sabato 12 ottobre 2013

XXVIII Domenica del tempo Ordinario. Anno C



MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 129,3-4
Se consideri le nostre colpe, Signore,
chi potrà resistere?
Ma presso di te è il perdono,
o Dio di Israele.
 

Colletta

Ci preceda e ci accompagni sempre la tua grazia, Signore, perché, sorretti dal tuo paterno aiuto, non ci stanchiamo mai di operare il bene. Per il nostro Signore...

 Oppure:
O Dio, fonte della vita temporale ed eterna, f
a' che nessuno di noi ti cerchi solo per la salute del corpo: ogni fratello in questo giorno santo torni a renderti gloria per il dono della fede, e la Chiesa intera sia testimone della salvezza che tu operi continuamente in Cristo tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  2 Re 5, 14-17
Tornato Naamàn dall’uomo di Dio, confessò il Signore.

Dal secondo libro dei Re
In quei giorni, Naamàn [, il comandante dell’esercito del re di Aram,] scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola di Elisèo, uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato [dalla sua lebbra].
Tornò con tutto il seguito da [Elisèo,] l’uomo di Dio; entrò e stette davanti a lui dicendo: «Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele. Adesso accetta un dono dal tuo servo». Quello disse: «Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò». L’altro insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò.
Allora Naamàn disse: «Se è no, sia permesso almeno al tuo servo di caricare qui tanta terra quanta ne porta una coppia di muli, perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma solo al Signore».
 
Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 97
Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia.
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!
 

Seconda Lettura
  2 Tm 2, 8-13
Se perseveriamo, con lui anche regneremo. 

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo
Figlio mio,
ricòrdati di Gesù Cristo,
risorto dai morti,
discendente di Davide,
come io annuncio nel mio vangelo,
per il quale soffro
fino a portare le catene come un malfattore.
Ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna.
Questa parola è degna di fede:
Se moriamo con lui, con lui anche vivremo;
se perseveriamo, con lui anche regneremo;
se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà;
se siamo infedeli, lui rimane fedele,
perché non può rinnegare se stesso.
 
Canto al Vangelo
   Ts 5,18
Alleluia, alleluia.

In ogni cosa rendete grazie:
questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.

Alleluia.

  
  
Vangelo  Lc 17, 11-19
Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero.

Dal vangelo secondo Luca
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

*

"Solo chi ha sperimentato la salvezza è per natura annunciatore e missionario"

