sabato 1 febbraio 2014

UDIENZA DEL PAPA COL CAMMINO NEOCATECUMENALE. I COMMENTI

Il Papa con Kiko Arguello
Il Papa invia 414 famiglie in missione
di Angela Pellicciari
C’è qualcuno che vuole andare per più di una o due settimane in Mongolia, Vietnam o Cina? Difficile. A meno che non si tratti di persone molto giovani o molto originali. Ieri, sabato 1 febbraio, alla Sala Nervi di Roma, il Papa ha ricevuto in udienza il Cammino Neocatecumenale ed ha inviato 414 famiglie in missione, 160 delle quali vanno a formare 40 missio ad gentes che si aggiungono alle 52 già esistenti.
Nel corso dei suoi due millenni di storia la Chiesa ha evangelizzato in tutti gli infiniti modi che lo Spirito Santo ha suggerito. Kiko Arguello e Carmen Hernandez (gli iniziatori del Cammino neocatecumenale) insieme a Padre Mario Pezzi, negli ultimi anni hanno dato vita ad una nuova forma di annuncio del Kerygma che si chiamamissio ad gentes. Il Cammino è un’iniziazione alla fede cristiana che avviene in comunità, piccole comunità in cui tutti si conoscono e crescono nella fede come in una carovana. Le missioni seguono lo stesso schema delle comunità: sono comunità in missione.
Composte ognuna da 4 famiglie (padre madre e uno stuolo di bambini), un sacerdote accompagnato da un socio (seminarista o laico), alcune donne che dedicano la propria vita all’evangelizzazione, costituiscono nell’insieme una cinquantina di fratelli: una comunità, per l’appunto. Si tratta di persone disposte ad andare in ogni parte del mondo per avere la gioia e l’onore di collaborare con Gesù alla diffusione della Notizia, la grande notizia che fa nuove tutte le cose: la morte è vinta.
Le missio ad gentes sono richieste dai vescovi che le erigono con decreto (Canone 516, par. 2), fiduciosi nella forza dell’amore incarnato dalle famiglie e dalle comunità che mostrano, nella perfetta unità, il mistero della Santissima Trinità. Dice Gesù: «Padre io in loro e tu in me perché siano perfettamente uno ed il mondo creda che tu mi hai mandato».
Descrivendo le caratteristiche di questo tipo di missione Kiko Arguello ha detto: «Chi conosce e vede queste piccole comunità rimane impressionato di come le persone che ne fanno parte si relazionano fra di loro. Gesù Cristo dice: ‘Amatevi come io vi ho amato e in questo riconosceranno che siete miei discepoli’. Questo si realizza e sconvolge il mondo: le persone vedendo questo amore rimangono “toccate” e desiderano amarsi anche loro allo stesso modo. Facciamo catechesi in case di non battezzati che si dicono ‘incantati’ nel vedere tutto questo, nel respirare quest’aria. È una forma nuova di evangelizzazione che invece di partire dalla religiosità del popolo o dal tempio, parte dall’amore».
«Non di solo pane vive l’uomo»: i fratelli che partono hanno sperimentato che è vero. Che Dio esiste e provvede. Con la speranza fondata sulla roccia mettono la loro vita e quella dei loro figli a servizio del Vangelo. Certi di non rimanere delusi. Una forma eroica di vivere la propria fede. Eroica ed allegra insieme. Perché è vero che chi dà la vita la trova.

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"Grazie, neocatecumenali, per quello che fate nella Chiesa e nel mondo!"

Il Papa incontra oltre 10.000 rappresentanti del Cammino Neocatecumenale, invia 414 famiglie in missione nel mondo ed esorta a cercare sempre la comunione e l'unità ecclesiale

