ¿por qué la Iglesia beatifica a estos mártires? La respuesta es sencilla: la Iglesia no quiere olvidar a estos sus hijos valientes. La Iglesia los honra con culto público, para que su intercesión obtenga del Señor una lluvia beneficiosa de gracias espirituales y temporales en toda España. La Iglesia, casa del perdón, no busca culpables. Quiere glorificar a estos testigos heroicos del evangelio de la caridad, porque merecen admiración e imitación. 

La celebración de hoy quiere una vez más gritar fuertemente al mundo, que la humanidad necesita paz, fraternidad, concordia. Nada puede justificar la guerra, el odio fratricida, la muerte del prójimo. Con su caridad, los mártires se opusieron al furor del mal, como un potente muro se opone a la violencia monstruosa de un tsunami. Con su mansedumbre los mártires desactivaron las armas micidiales de los tiranos y de los verdugos, venciendo al mal con el bien. Ellos son los profetas siempre actuales de la paz en la tierra. 

5. y ahora una segunda pregunta: ¿por qué la beatificación de los mártires de muchas diócesis españolas adviene aquí en Tarragona? 

Hay dos motivos. Ante todo el grupo más numeroso de los mártires es el de esta antiquísima diócesis española, con 147 (ciento cuarenta y siete) mártires, incluido el obispo auxiliar Manuel Borrás Ferré y los jóvenes seminaristas loan Montpeó Masip, de viente años, y Josep Gassol Montseny de veintidós. 

El segundo motivo nos VIene del hecho que, en los pnmeros siglos cristianos, aquí en Tarragona, ecclesia Pauli, sedes Fructuosi, patria martyrum, tuvo lugar el martirio del obispo Fructuoso y de sus dos diáconos, Augurio y Eulogio, quemados vivos en el 259 (doscientos cincuenta y nueve) d.C. en el anfiteatro romano de la ciudad. 

Recordemos brevemente el martirio de estos dos primeros testigos tarraconenses, porque repropone la dinámica esencial de toda persecución, que, por una parte, muestra la arbitrariedad de las acusaciones y la atrocidad de las torturas, y, por otra, la fortaleza sobrehumana de los mártires en el aceptar la pasión y la muerte con serenidad y con el perdón en los labios. 

Tarragona, sede de una floreciente comunidad cristiana, en el siglo III (tercero) d. C. fue objeto de una violenta persecución, por obra del emperador Valeriano. Fueron víctimas de ella el obispo Fructuoso y los diáconos Augurio y Eulogio. De su martirio tenemos las Actas, que nos transmiten los protocolos notariales del proceso, del interrogatorio, de las respuestas, de la condena y de la ejecución.(3) La captura de Fructuoso y de sus diáconos tuvo lugar la mañana del domingo del 16 (dieciséis) de enero del 259 (doscientos cincuenta y nueve). Llevado a la cárcel, Fructuoso rezaba continuamente y daba gracias al Señor por la gracia del martirio. Además, también allí continuó su obra de pastor y de evangelizador, confortando a los fieles, bautizando y proclamando el Evangelio a los paganos. Después de algunos días, el 21 (veintiuno) de enero, los tres fueron convocados por el cónsul Emiliano para el interrogatorio. Fructuoso y los dos diáconos se negaron a ofrecer sacrificios a los ídolos, reafirmando su fidelidad a Cristo. Los tres fueron entonces condenados a ser quemados vivos. Llevados al anfiteatro, el santo Obispo gritó con fuerza que la Iglesia no quedaría nunca sin pastor y que Dios mantendría la promesa de protegerla en el futuro. 

