sabato 1 novembre 2014

I fogli di Pacelli




Negli appunti del segretario di Stato di Pio XI lo specchio di una difficile situazione.


Pubblicati i documenti. È stato appena pubblicato il secondo volume de I Fogli di Udienza del cardinale Eugenio Pacelli segretario di Stato (1931), a cura di Giovanni Coco e Alejandro Mario Dieguez (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2014, Collectanea Archivi Vaticani 95, pagine XVI+937, tav. 16 b.n.). Riprendiamo stralci dalla presentazione del volume scritta dal vescovo prefetto dell’archivio che ha ideato la pubblicazione.
(Sergio Pagano) L’anno 1930 si chiudeva, stando al bilancio che ne tracciava Pio XI nel suo messaggio natalizio, con «argomenti di consolazione e di pena». Fra i primi vi erano la felice conclusione del Centenario francescano, i futuri Centenari di sant’Agostino, di sant’Emerico, di sant’Antonio da Padova, della Medaglia Miracolosa, del concilio di Efeso; i frutti spirituali maturati nei Congressi eucaristici di Budapest, di Cartagine, di Loreto; le canonizzazioni di Roberto Bellarmino, di Teofilo da Corte, di Caterina Thomas, di Lucia Filippini, degli otto martiri gesuiti del nord America.

Fra le dolenti note Papa Ratti rilevava una situazione sociale dipinta con tinte fosche e realistiche, condizionata ancora pesantemente dalla crisi del 1929; situazione che darà spunto al Pontefice il 15 maggio 1931 (ben oltre la mera ricorrenza della Rerum novarum) all’enciclica sociale Quadragesimo anno: «Diciamo questo generale, anzi universale disagio finanziario ed economico, il quale è così penosamente risentito nella loro stessa compagine dagli Stati e dai Popoli, anche i più ricchi e i più forti, come dalle più piccole ed umili famiglie, da queste (s’intende) ben più dolorosamente. Diciamo questa così largamente diffusa disoccupazione che toglie lavoro e pane a tanti operai ed alle loro famiglie e fa sentire sempre più vivamente il bisogno di un migliore assetto sociale ed internazionale ispirato a maggiore giustizia e carità cristiana, e che senza sovvertire l’ordine stabilito dalla Divina Provvidenza, renda possibile ed effettiva fra le diverse classi e fra i diversi popoli la collaborazione fraterna, utile a tutti, invece della lotta e della concorrenza dura e sfrenata, a tutti nociva ed a più o meno breve andare disastrosa».
A essa si aggiungevano il dilagare del malcostume, le «disastrose ideologie», gli eventi tellurici in Italia, le sofferenze dei cristiani «nelle Russie, nella Siberia», il proselitismo protestante in Italia «contro la religione cattolica, la sola religione dello Stato».
Eppure per il Papa e per la Santa Sede il nuovo anno che si apriva — il 1931 — sembrava inaugurarsi sotto gli auspici di un moderato ottimismo: i Patti Lateranensi reggevano da quasi due anni e i rapporti con il governo italiano, nonostante i costanti, reciproci attriti e gli scatti umorali di Pio XI e di Mussolini, non destavano particolari apprensioni, o almeno timore di sovversione.
Nel contempo la Città del Vaticano, quel «tanto di territorio» che assicurava l’inviolabilità del Sommo Pontefice, si andava strutturando, dotandosi degli elementi fondamentali per assicurare l’indipendenza della Sede Apostolica; sorgevano gli uffici postali, la centrale termo-elettrica e soprattutto la radio (poi Radio Vaticana) fortemente voluta da Pio XI, che l’avrebbe inaugurata il 12 febbraio (alla presenza di Guglielmo Marconi), pronunciando dai suoi microfoni il memorabile discorso Qui arcano Dei consilio.
Presto però l’orizzonte si sarebbe offuscato: nel marzo si generava una pericolosa crisi nelle relazioni fra la Santa Sede e l’Italia: il noto dissidio sull’Azione Cattolica, la «pupilla degli occhi del Papa», fatta oggetto di sospetto e dell’aggressione violenta da parte del regime fascista, aveva fatto provare al vescovo di Roma (sono parole sue) «le amarezze più amare, amaritudo mea amarissima». La vertenza, culminata in luglio con la promulgazione dell’enciclica Non abbiamo bisogno, avrebbe condotto Roma e il Vaticano addirittura alle soglie della rottura delle relazioni diplomatiche, e conseguentemente dei Patti Lateranensi; una eventualità, quest’ultima, che ebbe un ruolo non marginale nell’indurre entrambe le parti a più moderati consigli.