Commento al Vangelo della XXVIII Domenica del tempo Ordinario. Anno C



In "dieci" si fanno incontro a Gesù, il numero minimo di adulti necessari per il servizio della sinagoga, immagine di ogni comunità cristiana. Tutti "gridano" ad una sola voce riconoscendo in Gesù un "maestro", un "epistatès" - "colui che sta in alto" - nella speranza che si chini su di loro per guarirli. Così anche noi, quando sono apparse le pustole sulla pelle del matrimonio, dell'amicizia, del lavoro, abbiamo cominciato a frequentare con più assiduità la Chiesa, implorando Gesù di "avere pietà di noi" e di guarirci. E Lui, prontamente, ci ha accolti, senza distinzioni e preferenze. Ma a modo suo, senza guarirci immediatamente; come con i dieci lebbrosi, ci ha messo in cammino con un annuncio che è insieme profezia e compimento: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". Il Levitico, infatti, prescriveva che se il lebbroso fosse stato sanato, doveva andare a mostrarsi ai sacerdoti perché ne certificassero la guarigione riammettendolo così alla vita e al culto del popolo. 
Pieni di speranza, abbiamo obbedito alla Buona Notizia che ci annunciava la guarigione, e ci siamo incamminati verso Gerusalemme. Conoscendo l'estrema vulnerabilità e incostanza del cuore dell'uomo, con amore il Signore ha preparato per noi un lungo e serio percorso di conversione; esso è immagine del catecumenato della Chiesa primitiva, l’iniziazione cristiana senza la quale il battesimo resta allo stato infantile.
E, come i dieci lebbrosi “furono purificati mentre andavano”, anche noi, proprio durante il cammino di conversione, siamo stati risanati. Il matrimonio ha cominciato a funzionare, ci sono stati donati dei figli, abbiamo imparato ad accettare la suocera e il genero. Anche il rapporto con i soldi è cambiato. Insomma, quelle pustole sono scomparse. Ma può non bastare. Anzi, per nove su dieci – una percentuale altissima – non è bastato. Sicuramente si sono accorti di essere guariti, ma è mancata loro una cosa, fondamentale e decisiva.   
Tanti “vanno incontro a Gesù”, tutti lebbrosi. Tanti lo pregano e gli obbediscono, nella speranza di essere guariti. Ma non è ancora la “fede che salva”. Non basta essere "guariti", perché una vita “senza malattie” non è ancora quella che Dio ha pensato per noi! Occorre "vedere" i propri peccati con gli occhi nuovi della “fede”; e scoprire di essere stati “graziati” e sanati all’origine, dove è nato e si è sviluppato il bacillo maligno; solo così si potrà essere "salvati", che significa essere perdonati e strappati alle conseguenze mortali dei peccati, e colmati della vita divina.
“Guarigione” e “salvezza”, infatti, non coincidono automaticamente. I nove lebbrosi non hanno compreso l’amore che li aveva raggiunti; come moltissimi di noi, erano così presi da se stessi e dall’ingiustizia che avevano sofferto, da non essere capaci di stupirsi “vedendosi risanati”. Non si erano mai accettati peccatori, e si sentivano in credito con Dio e gli uomini; per questo tutto era loro dovuto, anche il miracolo, vissuto probabilmente come un risarcimento che Dio era obbligato a pagare.  
La "fede" autentica e adulta, invece, si manifesta nella "gratitudine" del lebbroso illuminato dalla Grazia. Non si difende, e così l’esperienza della misericordia suscita in lui, naturalmente, il bisogno di “ringraziare” Gesù. E’ come incapace di trattenere la conversione (“ritorno” in ebraico)per questo “torna indietro lodando Dio a gran voce”.
Ecco che cos’è la conversione! E’ la traduzione gioiosa della gratitudine per l’amore con il quale il Signore ci ha amati. Non nasce da noi, ma dalla misericordia sperimentata senza alcun merito. Un uomo che si converte loda Dio con tutto se stesso. Diversamente, si tratta di volgari imitazioni, occhi smorti e pieni di malcelata mormorazione, quella di chi cerca, con sforzi e impegno, di strappare da Dio quanto la carne desidera.  
L’unico lebbroso, invece, si  “prostra” dinanzi a Gesù, nella consapevolezza di essere un peccatore che non aveva alcun diritto. Può celebrare con Cristo l' "eucarestia" (rendimento di grazie) perché vive quello che essa significa e realizza, il sacrificio e la Pasqua di Gesù. E’ ormai passato dalla schiavitù alla libertà, dal dover “restare a distanza” al poter giungere sino “piedi di Gesù”, dalla supplica alla "lode".
In quest’unico lebbroso, il peggiore perché “samaritano”, risplende la novità della Chiesa. Molti si scandalizzano di Papa Francesco, dei suoi gesti e delle sue parole che ritengono sovversive, eretiche e indegne di un pontefice. Purtroppo, come i nove lebbrosi che pure avevano incontrato Gesù, da Lui erano stati risanati e a Lui avevano obbedito, non hanno occhi “mistici” capaci di riconoscere l’essenziale che trasfigura la guarigione in salvezza.
Come spesso anche noi, non possono arrendersi alla misericordia perché non ne hanno mai sperimentato la dolcezza infinita e immeritata. Giungono al vecchio Tempio, e, tra i sacrifici e gli incensi, adempiono la Legge, ma non possono passare alla Grazia. Resta in loro il lievito dell’uomo vecchio che cerca nella Legge la salvezza, ingannati sulla propria totale debolezza. Non si sentono i peggiori di tutti. Per questo non si accorgono della vita nuova che Dio ha deposto in loro; anche se riammessi nella società dai sacerdoti, la "guarigione" non servirà a nulla.
Mentre il Tempio era lì, era il corpo di Gesù che avvicinava Dio alla loro lebbra; non occorreva più andare a Gerusalemme. In quel pezzo di mondo aperto sul Cielo, uno solo riconosce in Gesù non solo il “Maestro” ma anche l'unico Sacerdote che, dopo averlo "guarito", può certificare la "salvezza" del suo cuore. La Chiesa, dunque, è proprio l’ ”ospedale da campo” issato “lungo il cammino verso Gerusalemme”, dove la misericordia incontra il peccato; i veri adoratori di Dio nascono, infatti, laddove “Gesù passa” e si fa “straniero” sino a morire da eretico e bestemmiatore per loro.
Gesù e quel lebbroso e straniero risanato - tu e Cristo -  sono la più bella cattedrale mai costruita: insieme annunciano in essa che Dio è sceso a toccare i peccatori e che questi, perdonati e rigenerati, possono davvero “alzarsi”, risuscitare e salire al Cielo “rendendo Gloria a Dio”. Chi “si vede purificato” nelle membra ritornate alla vita, ha la certezza che il Signore si è fatto "straniero" per lui. Questo sguardo di gratitudine e misericordia è la “fede che “salva” e invia in missione!
Ogni vocazione, al presbiterato come alla vita religiosa o alla famiglia, nasce dalla gratitudine cantata sui passi della conversione. Non basta far parte della Chiesa per essere cristiano, un segno di Lui nel mondo. Solo chi ha sperimentato la salvezza è per natura un suo annunciatore e missionario. Per questo le vocazioni autentiche sono così poche, in media una su nove…  Tutti vivono nella stessa comunità, tutti sono amati da Dio, ma non tutti sanno amare, che è la vocazione di tutti.  Dio ci chiama oggi ad aprire gli occhi sulla nostra vita e sul suo amore; a prendere sul serio i segni di un’esistenza che, passo dopo passo, sta ritornando ad essere la liturgia di amore e di lode che il peccato aveva soffocato. E “tornare” a Cristo, con gratitudine e lode, perché ci invii nella missione che ha preparato per noi.