¿Qué mensaje nos ofrecen los mártires antiguos y modernos? Nos dejan un doble mensaje. Ante todo nos invitan a perdonar. El Papa Francisco recientemente nos ha recordado que «el gozo de Dios es perdonar!... Aquí está todo el Evangelio, todo el Cristianismo! No es sentimiento, no es «buenismo»! Al contrario, la misericordia es la verdadera fuerza que puede salvar al hombre y al mundo del «cáncer» que es el pecado, el mal moral, el mal espiritual. Sólo el amor colma los vacíos, la vorágine negativa que el mal abre en el corazón y en la historia. Sólo el amor puede hacer esto, y este es el gozo de Dios!»(4) 

Estamos llamados pues al gozo del perdón, a eliminar de la mente y del corazón la tristeza del rencor y del odio. Jesús decía «Sed misericordiosos, como es misericordioso vuestro Padre celestial» (Le 6, 36). Conviene hacer un examen concreto, ahora, sobre nuestra voluntad de perdón. El Papa Francisco sugiere: «Cada uno piense en una persona con la que no esté bien, con la que se haya enfadado, a la que no quiera. Pensemos en esa persona y en silencio, en este momento, recemos por esta persona y seamos misericordiosos con esta personan.(5) 

La celebración de hoy sea pues la fiesta de la reconciliación, del perdón dado y recibido, el triunfo del Señor de la paz. 

7. De aquí surge un segundo mensaje: el de la conversión del corazón a la bondad y a la misericordia. Todos estamos invitados a convertirnos al bien, no sólo quien se declara cristiano sino también quien no lo es. La Iglesia invita también a los perseguidores a no temer la conversión, a no tener miedo del bien, a rechazar el mal. El Señor es padre bueno que perdona y acoge con los brazos abiertos a sus hijos alejados por los caminos del mal y del pecado. 

Todos -buenos y malos -necesitamos la conversión. Todos estamos llamados a convertirnos a la paz, a la fraternidad, al respeto de la libertad del otro, a la serenidad en las relaciones humanas. Así han actuado nuestros mártires, así han obrado los santos, que -como dice el Papa Francisco ­siguen «el camino de la conversión, el camino de la humildad, del amor, del corazón, el camino de la belleza».(6) 

Es un mensaje que concierne sobre todo a los jóvenes, llamados a vivir con fidelidad y gozo la vida cristiana. Pero hay que ir contra corriente: «Ir contra corriente hace bien al corazón, pero es necesario el coraje y Jesús nos da este coraje! No hay dificultades, tribulaciones, incomprensiones que den miedo si permanecemos unidos a Dios como los sarmientos están unidos a la vid, si no perdemos la amistad con Él, si le damos cada vez más espacio en nuestra vida. Esto sucede sobretodo si nos sentimos pobres, débiles, pecadores, porque Dios da fuerza a nuestra debilidad, riqueza a nuestra pobreza, conversión y perdón a nuestro pecado.(7) 

Así se han comportado los mártires, jóvenes y ancianos, Sí, también jóvenes como, por ejemplo, los seminaristas de las diócesis de Tarragona y de Jaén y el laico de veintiún años, de la diócesis de Jaén. No han tenido miedo de la muerte, porque su mirada estaba proyectada hacia el cielo, hacia el gozo de la eternidad sin fin en la caridad de Dios. Si les faltó la misericordia de los hombres, estuvo presente y sobreabundante la misericordia de Dios. 

Perdón y conversión son los dones que los mártires nos hacen a todos. El perdón lleva la paz a los corazones, la conversión crea fraternidad con los demás. 

Nuestros Mártires, mensajeros de la vida y no de la muerte, sean nuestros intercesores por una existencia de paz y fraternidad. Será este el fruto precioso de esta celebración en el año de la fe. 

María, Regina Martyrum, siga siendo la potente Auxiliadora de los cristianos. 

Amén. 

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L’eccidio cominciò molto prima della guerra civile