E se la questione dell’Azione Cattolica fu la ribalta visibile e pubblica di un forte attrito fra Italia e Vaticano, altri segnali marginali, se si vuole, appaiono in questo 1931, come ad esempio la presa di distanze, compiuta sulle pagine de «L’Osservatore Romano» per volere di Pio XI e su segnalazione del cardinale Schuster, dalla «Rivista di Agricoltura», di impronta fascista, che aveva osato esaltare il «nuovo rito italiano», ovvero la benedizione delle sementi, «pieno di poesia e di fede, e profondamente diverso nello spirito» — si scriveva sul periodico — non solo dal rito pagano, ma dallo stesso rito cattolico. Tanto bastò per far capire agli ispiratori di tale strano rito agreste di non miscere sacra profanis (questo il titolo dell’articolo su «L’Osservatore Romano»), strumentalizzando la benedizione cristiana delle messi con un «nuovo rito, dove le preghiere son messe a contributo della propaganda, con il concerto bandistico, coll’intervento delle bandiere, con la distribuzione dei premi, con il discorso di propaganda». 
Avvisaglia più robusta di tale clima fu il centenario della nascita del noto vescovo di Cremona Geremia Bonomelli (1831-1931), famoso “conciliazionista”, che il suo successore, monsignor Giovanni Cazzani, non avrebbe voluto celebrare pubblicamente (ovvero almeno sospendere) per “inopportunità politica”, temendo che l’occasione potesse venir sfruttata per “scopi tendenziosi”, come infatti poi avverrà da parte del foglio locale «Il Regime Fascista» di Roberto Farinacci. Il personaggio era però troppo noto in Italia e all’estero e troppo caro ai cremonesi, sicché, dopo diverse tergiversazioni, e dopo aver avvertito sulla stampa cattolica che «la Conciliazione vagheggiata dal Bonomelli non è quella avvenuta, tanto che il Santo Padre ha avuto cura di dire che la conciliazione da lui fatta non è quella vagheggiata da altri», il centenario si celebrò con dimessa solennità e il Papa fece inviare una lettera di elogio al vescovo celebrato, esaltandone però più le virtù di pastore, che quelle di tessitore “conciliazionista”. E molti altri esempi consimili si potrebbero moltiplicare, legati da un filo di rapporti sempre teso e sorvegliato fra regime fascista e Santa Sede.
Tuttavia il dialogo fra Italia e Vaticano, favorito dalla mediazione del gesuita Pietro Tacchi Venturi (figura che ripercorre tutti i Fogli di Udienza), sarebbe stato ripreso con gli “Accordi di settembre” ed avrebbero aperto una nuova fase di tregua “armata” tra le due sponde del Tevere: una pacificazione che sarebbe stata solennizzata solo l’anno seguente con la storica visita di Benito Mussolini in Vaticano (11 febbraio 1932).
La crisi italo-vaticana aveva aperto un altro fronte, tutto interno alla stessa Curia romana: una larga parte del Sacro Collegio, che aveva mosso e continuava a muovere critiche all’azione di governo del Pontefice, riverberando questo dissidio in una sorda e mai sopita opposizione (più di principio che di fatto) ai Patti Lateranensi, colse l’occasione del conflitto sull’Azione Cattolica per dare sfogo alle proprie rimostranze, mettendo in questione l’operato del cardinale Pacelli, segretario di Stato, e le scelte di questi approvate dallo stesso Pio XI. Il contrasto tra il Pontefice e il Collegio cardinalizio — forse uno dei più acuti della storia recente del papato — sarebbe stato composto e assorbito nel Concistoro segreto del 23 luglio, nel corso del quale il Papa letteralmente ora clausit cardinalibus, affermando in maniera inequivocabile la propria autorità e quella del suo segretario di Stato. 
Ma nuove e dolorose preoccupazioni si affacciavano ben oltre Roma e la Curia, da altre parti dell’orbe cattolico. Nell’aprile il re Alfonso XIII di Borbone lasciava in volontario esilio la Spagna, che si costituiva in Repubblica; il nuovo governo, nonostante gli sforzi di democratizzazione, avrebbe inaugurato una fase di aspro confronto con la Chiesa cattolica, ritenuta una delle colonne dell’antico regime monarchico, e mentre nelle piazze si susseguivano violente aggressioni a chiese e conventi, nelle cortes si discuteva una nuova legislazione costituzionale, marcatamente anticlericale, che decretava la separazione tra Chiesa e Stato e poneva fuori legge la Compagnia di Gesù. Il momento più acuto della crisi tra Madrid e il Vaticano si ebbe con l’esilio comminato al cardinale Pedro Segura, arcivescovo di Toledo e primate di Spagna, la cui vicenda — chiusa con le forzate dimissioni del cardinale dalla propria sede — divenne emblematica dell’intera «questione spagnola».