*

COMMENTO DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO


Lungo il suo cammino verso Gerusalemme, il Signore Gesù risana alcuni lebbrosi. Prima ancora di compiere il miracolo di guarigione, il Maestro comanda loro di andare a presentarsi ai sacerdoti: questo infatti è quanto prescriveva la Legge di Mosè. Il Signore Gesù – che ha portato a compimento la Legge ed i Profeti – finché era sulla terra, nella vita precedente il suo Mistero pasquale di Passione, Morte e Risurrezione, ha in genere osservato e fatto osservare la Legge antica, pur essendo Egli il «Signore del sabato», al di sopra di essa. Il sacerdozio antico era in procinto di concludere la sua missione storica e lasciare così il posto a quello nuovo, inaugurato dalla Nuova Alleanza. Ma con il suo comando Gesù intende confermare il valore della mediazione sacerdotale. Anche nel Nuovo Patto il sacerdote è dunque mediatore tra Dio e gli uomini. Per questo motivo, egli deve essere innanzitutto un uomo di Dio, un uomo che vive alla presenza di Dio.
Nella prima lettura si narra di un’altra sanazione, quella di Naamàn il Siro, il quale presenta un dono ad Eliseo per ringraziarlo; il profeta, tuttavia, lo rifiuta: non è a lui che deve riconoscere il merito del prodigio, ma a Dio, alla cui presenza egli sta. Come sono vere queste parole! Il profeta sta alla presenza di Dio, intercede presso di Lui in favore degli uomini e ad essi riferisce le parole Egli rivolge loro. È dunque essenzialmente mediatore. Ugualmente dicasi del sacerdote: nel Tempio antico aveva esattamente il compito di officiare il culto al cospetto del Volto – seppur velato – del Signore, quasi come gli angeli e i santi nel Cielo, il cui sguardo è sempre orientato a contemplare la Luce divina.
Questo stare davanti al Signore, il ministro di Dio lo vive nella gioia e nel dolore. Qui sta il mistero della sponsalità sacerdotale: nella fedeltà a Dio ed alla Chiesa, nei momenti gioiosi ed in quelli difficili, nel gioire del contemplare il suo Volto – nella preghiera e nella liturgia, fonti perenni della santità sacerdotale – e insieme nel restare a Lui fedeli, pur nelle catene, come ci dà esempio l’Apostolo Paolo nella seconda lettura: «Ricordati di Gesù Cristo [...] per il quale soffro fino a portare le catene come un malfattore. [...] Perciò sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza...». Dobbiamo prestare attenzione a queste parole! Paolo sottolinea come egli soffra innanzitutto per Cristo, per amore del Signore. Altrove dirà che è l’amore di Cristo che ci dà impulso, che ci spinge ad accettare per Lui qualunque sacrificio. Il sacerdote, allo stesso modo, agisce e patisce tutto, non per un interesse o un ideale personale, ma per il Signore. La fedeltà del sacerdote è quindi fedeltà a Cristo. Di conseguenza, essa diviene anche fedeltà alla missione salvifica di Cristo. Per questo l’Apostolo aggiunge anche di soffrire per meritare ai predestinati grazia e salvezza. È qui delineata la dimensione penitenziale ed espiatoria dell’opera sacerdotale, di cui oggi c’è immenso bisogno. Non si tratta, in fin dei conti, di fare cose straordinarie, superiori alle nostre forze. Si tratta, piuttosto, di donare se stessi giorno per giorno nel ministero, fino in fondo, accettando con amore il peso delle responsabilità, offrendone il sacrificio al Signore, per la salvezza dei fratelli.