La cappella di San José a Siviglia distrutta nel 1931(di Vincente Carcel OrtìÍ su L’Osservatore Romano del 12-10-2013) Quando si parla dei martiri spagnoli degli anni Trenta del XX secolo, li si chiama erroneamente “martiri della guerra civile”. Erroneamente perché i primi martiri ci furono già nell’ottobre del 1934, durante la rivoluzione delle Asturie. Mancavano allora quasi due anni all’inizio della guerra civile e i martiri non avevano quindi nulla a che fare con essa. Ma c’è chi continua a collegarli con quel conflitto armato in cui ci furono “caduti in azioni di guerra” in entrambi gli schieramenti, perché lottavano sul fronte, e ci furono anche, nelle retroguardie delle due aree, “vittime della repressione politica”. Gli uni e gli altri meritano il massimo rispetto e vengono ricordati come eroi e modelli da imitare dai seguaci delle rispettive ideologie.
Ma ci furono anche “martiri della persecuzione religiosa”, perché durante la guerra civile, in tutta l’area repubblicana, il culto cattolico fu proibito per quasi tre anni. La Chiesa ufficialmente non esisteva. Gli ecclesiastici e le religiose furono uccisi perché erano uomini o donne di Chiesa, e per lo stesso motivo furono assassinati uomini e donne dell’Azione Cattolica e di altri movimenti ecclesiali, ossia perché erano cattolici praticanti. Ma nessuno di loro fu implicato in lotte politiche o ideologiche, e tanto meno vi prese parte.
La Chiesa li eleva agli onori degli altari con il titolo di martiri perché erano persone che lavoravano pacificamente in parrocchie scuole, collegi, ospedali, ospizi e così via. Un’opera sociale immensa, mai abbastanza riconosciuta alla Chiesa, interrotta brutalmente da quella persecuzione religiosa, senza precedenti nella storia della Spagna. Quelle persone non persero la vita in azioni di guerra e non furono neppure vittime della repressione politica. Furono semplicemente testimoni di Cristo e quindi “martiri della fede durante la persecuzione religiosa”. In piena guerra civile spagnola questi concetti risultarono ben chiari sia a Pio XI che ai suoi successori, fino a giungere a Papa Francesco. Con le beatificazioni del 13 ottobre, saranno 1.512 i martiri beatificati e 11 quelli canonizzati. I dati che abbiamo, sebbene non del tutto esatti, rivelano l’entità di quella persecuzione: dei 6.832 morti, 4.184 appartenevano al clero secolare, includendo dodici vescovi (nove sono già stati beatificati) e un amministratore apostoli-CO 2.365 erano religiosi e 283 religiose. Non è possibile fornire cifre definitive dei laici cattolici uccisi per motivi religiosi perché non esistono statistiche affidabili, ma probabilmente furono diverse centinaia.
A richiamare l’attenzione è innanzitutto l’età. Per esempio, dei 26 religiosi passionisti di Daimiel, 15 erano studenti tra i 18 e i 21 anni. Lo stesso vale per i Fratelli di San Giovanni di Dio, i claretiani di Barbastro, i Fratelli delle Scuole Cristiane di Turón e di Almería, gli agostiniani di El Escorial, i francescani, i domenicani, i trinitari, i carmelitani, gli scolopi, i claretiani salesiani, i maristi e così via. I più giovani furono l’aspirante salesiano Federico Cobo e lo studente carmelitano Pedro Tomás Prati, entrambi sedicenni.
Questi dati sono impressionanti, ma lo sono ancora di più le opinioni di alcuni responsabili della tragedia. Alla fine dell’agosto del 1936, un alto dirigente catalano, alla domanda di una redattrice del giornale francese «L’Oeuvre» sulla possibilità di riavviare il culto cattolico in Spagna rispose: «Oh, il problema non si pone neppure, perché tutte le chiese sono state distrutte». Andrés Nin, capo del Partito operaio di unificazione marxista, in un discorso pronunciato a Barcellona l’8 agosto 1936, non esitò a dichiarare: «C’erano molti problemi in Spagna (…) Il problema della Chiesa lo abbiamo risolto completamente, andando alla radice: abbiamo soppresso i sacerdoti, le chiese e il culto ». José Díaz, segretario generale della sezione spagnola della III Internazionale, il 5 marzo 1937 disse a Valencia: «Nelle province in cui dominiamo, la Chiesa non esiste più. La Spagna ha superato di molto l’opera dei Soviet, perché la Chiesa, in Spagna, è ora completamente annientata».
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Secondo Hugh Thomas, «in nessun altro momento della storia della Spagna, e forse persino del mondo, si è manifestato un odio così passionale contro la religione e tutte le sue opere. Molti di quei crimini furono accompagnati da una frivola e sadica freddezza» (The Spanish Civil War, 1961). Pierre Broué ed Emile Témine riconoscono il carattere religioso della persecuzione in quanto «in pratica la proibizione del culto si estende all’uso privato di immagini e di oggetti cultuali, come i crocifissi, i messali (…). Le milizie rivoluzionarie della retroguardia cercano quanti li possiedono e procedono ad arrestarli» (La révolution et la guerre d’Espagne, Paris, 1961, 1, p.