Se queste erano le ragioni che destavano allarme nell’Europa occidentale, a Oriente di essa erano la Lituania e la Polonia a tenere insonne l’attenzione della Sede Apostolica. Il governo di Kaunas, che sempre aveva mantenuto rapporti contraddittori con la Chiesa romana, nel mese di giugno di quell’anno espelleva il nunzio apostolico, monsignor Riccardo Bartoloni, sulla base di generiche accuse di indebita ingerenza negli affari politici interni. Al contempo nella vicina Polonia, la cui vita politica permaneva sotto la salda egida del maresciallo Piłsudski, pater et dominus patriae, una parte sempre più ampia dell’episcopato manifestava la propria insoddisfazione nei confronti del governo, causandone le risentite proteste a Roma. Allo stesso modo forti rimanevano le distanze tra la Santa Sede e il governo di Varsavia nel merito della “questione orientale”, ovvero dei conflittuali rapporti tra il governo e la Chiesa greco-cattolica, i cui fedeli — in gran parte di lingua ucraina — coltivavano la speranza di una futura indipendenza nazionale.
Nella lontana America Latina continuava a preoccupare la situazione della Chiesa in Messico e i ripetuti esposti contro l’atteggiamento del delegato apostolico monsignor Leopoldo Ruíz y Flores, giudicato da taluni sacerdoti e da non pochi vescovi troppo condiscendente con il governo. Protestarono i presuli di Durango (José María Gonzáles y Valencia), di Veracruz-Xalapa (Rafael Guízar y Valencia), di Antequera (José Othón Núñez y Zárate) e soprattutto il vescovo di Huejutla (José de Jesús Manríquez y Zárate), accanito oppositore (nella sua situazione di esule negli Stati Uniti) del modus vivendi, giudicato dal Papa severamente. Si poneva il grave problema per i cattolici, o per meglio dire di alcuni settori della Chiesa in Messico, della opposizione armata ad un regime che negava le libertà della Chiesa e gli stessi diritti umani; la Santa Sede in questo 1931 giungeva ad una posizione che può essere bene sintetizzata da quanto scriverà il cardinale Pacelli per la riunione del 20 dicembre agli Affari Ecclesiastici Straordinari: «Trovar modo di dire che la S. Sede non può che benedire e incoraggiare tutti quelli che difendono i diritti di Dio e della religione; però nelle condizioni attuali non può né autorizzare né incoraggiare la resistenza armata. (…) Del resto unione, tutta l’unione possibile, nella varietà delle condizioni, e coltivare molto bene l’Azione Cattolica, (…) la quale invece di armare di spada e di moschetto, arma delle armi dell’apostolato. (…) Se si vuole un partito di cattolici, agirà con la coscienza cattolica, ma non un partito cattolico, cioè identificare l’idea di partito con quella di cattolici. Cattolici organizzati a partito, ma non partito cattolico».
Infine, ma non per ultima fra i gravi problemi, la crisi economica internazionale, provocata dal crack di Wall Street nel 1929, che cominciava a farsi sentire più pesantemente in Europa con tutte le sue devastanti conseguenze. A pagarne le spese sarebbero state soprattutto le nazioni uscite vinte dal precedente conflitto mondiale, in primis la Germania di Weimar, che ancora stava cercando di consolidare le proprie istituzioni. Schiacciata dal debito dovuto alle riparazioni di guerra, la Germania avrebbe attraversato una fosca crisi economica e istituzionale, dalla quale lentamente ma inesorabilmente sarebbe emersa una nuova forza politica, il nazionalsocialismo, le cui proposizioni erano state prontamente condannate da alcuni vescovi tedeschi; e proprio su mandato di Adolf Hitler, nel maggio del 1931 Hermann Göring si sarebbe recato in Italia allo scopo di rassicurare il regime mussoliniano, al fine di guadagnarne il fondamentale sostegno alla causa nazista, e per altro verso per sollecitare (ma invano) dalla Santa Sede la revoca della scomunica fulminata dall’episcopato agli aderenti al partito hitleriano. Questo, detto in estrema sintesi, quanto ai grandi problemi internazionali.
Venendo ora ai mille temi ordinari e straordinari, di maggiore o minore portata, trattati nelle Udienze, notiamo anzitutto nei nostri Fogli ancora gli strascichi della condanna dell’Action Française (1926). Verso la fine di gennaio padre Henri Le Floch, rettore del Seminario Francese di Roma, destituito da Pio XI per le sue simpatie verso il movimento, protestava la sua fedeltà al romano Pontefice e chiedeva nuovamente perdono per una sua lettera di discolpa, divulgata a sua insaputa, e sottometteva al Pontefice il desiderio di pubblicare un recueil de conferénces et d’allocutions qui pourraient être par leur objet un témoignage public de mon attachement au Siège Apostolique. La risposta, di pugno di Papa Ratti, fu categorica: «Perdono e benedizione sì, l’indicata pubblicazione no». A conferma di una linea d’azione sempre vigile e fermissima del Papa di Desio nei riguardi di Maurras e del suo movimento.
L'Osservatore Romano