La Chiesa, popolo di Dio, ha immenso bisogno dei sacerdoti per poter continuare nella storia il suo cammino di salvezza. Per questo il Figlio di Dio esorta a pregare il Padre affinché fioriscano tante e sante vocazioni, sacerdoti fedeli a Cristo che cercano nient’altro se non il bene soprannaturale degli uomini. In altre occasioni, la Parola di Dio ci sprona a pregare per coloro che hanno in cura il bene temporale degli uomini, come gli amministratori e i governanti. A maggior ragione ciò vale sommamente per le guide spirituali, coloro che, come pastori, guidano il gregge di Dio. Rinnoviamo perciò quotidianamente il nostro personale impegno nel pregare per le vocazioni sacerdotali e per la santità dei nostri sacerdoti, affinché, attraverso di essi e grazie ad essi, splenda su tutti noi il Volto di Dio.

*

Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la XXVIII.ma domenica del Tempo Ordinario – Anno C.
Come di consueto, il presule propone anche una lettura spirituale.
***
LECTIO DIVINA
Purificati lungo il cammino: solo camminando si capisce se il cammino vale.
Rito romano
XXVIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C –  13 ottobre 2013
2 Re 5, 14-17; 2Tm 2, 8-13, Lc 17, 11-19
La fede che salva
Rito ambrosiano
VII Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore
Is 66, 18b-23; Sal 67 (66), 2-5. 7-8; 1Cor 6, 9-11; Mt 13, 44-52
Ai popoli è rivelata la salvezza

