giovedì 6 febbraio 2014

Al passo coi tempi




Il metropolita di Francia Emmanuel all’Osservatorio della laicità. 

La laicità è un principio di libertà, prezioso, ma resta solo un principio. Nel corso della storia è stata di volta in volta “combattiva”, “rigida”, poi “positiva”, “pacifica”, “plurale”, o ancora “neutrale”. Essa è soprattutto una pratica che non è priva di eccezioni, adattamenti o variazioni, rappresenta «un prisma delle trasformazioni» vissute dalla Francia in un mondo che cambia. E in tale contesto la laicità, «questa eccezione francese spesso sconosciuta, mal conosciuta o mal compresa al di fuori delle nostre frontiere, dev’essere pensata d’ora in avanti nell’ambito della globalizzazione». È uno dei passaggi più significativi dell’audizione sostenuta ieri a Parigi dal metropolita di Francia, Emmanuel, davanti all’Osservatorio della laicità. Un intervento nel quale il presidente dell’Assemblea dei vescovi oitrtodossi non ha mancato di sottolineare la necessità che la laicità sia al passo coi tempi, in modo da restare garanzia di unione e non di divisione.
Da una parte, sul piano nazionale, «il panorama religioso si è profondamente diversificato sotto l’effetto dei flussi migratori»; dall’altra, sul piano internazionale, «la costruzione europea presuppone un’armonizzazione dei differenti sistemi e legislazioni riguardanti le confessioni storiche, mentre lo choc dei fondamentalismi aggrava, in questa materia come in altre, la disparità fra il Sud e il Nord». Per Emmanuel, gli interrogativi sulla laicità «non provengono solo dall’agitare le forme più convulse di ritorno al religioso e che sono tanto più condannabili quanto esse corrispondono di fatto a una strumentalizzazione a fini politici. Come reazione, assistiamo a un ritorno del laicismo che diverge profondamente, a mio avviso, dall’ispirazione e dall’intenzione dei Padri fondatori. L’intransigenza ideologica che ne risulta agita inutilmente i fanatismi avversi ma essa confonde anche i semplici credenti poiché una tale escalation appare loro in rotta di collisione con l’ideale di pace civile», parte integrante del loro attaccamento alla laicità. Questa deviazione «contraddice la ponderazione che la giurisprudenza ha continuamente cercato di stabilire fra l’intangibilità dei principi e la variabilità delle circostanze». Ma come accordare un posto alle religioni nel dibattito pubblico rispettando la separazione dei poteri, si chiede il metropolita. «L’esperienza di Bisanzio, che è stata una delle matrici della coscienza ortodossa, non è qui senza interesse: lo spirituale e il temporale erano distinti ma non disgiunti poiché l’uno e l’altro potere erano in fine giudicati dal popolo sulla loro attitudine a servire, nel proprio ambito, una stessa umanità».
Per Emmanuel, lo Stato non può concepire il fatto religioso solo in virtù della sua utilità sociale, ignorandone il messaggio. D’altro canto le religioni devono essere sempre più in grado di tradurre le loro convinzioni nel linguaggio della ragione comune e, «se ci riescono, la loro testimonianza di saggezza può superare le barriere confessionali per rivolgersi a tutte e a tutti in una preoccupazione condivisa della figura dell’uomo. La Repubblica — conclude — non avrebbe nulla da guadagnare se frange intere della popolazione finissero per sentirsi escluse perché una parte della loro identità è controllata, cosa che le escluderebbe dall’ordinaria cittadinanza. Perché politicamente indivisibile, la laicità non dovrebbe essere, culturalmente, un fattore artificiale di divisione».
L'Osservatore Romano