di Salvatore Cernuzio

Un tripudio di gioia. Non si può definire diversamente il primo incontro di oggi, in Aula Paolo VI, di Papa Francesco con i rappresentanti del Cammino Neocatecumenale. Circa 10.000 le persone presenti, “anche di più” ha osservato qualche gendarme, azzardando una cifra intorno ai 12.000. Al di là dei numeri - sempre esorbitanti negli incontri neocatecumenali - ciò che colpiva questa mattina era la composizione dell’assemblea.
Sotto le volte della “Aula Nervi” si sono radunati giovani, sacerdoti, seminaristi, itineranti, catechisti, famiglie. E spiccavano sul grande palco anche 50 vescovi e 11 cardinali, tra cui Vallini, Filoni, Cañizares, Schönborn, i due Stanislaw, Dziwisz e Rylko, Rouco Varela e Romeo. E ancora: gli emeriti Di Giorgi, Cordes e Stafford, e l’arcivescovo di Perugia, Gualtiero Bassetti, che riceverà la porpora il prossimo 22 febbraio.
I veri protagonisti dell’incontro, però, erano i bambini. Così tanti da emozionare anche il Santo Padre, che appena entrato - in ritardo e quasi a sorpresa, accolto dalle note di un inno a Maria – ha rivolto loro un “saluto pieno di affetto” e ha chiesto: “Possiamo vederli?”. In quel momento, le mamme e i papà hanno sollevato i loro piccoli (alcuni anche di pochi mesi), per far giungere sulla loro testolina la benedizione del Pontefice.
Una benedizione speciale l’hanno poi ricevuta anche gli stessi genitori, direttamente dalle mani del Papa che, al termine dell’incontro, ha inviato 414 famiglie in missione “per annunciare e testimoniare il Vangelo” in ogni parte del mondo, come già fecero i suoi predecessori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Di questi nuclei familiari, 174 faranno parte delle 40 nuove “missio ad gentes” che verranno aggiunte alle 52 già esistenti. Asia, Vietnam e Mongolia le principali destinazioni, ma anche Europa e Stati Uniti: terre accomunate da una quasi totale scristianizzazione, per cui è “un miracolo” che si sia aperta una strada per il Vangelo di Cristo, come ha sottolineato l’iniziatore Kiko Argüello. E per cui è probabile incontrare non poche difficoltà: a cominciare dal dover imparare una lingua nuova e “difficile”, che – ha detto l’ex pittore – è comunque un modo per “evangelizzare non come conquistatori, ma umilmente come poveri tra i poveri”, come insegnava il mistico francese Charles de Focauld, fonte di ispirazione della prima evangelizzazione di Argüello nelle baracche di Madrid.
Ma non solo, ha osservato poi Papa Francesco nel suo discorso: è necessaria anche “una speciale attenzione al contesto culturale nel quale voi famiglie andrete ad operare”, visto che il più delle volte “si tratta di un ambiente spesso molto differente da quello da cui provenite”. È “apprezzabile” pertanto la “fatica” di apprendere un nuovo idioma, ma “tanto più importante sarà il vostro impegno ad 'imparare' le culture che incontrerete, sapendo riconoscere il bisogno di Vangelo che è presente ovunque, ma anche quell’azione che lo Spirito Santo ha compiuto nella vita e nella storia di ogni popolo". Tranquilli però – ha rassicurato Bergoglio - “dovunque andiate, vi farà bene pensare che lo Spirito di Dio arriva sempre prima di noi. Questo è importante. Il Signore sempre ci precede!”; “Dio sparge dovunque i semi del suo Verbo”, anche “nei posti più lontani, anche nelle culture più diverse”.