            1) Chi chiede con fede, ottiene.
            Nei brani presi dal 2 libro dei Re (prima lettura) e dal Vangelo di questa Domenica è descritta la miracolosa guarigione di malati di lebbra, una malattia che nell’Antico Testamento ed al tempo di Gesù era considerata la più grave delle malattie tanto da rendere la persona “impura[1]” e da escluderla dai rapporti sociali. Il lebbroso era uno scomunicato dalla vita e dall’umanità. La legislazione  (cfr Lv 13-14) riservava ai sacerdoti il compito di dichiarare la persona lebbrosa, cioè impura; e spettava ugualmente al sacerdote constatarne la guarigione e riammettere il malato risanato alla vita normale.
            Ora immagiamo di essere al posto dei discepoli accanto a Cristo e guardiamo arrivare questi malati, che implorano: “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi” (Lc 17, 14).
            Cosa vediamo? Scorgiamo dei miseri spettri sofferenti, che tutti scansano, separati da tutti, che fanno schifo a tutti, ed è grazia se se hanno un po' di pane, una scodella per l'acqua, il tetto di una topaia per nascondersi, e a fatica spiacciano le parole da labbri gonfie, tumefatte.
            Cosa ascoltiamo? Sentiamo questi morti viventi che chiedono la salute, la guarigione, il prodigio al Maestro, perché sanno che è potente in parole ed opere. Lui è per loro l’ultima speranza, l’ancora a cui appendere la loro disperazione. Come potrebbe Gesù scansarsi da loro come fanno gli altri? Come può il Suo cuore non ascoltarli? Come potrebbe il Salvatore non esaudirli con la sua amorosa onnipotenza? E compie il miracolo.
            Cosa facciamo? Seguiamo l’esempio di san Francesco d’Assisi, come egli lo riassume all’inizio del suo Testamento: “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo” (Fonti Francescane, 110). In quei lebbrosi, che Francesco incontrò quando era ancora “nei peccati” - come lui dice - era presente Gesù; e quando Francesco si avvicinò a uno di loro e, vincendo il proprio ribrezzo, lo abbracciò, Gesù lo guarì dalla sua lebbra, cioè dal suo orgoglio, e lo convertì all’amore di Dio.
            Ecco la vittoria di Cristo, che è la nostra guarigione profonda e la nostra risurrezione a vita nuova, senza la lebbra del peccato che ci è completamente perdonato.
Quindi, un tale prodigio (la guarigione ed il perdono) rappresenta il segno della rinnovata amicizia di Dio con la sua creatura più cara: l’essere umano. Questo miracolo fa di noi non solo dei guariti ma degli evangelizzatori: Gesù fa di noi degli annunci viventi.
            2) Un miracolo sotto condizione? L’obbedienza non basta, ci vuole amore e riconoscenza.
            A differenza di altre guarigioni, Gesù, in questa circostanza, prima ancora di aver sanato i dieci lebbrosi, ordine loto di andare dai sacerdoti (la legge mosaica prescriveva di presentarsi al sacerdote per la verifica di un’eventuale purificazione dalla lebbra), il che testimonia come tutti e dieci, almeno inizialmente, dimostrarono una profonda fiducia in Gesù (E mentre essi andavano, furono guariti –Lc 17,15). Viene spontaneo chiedersi perché Gesù, al termine del racconto, sembra che attribuisca la fede al solo Samaritano (“Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò:“Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono?” – Lc 17, 18)), l’unico che abbia dimostrato un sentimento di gratitudine per il bene ricevuto. In realtà, il suo (del Samaritano) ringraziamento non fu un semplice gesto di cortesia, ma un autentico “atto di fede” nella potenza salvifica di Dio, manifestata gratuitamente in Cristo Gesù nei confronti di una persona malata e per di più straniera. Lui era ritornato da Gesù per ringraziare e per “rendere gloria a Dio”.
Questi nove lebbrosi si incontrarono con Cristo, ma videro in lui solo un’opportunità per la guarigione del loro corpo, per poi dimenticare tutto.
            Invece il lebbroso samaritano, l’estraneo dal popolo eletto, intuì in Cristo il Volto buono del Mistero che lo aveva salvato e rese lode a Dio, e accolse Cristo come l’avevano accolto Zaccaria, papà di Giovanni il Precursore, la Madonna, la Vergine Madre del Figlio di Dio indicato da Giovanni, Simeone, il vecchio dal cuore così giovane che riconobbe Cristo in un bambino portato dal tempio da una povera coppia, che aveva i soldi solo per due colombi per riscattare il figlio, come prescriveva la legge biblica.
            Il lebbroso samaritano è ognuno di noi che accoglie Cristo e mette la propria vita nella Sua vita. Quest’uomo purificato dalla lebbra aveva capito che la salvezza è poi la relazione con lui, sorgente della vita, non l’essere mondato dalla lebbra, quindi ritornò[2] da Salvatore. La salvezza non è semplicemente l’essere mondati, guariti. La salvezza è molto di più, non è la buona salute, perché quella presto o tardi se ne va. La salvezza è un’altra cosa, è la relazione con lui, tornare a lui, glorificare Dio a gran voce.