Secondo Hugh Thomas
in nessun altro momento della storia
della Spagna e forse persino del mondo
si è manifestato
un odio tale contro la religione
132). George Orwell, che durante la guerra si recò a Monflorite (Huesca) e visitò il cimitero, disse: «Tutto era pieno di cespugli e di erbacce, oltre alle ossa umane  se per il paese. Ma la cosa più sorprendente era l’assenza quasi totale d’iscrizioni religiose (…) In qualche tomba c’era una piccola croce o una sommaria allusione al cielo; spesso era stata cancellata con uno scalpello da qualche zelante ateo». Gabriele Ranzato, che si propone di smontare molte leggende che avvolgono ancora il conflitto spagnolo del 1936, afferma che l’errore più drammatico commesso dalla sinistra spagnola fu il suo atteggiamento verso la Chiesa, e nelle sue monografie L’eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini (1931-1939) ( Torino, Bollati Boringhieri, 2004), e La Grande paura del 1936. Come la Spagna precipitò nella guerra civile (Bari-Roma, Laterza, 2011), documenta come le sinistre spagnole scatenarono contro di essa «una vera e propria persecuzione religiosa ».
Quando scoppiò la guerra civile già erano state date alle fiamme 239 chiese, erano state distrutte numerose opere d’arte, erano stati violati tabernacoli, gettate per terra ostie consacrate poi calpestate, disseppellite salme di vescovi e monache, imposte tasse ai funerali cattolici, impendendo in molti casi la loro celebrazione, proibiti i simboli cattolici sulle tombe, equiparata la settimana santa a una riunione clandestina, con i conseguenti arresti, impedite le prime comunioni dei bambini, lasciati liberi per le strade cani con una croce appesa al collare.
Nei suoi libri Ranzato non mostra mai simpatia per la causa e l’opera del vincitore della guerra civile, ma conclude la sua importante ricerca definendo «discutibile» il perpetuarsi dell’immagine della Spagna della primavera del 1936 come «un Paese di democrazia liberale, capace di tenere il suo sistema politico-economico al riparo da qualsiasi sollevazione rivoluzionaria e che fu condotto alla guerra civile solo da una sollevazione militare reazionaria e fascista ».
Queste poche e misurate parole ci fanno pensare che la storia della Spagna degli anni che precedettero la seconda guerra mondiale, e che in parte la determinarono, inizia a essere scritta solo ora alla luce di nuovi documenti.
La persecuzione religiosa repubblicana iniziò molto prima della guerra civile e non nacque come un’esigenza per combattere una Chiesa che, solo a partire dal luglio del 1937, appoggiò apertamente una delle parti del conflitto perché nell’altra essa aveva smesso di esistere e si continuava a uccidere gli ecclesiastici e i cattolici praticanti. La persecuzione cominciò in modo subdolo nel maggio del 1931, con chiese e conventi dati alle fiamme; continuò con una legislazione apertamente faziosa; proseguì nell’ottobre del 1934 nelle Asturie e in altri luoghi della Spagna, e terminò con l’ecatombe di sacerdoti, religiosi e cattolici tra il 1936 e il 1939. Viene quindi meno la tesi di quanti continuano a sostenere che la persecuzione religiosa fu la risposta della violenza anticlericale alla sollevazione militare del 18 luglio.
L’atteggiamento conciliante e aperto al negoziato della Chiesa dinanzi alla Repubblica, sin dal primo momento, è ampiamente dimostrato dalla documentazione vaticana che sto sistematicamente pubblicando (La II República y la Guerra Civil en el Archivo Secreto Vaticano, Madrid, Bac, 2011-2012, 3 volumi). Pio XI la riconobbe subito, nell’aprile del 1931, e mantenne le relazioni diplomatiche fino alla metà del 1938. Domandò ai vescovi, ai sacerdoti e ai cattolici di accettarla e di collaborare con essa per il bene comune. Ma i governanti repubblicani scatenarono molto presto quell’attacco frontale che finì in tragedia.