sabato 15 febbraio 2014

Papa Francesco all’Infernetto




Domenica la visita pastorale alla parrocchia romana di San Tommaso apostolo. 

(Nicola Gori) Papa Francesco va all’Infernetto. Può sembrare una battuta. In realtà, per incontrare domenica pomeriggio, 16 febbraio, la comunità di San Tommaso apostolo il Pontefice si recherà proprio all’Infernetto. Che non ha niente a che fare con la «città dolente» di dantesca memoria — a fargli da guida non ci sarà certo nessun emulo di Virgilio — ma è più semplicemente il nome del quartiere della periferia sud di Roma dove sorge la parrocchia che riceverà la visita del Santo Padre.

La zona deve il suo nome alla presenza, un tempo, di carbonaie, i cui fumi erano visibili dall’intera città. Di quell’immagine — questa sì dal sapore vagamente dantesco — non è rimasto niente, se non la presenza abbondante di acqua in fossi e canali: una volta risorsa preziosa per produrre carbone, ma adesso destinata a creare problemi e disagi a ogni acquazzone, come testimoniano gli allagamenti dei giorni scorsi.
Il termine “Infernetto” suscitò un comprensibile disagio già al momento della costituzione della parrocchia. Infatti, nella bolla firmata nel 1964 dal cardinale Clemente Micara, allora vicario del Papa per la diocesi di Roma, quel territorio venne indicato più prudentemente con la denominazione di “Castel Fusano”. Per scrollarsi di dosso un nome non certo beneaugurante per una parrocchia si era arrivati perfino a una raccolta di firme per dare un’altra denominazione al quartiere, mutuando il nome dalla limitrofa tenuta di Castel Porziano.
Toponomastica a parte, bisogna comunque riconoscere che non capita tutti i giorni a una parrocchia di festeggiare il cinquantesimo di fondazione con la presenza del Papa come ospite d’onore. Ne è contentissimo il parroco don Antonio d’Errico, che dal 2002 guida la comunità. E lo sono anche i vice parroci don Pierangelo Margiotta, ordinato lo scorso aprile proprio da Papa Francesco, e don Antony Pinto, di nazionalità indiana, studente in teologia biblica. Ma la gioia contagia naturalmente anche i sacerdoti che prestano servizio saltuariamente nella parrocchia anche se non a tempo pieno: don Francis Cigozie Onya, cappellano delle case di riposo per anziani presenti nel territorio, don Philip Larrey, docente alla Pontificia Università Lateranense, e don Luca Caveada, alunno della Pontificia Accademia Ecclesiastica.
Il territorio, spiega il parroco, si estende per circa tre chilometri di lunghezza lungo il viale di Castel Porziano. È un quartiere residenziale dove, negli ultimi anni, sono state costruite molte villette unifamiliari, abitate in prevalenza da famiglie che si sono trasferite dal centro della città verso questa zona proprio per la sua vicinanza al mare e alla pineta. La parrocchia, racconta don d’Errico, in questi anni ha avuto una crescita demografica impressionante, facendo di questo quartiere uno tra i primi di Roma per numero di nascite. Le dimensioni della comunità parlano da sole: gli abitanti del territorio parrocchiale sono oltre 20.000, per un totale di più di 6.000 famiglie. «I battesimi amministrati nel 2013 sono stati 130 — dice — e i ragazzi che frequentano il catechismo per la preparazione alla prima comunione sono più di 200, mentre quelli che si preparano alla cresima oltre 100. Tante coppie di fidanzati che frequentano i corsi pre-matrimoniali, una volta sposati rimangono ad abitare nel territorio parrocchiale». Dove sono presenti, tra l’altro, dieci case di riposo che ospitano anziani provenienti dall’intera città. Anche a queste persone la parrocchia assicura l’assistenza spirituale, attraverso un cappellano e i ministri straordinari della comunione.
Quando il primo parroco, don Mellito Papi, dell’ordine benedettino silvestrino, giunse a San Tommaso apostolo, trovò poche famiglie. Nel 1976, con l’arrivo di don Romano Esposito, che fu parroco fino al 1984, il quartiere iniziò a cambiare fisionomia. La trasformazione continuò in maniera più marcata durante il servizio pastorale dei due parroci successivi: don Romano Avvantaggiato, che vi rimase fino al 1990, e don Plinio Poncina, ritiratosi nel settembre 2002. Attualmente la maggioranza degli abitanti appartiene al ceto medio e medio-alto. «Non mancano soprattutto in questi ultimi anni — avverte don d’Errico — famiglie povere a causa della precarietà del lavoro o della scarsa retribuzione pensionistica». Così come sono presenti molti immigrati in cerca di lavoro, provenienti in prevalenza dallo Sri Lanka e dalla Romania.
«La vita della comunità — tiene a sottolineare il parroco — ruota attorno all’Eucaristia domenicale, alla catechesi di iniziazione cristiana e, in diverse forme, degli adulti. Ci sono esperienze di gruppi e movimenti, come i neocatecumenali e carismatici». Proprio dal cammino neocatecumenale sono nate vocazioni di alcune famiglie missionarie oggi in Svezia, Costa d’Avorio e Belgio.
La realtà dei tanti immigrati senza lavoro sollecita la carità. La parrocchia ha attivato un servizio di ascolto e una distribuzione settimanale di viveri, abiti usati e prodotti per l’infanzia. A quanti ne beneficiano viene richiesta un’offerta simbolica in modo da sensibilizzare nei confronti dei più bisognosi. «Educare il povero che raggiunge la nostra comunità a essere sensibile agli altri poveri lontano da noi — sottolinea don d’Errico — ci ha permesso di realizzare tanti progetti in terre di missione, fra cui la Repubblica Democratica del Congo dove opera una nostra parrocchiana, Chiara Castellani».
Nel territorio parrocchiale è presente anche una scuola cattolica, l’istituto Bambin Gesù, gestito dalla congregazione delle suore di Santa Maria Maddalena Postel. La frequentano circa 170 alunni divisi fra scuola materna e primaria. Fanno parte della galassia che ruota intorno alla parrocchia anche i gruppi di preghiera di padre Pio da Pietrelcina e il gruppo mariano. Significativa l’attività del gruppo Pi-greco, che si occupa dei movimenti religiosi alternativi e delle sette, e sostiene le famiglie alle prese con questo fenomeno.
Tante realtà e strutture non eliminano il rischio principale del quartiere, quello che il parroco definisce la «periferia esistenziale» del luogo: l’isolamento e la chiusura di molte famiglie, che porta a «sperimentare una certa insofferenza verso la collaborazione reciproca». Una delle preoccupazioni di don d’Errico è proprio la tendenza delle famiglie a vivere nella solitudine delle proprie case, a rifugiarsi in quell’ambiente dopo le attività lavorative o la scuola. Il quartiere rischia di diventare una specie di dormitorio che si risveglia solo nel fine settimana. Una caratteristica del territorio, dovuta alla rapida urbanizzazione, fa sì che la gente si sposti da un luogo all’altro quasi solo con le auto. E questo comporta che, senza l’accompagnamento dei genitori, i ragazzi non hanno la possibilità di partecipare alle attività parrocchiali.
Don d’Errico però è ottimista, perché nota che la gente in maggioranza si mostra accogliente e aperta alle necessità degli altri. La solidarietà non manca e gli abitanti rispondono volentieri alle iniziative parrocchiali. È questa la realtà che attende Papa Francesco per celebrare insieme con lui due date importanti: l’anniversario dell’inaugurazione della nuova chiesa, il 13 aprile, e il cinquantesimo di istituzione, il 19 febbraio.
L'Osservatore Romano

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