            Iniziando la nostra lode in ginocchio come fece questo lebbroso (che “vedendosi guarito, tornò indietro lodando[3] Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi[4]per ringraziarlo[5]” - Lc 17, 15), preghiamo i cantici di Zaccaria, Maria Vergine e Simeone.
            Il Benedictus[6] (che si recita alle Lodi del mattino) è il cantico dell’attesa, della rinnovata accoglienza di Dio e accogliere Dio è per l’uomo un impegno e un programma. NelMagnificat[7] (che si recita a Vespro) è il cantico del rendimento di grazie per il compimento del mistero di Cristo: l’aver accolto Dio fa prorompere nell’inno di grazie. Nel Nunc dimittis[8](che è pregato a Compieta) è anch’esso un cantico di ringraziamento per il dono ricevuto, con cui nel scendere della sera il fedele fiduciosamente si abbandona tra le braccia di Dio: l’uomo si scioglie in un atto di puro abbandono a Dio.
            La nostra preghiera inizia facendo nostra la preghiera dei lebbrosi, si perfezioni assumendo l’atteggiamento del lebbroso samaritano guarito e grato, infine diventi “lavoro” facendo uso, se possibile, della Liturgia delle Ore. In libro che contiene questa liturgia è chiamato anche Breviario e è giusto considerarlo un lavoro non solo dei monaci e delle monache e dei preti. Esso è un lavoro che santifica il Cristiano e la Chiesa e rende gloria a Dio. A questo “lavoro” di lodo e di intercessione sono particolarmente chiamate le Vergini consacrate: “Ricevi il libro della preghiera della Chiesa. Non smettere mai di lodare il tuo Dio né di intercedere per la salvezza del mondo” (Rituale della Consacrazione delle Vergini n. 27). Queste donne lavorano nel mondo non solo per guadagnare di che vivere, ma lavorano per il mondo soprattutto con la preghiera di intercessione. Ci sono di esempio anche perché “lavorano” con la preghiera, testimoniando che la preghiera è lavoro,
il più efficace, perché ci ottiene l'energia per compiere il bene.
            Il lavoro è preghiera, partecipazione all’opera di Cristo che redime il mondo, obbedienza alla parola di Dio che questo mondo ha creato e salva.
         La preghiera è lavoro, non fuga dal mondo e dalla fatica della vita, ma opera a servizio del mondo intero, perché Dio, unico Signore della storia, voglia trasformarlo nel suo Regno, come Gesù ha promesso e ci ha insegnato a chiedere.
*
LETTURA SPIRITUALE
Incontro di San Francesco d’Assisi con il lebbroso,
raccontato da Tommaso da Celano
in Vita prima di San Francesco d'Assisi, nn. 348-349 
“Poi, come vero amante dell’umiltà perfetta, il Santo Francesco si reca tra i lebbrosi e vive con essi, per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe virulente, come egli stesso dice nel suo Testamento: 'Quando era ancora nei peccati, mi pareva troppo amaro vedere i lebbrosi, e il Signore mi condusse tra loro e con essi usai misericordia'. La vista dei lebbrosi infatti, come egli attesta, gli era prima così insopportabile, che non appena scorgeva a due miglia di distanza i loro ricoveri, si turava il naso con le mani. Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già cominciato, per grazia e virtù dell'Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò. Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più, finché per la misericordia del Redentore ottenne piena vittoria.
Quand'era ancora nel mondo e viveva vita mondana, egli si occupava dei poveri, li soccorreva generosamente nella loro indigenza e aveva affetto di compassione per tutti gli afflitti. Una volta, che aveva respinto malamente, contro la sua abitudine, poiché era molto cortese, un povero che gli aveva chiesto l'elemosina, pentitosi subito, ritenne vergognosa villania non esaudire le preghiere fatte in nome di un Re così grande. Prese allora la risoluzione di non negar mai ad alcuno, per quanto era in suo potere, qualunque cosa gli fosse domandata in nome di Dio. E fu fedele a questo proposito, fino a donare tutto se stesso, mettendo in pratica anche prima di predicarlo il consiglio evangelico: Dà a chi ti domanda qualcosa e non voltar le spalle a chi ti chiede un prestito (Mt 5,42).”
Preghiera
Padre di tutti gli uomini,
per te nulla è troppo piccolo.
Nessun cuore per te è troppo duro
perché tu non l’ami.
Tu hai voluto aver bisogno di tutti e come,
noi uomini, non potremo aver bisogno degli altri?
Insegnami a scoprire le meraviglie
 di ogni uomo e donna.
La bellezza, la bontà, lo splendore, la luce
anche nel viso più triste e tormentato è la tua luce.
Fammi scoprire che non c’è persona