Un incoraggiamento, dunque, a proseguire questa nuova Evangelizzazione che il Cammino persegue da oltre trent’anni portando un annuncio cristiano in tutti e cinque i continenti, soprattutto in quelle “periferie esistenziali” dove esistono bambini che non sanno neanche che vuol dire farsi il segno della croce. Il Papa, infatti, ha espresso viva gratitudine ai membri di questo “itinerario di formazione cristiana” per “la gioia della vostra fede e l’ardore della vostra testimonianza cristiana”. E ha aggiunto: “La Chiesa vi è grata per la vostra generosità! Vi ringrazio per tutto quello che fate nella Chiesa e nel mondo”.
Come un padre amorevole, “a nome della Chiesa, la nostra Santa Madre Chiesa gerarchica, come amava dire Sant'Ignazio di Loyola”, il Papa ha voluto lasciare alcune “semplici raccomandazioni” per rendere ancora più efficace il servizio del Cammino Neocatecumenale nelle parrocchie e nel mondo. Innazitutto: “Avere la massima cura per costruire e conservare la comunione all’interno delle Chiese particolari nelle quali andrete ad operare”.
“Il Cammino ha un proprio carisma, una propria dinamica, un dono che come tutti i doni dello Spirito ha una profonda dimensione ecclesiale – ha sottolineato Francesco - questo significa mettersi in ascolto della vita delle Chiese nelle quali i vostri responsabili vi inviano, a valorizzarne le ricchezze, a soffrire per le debolezze se necessario, e a camminare insieme, come unico gregge, sotto la guida dei Pastori delle Chiese locali”.
“La comunione è essenziale”, ha ribadito il Papa, suggerendo che “a volte può essere meglio rinunciare a vivere in tutti i dettagli ciò che il vostro itinerario esigerebbe, pur di garantire l’unità tra i fratelli che formano l’unica comunità ecclesiale, della quale dovete sempre sentirvi parte”. In virtù di questa unità a cui tutta la Chiesa è chiamata, il Pontefice ha esortato quindi “ad avere cura con amore gli uni degli altri, in particolar modo dei più deboli”.
Il Cammino, inoltre, è un “itinerario di scoperta del proprio Battesimo”, come aveva evidenziato Kiko, illustrando al Santo Padre un tabellone con le diverse tappe che scandiscono il percorso neocatecumenale. In quanto tale, “è una strada esigente, lungo la quale un fratello o una sorella possono trovare delle difficoltà impreviste”, ha osservato Bergoglio, raccomandando che, in questi casi, “l’esercizio della pazienza e della misericordia da parte della comunità è segno di maturità nella fede”. Inoltre, ha affermato, “la libertà di ciascuno non deve essere forzata, e si deve rispettare anche l’eventuale scelta di chi decidesse di cercare, fuori dal Cammino, altre forme di vita cristiana che lo aiutino a crescere nella risposta alla chiamata del Signore”.
Prima di concludere, Papa Francesco si è nuovamente rivolto alle “care famiglie” e ai “cari fratelli e sorelle”, e ha esortato: “Evangelizzate con amore, portate a tutti l’amore di Dio. Dite a quanti incontrerete sulle strade della vostra missione che Dio ama l’uomo così com’è, anche con i suoi limiti, con i suoi sbagli, anche con i suoi peccati”. “Per questo Dio ha inviato il Suo Figlio – ha aggiunto - perché Lui prendesse i nostri peccati su di sé”. I Neocatecumenali siano dunque “messaggeri e testimoni dell’infinita bontà e dell’inesauribile misericordia del Padre”.
Infine, l’affidamento alla Vergine, Colei che – aveva detto prima Kiko – “ci ha ispirato a formare comunità cristiane sull’esempio della Sacra Famiglia di Nazareth”. “Vi affido alla nostra Madre Maria – ha concluso il Santo Padre - affinché ispiri e sostenga sempre il vostro apostolato. Alla scuola di questa tenera Madre siate missionari zelanti e gioiosi. Non perdete la gioia! Avanti!”

