lunedì 3 novembre 2014

Donne intellettuali



Osservatore Romano Inserto "Donne, Chiesa, Mondo". 

(Lucetta Scaraffia) Anche se oggi le donne svolgono nuovi ruoli nella vita culturale della Chiesa — una donna è stata nominata rettore di un’università pontificia, una studiosa riceve il premio Ratzinger, religiose editrici festeggiano il centesimo anniversario — frutto anche della provvidenziale decisione conciliare di aprire alle donne lo studio e l’insegnamento della teologia, la storia ci ricorda che nei secoli passati non sono mancate donne che hanno contribuito alla costruzione della tradizione cattolica, in misura non inferiore agli uomini.

È stata Elena, la madre di Costantino, a inventare il pellegrinaggio ai luoghi santi e il culto delle reliquie di Gesù; Brigida a offrire con le sue visioni immagini fondamentali per la raffigurazione artistica dei momenti decisivi della narrazione evangelica; Teresa d’Ávila a trasformare l’esperienza mistica in qualcosa di raccontabile e quindi imitabile; Margherita Maria Alacoque a proporre quello che è diventato il simbolo devozionale di maggior successo nel mondo cattolico, il Sacro Cuore; madre Teresa a insegnare che assistere i moribondi nell’inferno di Calcutta era importante tanto quanto curare e guarire. Così si potrebbe continuare a lungo, perché le donne con la loro intelligenza, fantasia, fede e intuizioni hanno dato alla costruzione della cultura della Chiesa un contributo importante. Che però spesso è stato dimenticato, o non riconosciuto nel suo valore intellettuale. Per esempio, mentre anche nella cultura cattolica oggi trovano posto — e non possiamo che rallegrarcene — intellettuali quali Etty Hillesum e Simone Weil, rimangono poco note e misconosciute donne cattoliche che, nel ventesimo secolo, possono a buona ragione essere loro avvicinate: non solo, infatti, Dorothy Day, Adrienne von Speyr e Catherine Doherty sono state scrittrici di talento, ma hanno dato un contributo spirituale di alto livello. Tutte hanno individuato nuovi percorsi spirituali adatti alla società moderna, e hanno dedicato la loro vita a diffonderli con un entusiasmo e un calore che le hanno rese capaci di risvegliare la fede in contesti che sembravano solo respingerla. Perché dimenticarle o emarginarle, quando fanno parte a buon diritto della tradizione culturale cattolica e hanno ancora molto da dire a donne e uomini di oggi? 

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Altrimenti non sarebbe Chiesa. Intervista a suor Mary Melone, prima donna a guidare un’università pontificia