che non abbia nulla da dirmi o insegnarmi.
Fammi capire da quanti umili lavori
in tanti luoghi dipende la mia vita quotidiana.
Ciascuno dipende da tutti
perché l’umanità sia completa
e il corpo di Gesù tuo Figlio sia intero.
Attendo questa pienezza con lo sguardo
rivolto a tutti coloro che ancora verranno.
Benedici tutti, o Padre,
e permettimi di benedirli con te.
Amen.
*
NOTE
[1] Puro, impuro sono per noi nozioni morali. Nella Bibbia, come in tutte le altre religioni, sono invece nozioni assai vicine a quelle di tabù o di sacro. Si è "impuri" quando si entra a contatto con una potenza misteriosa, che può essere buona o cattiva. Bisogna allora praticare un rito che “purifica”, per sfuggire al contagio di tale potenza. Certe malattie, per esempio, possono rendere l'uomo impuro perché si pensa che, in tal modo, egli sia sotto l'influenza di demoni. Al contrario, il contatto con Dio può rendere “impuro”. Così appena qualche tempo fa, si poteva leggere persino nei libri liturgici cattolici questa rubrica: "Dopo la comunione, il sacerdote “purifica il calice” (con un lino chiamato “purificatoio”). Questo calice era, insomma, diventato "impuro" (in senso morale) per aver contenuto il sangue di Cristo? No! Era divenuto “sacro”, perché era entrato nell'ambito divino e la sua “purificazione” era un rito di “desacralizzazione” che permetteva di farne, di nuovo, un certo uso profano. La donna che ha avuto un rapporto sessuale deve anch'essa “purificarsi”. Ci si può domandare se non si tratti, anche qui, di un rito di “desacralizzazione”: poiché è entrata in contatto con Dio, sorgente di vita, donando la vita, o comunque entrando nella sfera sessuale ad essa legata, deve passare attraverso un rito per poter riprendere di nuovo la sua esistenza profana. La questione del puro e dell'impuro è molto complessa e assai discussa tra gli specialisti.
                Le semplificazioni rischiano sempre di falsare la realtà. Tuttavia possiamo ritenere almeno due punti: 1- le nozioni di puro e impuro non hanno spesso alcun carattere morale, ma sono piuttosto imparentate alle nozioni di tabù e di sacro; 2- tuttavia, talvolta, queste stesse parole, assumono un senso morale; la confusione tra questi due sensi (purificazione cultuale e purificazione morale) è senza dubbio in parte responsabile del discredito gettato sulla sessualità: là dove la Bibbia parlava di impurità  in senso “sacro” o cultuale, noi abbiamo spesso interpretato impurità in senso “morale”. (cfr E. Charpentier, Per leggere l’Antico Testamento, Roma 1981).
                Per una chiara, aggiornata e sintetica presentazione dell’argomento si consiglia di leggere “purezza-impurità” nel Dizionario critico di Teologia (Roma 2006 – [Paris 2007 3ème édition]) pubblicato sotto la direzione di Jean-Yves Lacoste.
[2] Nel testo greco c’è epistrèfo che vuol dire voltarsi verso qualcuno non solo verso qualcosa, convertirsi.
[3] Nel testo latino c’è “magnificans”= “magnificando”, nel testo greco c’è doxàzon = “glorificando”.
[4] Letteralmente dal greco si dovrebbe tradurre così:“cadde sul volto ai suoi piedi”.
[5] Nel testo greco c’è eucharistèo che vuol dire ringraziare, fare eucaristia. E’ nell’eucaristia che noi viviamo la fede e l’incontro con Lui che ci ha amati e salvati.
[6] CANTICO DI ZACCARIA - Lc 1, 68-79:Benedetto il Signore Dio d'Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo,

e ha suscitato per noi una salvezza potente nella casa di Davide, suo servo,

come aveva promesso 
per bocca dei suoi santi profeti d'un tempo:

salvezza dai nostri nemici,
e dalle mani di quanti ci odiano.

Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri
e si è ricordato della sua santa alleanza,

del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, di concederci, liberati dalle mani dei nemici,

di servirlo senza timore, in santità e giustizia 
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.

E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade,

per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati,

grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio, per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge,

per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre 
e nell'ombra della morte

e dirigere i nostri passi sulla via della pace”.


[7] CANTICO DELLA BEATA VERGINE - Lc 1, 46-55: “L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,

perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
e Santo è il suo nome:

di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono.

Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia,

come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre”.

[8] CANTICO di SIMEONE - Lc 2,29-32:
“Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”