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"Missio ad gentes": disposti a dare la vita per gratitudine a Cristo

Le testimonianze delle famiglie inviate oggi dal Papa per annunciare il Vangelo in ogni parte del mondo


Di Salvatore Cernuzio, Junno De Jesús Arocho Esteves

“Evangelizzate con amore, siate missionari zelanti e gioiosi, non perdete la gioia!”. Questo il mandato di Papa Francesco alle oltre 400 famiglie del Cammino Neocatecumenale, inviate oggi ad annunciare il Vangelo di Cristo Risorto in ogni angolo della terra. Parole, quelle del Santo Padre, di cui hanno fatto tesoro soprattutto i 174 nuclei familiari che prenderanno parte alle nuove 40 missio ad gentes nelle zone più scristianizzate di Europa, America e Asia.
Queste missioni “ai gentili” sono uno strumento forte che il Cammino mette a disposizione dei vescovi, i quali confidano nelle testimonianze di amore e perfetta unità delle famiglie cristiane per riavvicinare alla Chiesa i lontani e i pagani. Sono tante le mamme e i papà che, insieme ai loro figli, rispondono a questa chiamata abbandonando casa, lavoro, affetti, certi che il dono più grande che l’uomo di oggi possa ricevere è conoscere l’amore di Gesù Cristo.
Lo stesso amore che loro stessi hanno sperimentato in prima persona, come raccontano Pedro e Carmen, coppia del New Jersey, genitori di sei figli, di cui uno in seminario a Dallas, inviati oggi dal Santo Padre per la missio a Philadelphia. “Dio mi ha realmente tratto da una situazione di morte” racconta Pedro a ZENIT, “vivevo nella strada, tra le gang, immerso nella droga. Il Signore mi ha reso un uomo nuovo, mi ha dato una moglie e dei figli, e soprattutto una famiglia cristiana. Abbiamo sentito quindi questa chiamata ad andare per il mondo ad annunciare l’amore che Dio ha avuto per noi”.
“Certo, non manca la paura – ammette - ma, come dicevo, ho già sperimentato che Dio mi ha aperto una strada nella morte, e mi ha dato la felicità… Al di là delle difficoltà che sicuramente incontreremo, confido in Lui”. “Sono più spaventata dai miei peccati che dalla missione”, controbatte la moglie; “però ricordo da dove Dio mi ha tratto e le grazie reali che mi ha dato – un matrimonio di 18 anni, sei figli - e che non merito”. Alla domanda, se i figli siano contenti di questa scelta dei genitori, rispondono direttamente i piccoli e dicono in coro: “Siii! Siamo contentissimi!”. “Siamo molto felici di fare questa missione – conclude Carmen - e non vedo l'ora di buttarmi e vedere ciò che il Signore ha preparato per noi”.
Già, perché come ha detto il Santo Padre nel suo discorso di oggi: “Il Signore sempre ci precede”, e prepara un cammino anche “nei posti più lontani” e “nelle culture più diverse”. Certi di questo, Miguel e Beatriz, una famiglia con quattro figli e sette “in cielo”, ha lasciato la Spagna lo scorso anno per partire a Manchester. “Inizialmente è stata dura – dice a ZENIT Miguel - la lingua, le usanze, il cibo… Siamo stati per un anno in una condizione di ‘umiltà’, non potendo comunicare, capire… Però Dio non ci ha mai fatto mancare il suo aiuto, oltre che rafforzando la nostra fede, anche donandoci cose concrete come la casa, il lavoro ecc”.
“Quello che più ha colpito me e mia moglie – prosegue il capo famiglia - è stato vedere come si siano subiti adattati i nostri figli, erano contenti già appena arrivati, hanno imparato anche un ottimo inglese!”. Questa missione, conclude, è “il nostro modo di dire grazie al Signore, per tutto quello che ha fatto, per la vita che ha donato a noi e ai nostri figli”.
Per gratitudine anche Cedric, Cristine e i loro quattro figli hanno deciso di partire in missione a Rajkot, in India. Un atto di fede straordinario considerando che il Paese è noto per le continue persecuzioni verso i cristiani. “I rischi sono tanti”, conferma infatti l’indiano in un timido italiano, “la maggior parte della popolazione è induista, alcuni anche fanatici. È tutto difficile. Anche se restiamo in India, inoltre, dobbiamo imparare un’altra lingua, un’altra cultura, è tutto diverso!”. Allora perché partire? “Perché la gratitudine nei confronti di Dio è più forte - afferma Cedric - abbiamo visto troppi miracoli e troppo amore per non poterlo condividere con altri”. Un esempio, racconta, “sono state le gravidanze difficili di mia moglie, ha rischiato molto, però abbiamo avuto fede, abbiamo pregato e Dio ci ha dato quattro figli. Veramente un miracolo: ogni bambino è stato un dono! I nostri figli sono consapevoli che la vita gliel’ha donata il Signore, quindi sono felici di partire”.
Un’altra bella testimonianza la offrono anche Paolo e Anna, giovanissima coppia di Trieste (lui 28, lei 25), padre e madre di due bambini piccolissimi, tra le famiglie inviate oggi in Asia. “Abbiamo incontrato Gesù Cristo, ci siamo sentiti amati e ci siamo resi disponibile ad andare in ogni parte a portare questo amore”, taglia corto Paolo alla domanda di cosa li abbia spinti a lasciare tutto e partire. “Non è sempre facile, la vita a volte pesa”, aggiunge, “ma confidiamo nello Spirito Santo, senza il quale non facciamo niente”.
“È veramente un miracolo che tutte queste persone partano per il mondo ad evangelizzare, lasciando la propria casa, le loro sicurezze”, commenta a ZENIT mons. Anthony Sablan Apuron, arcivescovo cappuccino di Agaña, nell’isola di Guam. “Soprattutto mi hanno colpito le famiglie inviate in Cina, disposte ad imparare una lingua nuova, una cultura totalmente opposta, a perdere la vita. Sono sicuro che il Signore le aiuterà”.
D’accordo anche mons. John McIntyre, vescovo ausiliare di Philadelphia, dove 12 delle famiglie inviate oggi partiranno per la missio ad gentes. “È stato un incontro molto bello e commovente – dice il presule - soprattutto aver visto la preoccupazione del Santo Padre per le famiglie e il suo interesse per i loro figli, ma anche la generosità di queste persone che si offrono in maniera così meravigliosa per la missione della Chiesa”. “Noi – prosegue - siamo molto grati a queste famiglie, sacerdoti e seminaristi, soprattutto per il loro coraggio ad affrontare le sfide umane che gli si presenteranno: non solo la lingua e la nuova cultura, ma anche trovare lavoro, trovare una scuola per i loro figli. Sono certo però che riusciranno in tutto sostenuti dalla fede in Cristo, nella sua vittoria sui problemi, sul peccato e sulla morte”.