(Giulia Galeotti) «Apprezzo particolarmente questa domanda — esclama suor Mary Melone, teologa cinquantenne da giugno a capo dell’Antonianum — perché finora le domande rivoltemi sono state tutte incentrate sul fatto di essere la sola donna eletta in Italia alla guida di un’università pontificia. C’è infatti una precisazione importante da fare: i criteri in base ai quali i miei colleghi mi hanno votata non sono criteri di genere, ma criteri accademici e scientifici che valutano la competenza in termini di docenza e di ricerca. Si fanno due votazioni, la prima aperta, la seconda ristretta tra i dieci nomi che hanno ricevuto più consensi».
La bella notizia si avrà quando non verremo più a intervistarla perché unica donna al vertice di un’università pontificia.
(Ride). Sono consapevole di cosa rappresenti la mia nomina: il numero di donne, sia religiose sia laiche, che opera a questo livello nelle università, sebbene sia aumentato significativamente negli ultimi tempi, non è ancora uguale o minimamente paragonabile a quello degli uomini. Anche nell’ambito della teologia c’è ancora del cammino da fare. Dal punto di vista del pensiero teologico, anche nei secoli passati abbiamo avuto rare ma significative figure femminili cui si devono riflessioni preziose su Spirito Santo e Trinità. Certo, docenza e accesso agli studi curriculari restano un fatto post-conciliare, ma da allora in poi molto è stato fatto. La maturazione, però, non dimentichiamolo, ha interessato anche l’atteggiamento delle donne: a fasi in cui era più evidente la rivendicazione, sono subentrate fasi di maggiore consapevolezza della propria rilevanza e della possibilità di dare un apporto importante al mondo della teologia. Oggi è indubbio che, per tanti motivi, il pensiero teologico femminile è più maturo e più sereno. Non solo perché accettato diversamente nella Chiesa, ma anche perché le donne sono in modo diverso consapevoli delle proprie possibilità.
Il Papa ha invitato a compiere una profonda teologia della donna.
Non vorrei certo interpretare le sue parole, ma penso che l’esigenza sia quella di riconoscere il significativo apporto che la donna dà al mondo della fede e a quello ecclesiale accostandosi nel suo modo precipuo al mistero di Dio. Più in là della teologia fatta dalle donne, a mio avviso c’è bisogno — oltre che di posizioni istituzionali — di riconoscere che l’apporto femminile è, non solo necessario, ma complementare a quello maschile.
Tutte riflessioni applicabili, più in generale, alla vita della Chiesa.
Sicuramente dal concilio in poi abbiamo fatto passi notevoli anche in termini di inserimento delle donne in ruoli ecclesiali significativi, ma quello che manca — e nella Evangelii gaudium è scritto chiaramente — è la presenza di donne in luoghi decisionali. La questione è molto complessa perché la Chiesa è una realtà complessa, e da questo punto di vista il binomio carisma/ministeri ha anche un riferimento a ministeri ordinati che ovviamente non possono essere ignorati. L’accesso a ruoli decisionali va dunque contestualizzato nella realtà stessa della Chiesa.
La Chiesa non comprende che altrimenti così si impoverisce.
Quando si riflette su questi argomenti, si torna a verità semplici ed essenziali: sono tanti i motivi per cui la Chiesa non può prescindere dalle donne. Non può farlo perché altrimenti non sarebbe Chiesa nella sua totalità. Non può farlo perché l’apporto femminile, per quanto silenzioso e forse meno evidente, è assolutamente indispensabile: io sono una religiosa e penso al numero di religiose che hanno sulle loro spalle così tante opere. Non mi riferisco solo alla quantità materiale di scuole, ospedali e missioni gestite da religiose e, più in generale, da donne, ma anche — e soprattutto — alle loro capacità e competenze. Per illustrare una dimensione della Chiesa, occorre ricordare che ci sono opere sulle quali gli istituti religiosi femminili hanno puntato in anticipo sui tempi della società civile. Pensiamo, ad esempio, alle scuole: abbiamo creato, con competenza e lungimiranza, strutture educative quando non esisteva nulla. Questo nel mondo francescano è particolarmente evidente: gli istituti femminili francescani sono entrati in dialogo con l’epoca moderna molto prima di quanto non abbiano fatto i frati, legati a una struttura diversa. Nati quasi tutti tra la metà e la fine Ottocento, gli istituti femminili francescani fioriscono dialogando con la società, grazie alla loro capacità di leggere le attese dell’epoca moderna. Solo gli istituti femminili francescani riescono a farlo, mentre l’ordine ha un suo momento di ripensamento interno. In questo senso dico che la Chiesa non può fare a meno delle donne! Credo sarebbe un impoverimento misconoscere che la donna ha una sua ricchezza da mettere a servizio della Chiesa.
Quando Bergoglio si affacciò dalla Loggia delle benedizioni, sentendo il nome scelto, pensammo anche al rapporto tra Francesco e Chiara, splendida pagina di amicizia paritaria tra una donna e un uomo.
Ero anch’io in piazza San Pietro quella sera. Ricordo l’emozione nell’ascoltare un nome che per noi francescani è tutto. Un nome che era già un messaggio molto chiaro. San Francesco parla tutte le lingue, non credo ci sia una realtà, soprattutto ecclesiale, che non si senta immediatamente in sintonia con la sua figura. Ed è verissimo che chi guarda Francesco non può non vedere Chiara: lo stesso Francesco non si pensa senza Chiara, nel senso che riconosce il contributo sostanziale di questa donna. Lo studio del rapporto tra i due è molto complesso, nell’ambito del mondo francescano assorbe molta attenzione, proprio perché bisogna liberarsi da certi stereotipi che vedono il legame tra loro in modo unidirezionale. Invece Chiara ha contribuito alla configurazione del carisma francescano. Pochi, ad esempio, conoscono le sue lettere, eppure sono testi estremamente significativi da cui emerge una maturità spirituale di cui Francesco era senz’altro consapevole e partecipe. Il loro è un rapporto di complementarietà in cui l’uno ha, in qualche modo, bisogno dell’altro. Molti sono gli aneddoti tramandati che, sebbene in maniera episodica, veicolano questa realtà di cui si è consapevoli nel mondo francescano. Penso al famoso episodio in cui da Assisi videro un fuoco nei pressi di Santa Maria degli Angeli: pensarono a un incendio, invece era il dialogo spirituale tra Chiara e Francesco, con la fiamma a simboleggiare l’intensità di una vita spirituale condivisa. O pensiamo al famoso episodio di Francesco che va da Chiara perché lei ha bisogno di Francesco e Francesco sente il bisogno di Chiara: lui va da lei a San Damiano, officia una liturgia estremamente semplice, si copre il capo di cenere e si allontana. Un episodio che incarna alla perfezione la complementarietà all’interno di una vocazione di totale dedizione al Signore in cui i due camminano insieme. Sono del resto molte le coppie di santi che testimoniamo questa complementarietà: ecco, forse, il linguaggio della santità — un linguaggio molto diverso da quello della teologia — è capace di vivere concretamente questo aspetto, su cui poi la teologia riflette. La necessità di una complementarietà di approcci: la logica evangelica di Francesco, il suo stile e il modo in cui egli segue il Signore, sono tutti aspetti che vengono arricchiti grazie al sentire femminile di Chiara, nonostante il carisma sia lo stesso. Qui all’Antonianum abbiamo dedicato un anno di studio a maschile e femminile nella vocazione francescana proprio per recuperare questa complementarietà.
Le sue parole sono ottimiste: sappiamo che il problema tra donne e Chiesa esiste, ma abbiamo gli strumenti per affrontarlo!
So di avere avuto un’esperienza personale fortunata: ho sempre trovato un ambiente molto aperto e questo sicuramente mi porta a essere molto serena. Ma è vero anche che portare nel mondo ecclesiale criteri di quote che la società laica deve invece, giustamente, adottare, non è corretto: la nostra comunità ecclesiale non è una società qualsiasi, lo spessore carismatico della Chiesa impedisce di fare un parallelo con la società civile dove è giusto venga garantito un tot di presenze femminili. Noi dobbiamo pensare a una Chiesa fatta di carismi e di ministeri. Ciò però non toglie che sono ben consapevole delle resistenze che ci sono nel mondo ecclesiale: dopo la mia nomina, ho avuto tantissime attestazioni in cui si esprimeva la gioia per questa ennesima dimostrazione della nuova primavera in qualche modo legata al Papa, ma ho ricevuto anche alcuni messaggi in cui, in nome di san Tommaso e di san Paolo, venivo pregata di dimettermi perché ero stata eletta a un ruolo non consono alla donna. È la dimostrazione di quanto siamo ancora lontani da una visione libera di una Chiesa che è comunione. Nella Lumen gentium, il Vaticano II ha chiaramente detto che la Chiesa ha la sua origine, modello e meta nella Trinità: l’aspetto comunionale, dunque, non è semplicemente una scelta di equilibrio e di funzionalità, ma è la realtà intima della Chiesa. La Trinità è la massima unità nella massima distinzione. Rimanere nella diversità e nella distinzione tra uomini e donne, tra servizi e ministeri diversi, è la garanzia per una vera comunionalità ecclesiale. Questo, a volte, nemmeno noi donne lo abbiamo capito, ad esempio quando abbiamo cercato di uniformarci a tutti i costi agli uomini. Non sono femminista per natura, ma sono orgogliosa della diversità, credo che il più grande femminismo sia non alimentare nell’uomo l’idea che ci sentiamo realizzate solo quando diventiamo uguali a lui! La realtà della donna è in sé talmente completa e bella che non ha bisogno di modellarsi su quella maschile.
Nata a La Spezia nel 1964, dopo la maturità classica Mary Melone entra nelle suore francescane angeline, dove emette la professione perpetua nel 1991. L’anno dopo si laurea alla Lumsa in pedagogia, studiando poi teologia all’Antonianum. Preside dell’Istituto superiore di Scienze religiose Redemptor Hominis (2001-2008), nel 2011 viene eletta decano di teologia da un collegio maschile. Presiede la Società italiana per la ricerca teologica.
L'Osservatore Romano