martedì 11 novembre 2014

Quanto è importante uno stile plurale



I Papi del concilio. 
(Ezio Bolis) Verrà presentato mercoledì 12 presso la Fondazione Papa Giovanni XXIII il libro Giovanni XXIII e Paolo VI: i Papi del Concilio (Roma, Editrice Studium, 2014, pagine 240). Il volume raccoglie gli atti del convegno internazionale che si è tenuto a Bergamo il 12 e 13 aprile 2013, e che ha messo a fuoco gli stretti rapporti tra Papa Roncalli e Papa Montini: dal terreno comune della loro formazione fino alla profonda sintonia nel modo di concepire il concilio Vaticano II. A illustrare l’opera è stato invitato il cardinale Walter Kasper, che aveva già tenuto la prolusione del convegno apprezzata dal folto pubblico dei partecipanti. In quella sede il porporato, già presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, aveva parlato di come il concilio sia stato recepito e di che cosa resti ancora da fare per realizzare in modo compiuto la riforma della Chiesa voluta dal Vaticano II.
Nella presentazione del 12 novembre il cardinale Kasper intende porre l’attenzione su un punto nodale della dottrina conciliare e di stretta attualità: lo stile sinodale che la Chiesa è chiamata ad assumere. «Prima ancora che struttura giuridica — osserva il porporato — la sinodalità è un modo di essere, di esprimersi, di incontrarsi, in cui si vive gli uni per altri, si cerca il bene altrui come il proprio, si fa a gara nello stimarsi a vicenda, per farne lo stile di vita da offrire come speranza al cammino degli uomini».

Questa era l’intenzione che mosse il beato Papa Paolo VI quando istituì il Sinodo dei vescovi con la lettera-motu proprio Apostolica sollicitudo, nel 1965. Memore di quanto fosse stata feconda l’esperienza del concilio Vaticano II, affidava al nuovo organismo sinodale il compito di «prendere parte in maniera più evidente e più efficace alla sollecitudine pastorale per la Chiesa universale». Due anni dopo, il 30 settembre 1967, parlando al primo Sinodo dei vescovi, Papa Montini tornava sul tema ricordando che missione del sinodo è «favorire la circolazione delle conoscenze e delle esperienze riguardanti la vita della Chiesa, offrendo… occasione di incontrarsi e di discutere su determinati temi d’interesse generale». Ricordava inoltre che «come ogni istituzione umana, con il passare del tempo potrà essere maggiormente perfezionato» (Apostolica sollicitudo).
La sinodalità era un tema molto caro anche a san Giovanni XXIII. Fin da giovane prete, come segretario del vescovo di Bergamo, monsigno Radini Tedeschi, don Roncalli aveva maturato una «mentalità sinodale»: il vescovo riveste una dignità ecclesiale che non si riduce a quella di mero esecutore delle decisioni pontificie. Gli studi sul concilio tridentino, sulla figura e l’opera pastorale di san Carlo Borromeo, insieme alla lunga esperienza in Bulgaria, Turchia e Grecia, a contatto con la ricca tradizione sinodale delle Chiese orientali, consolidarono nel futuro Papa bergamasco la persuasione di quanto fosse importante anche per la Chiesa cattolica la ripresa di uno stile sinodale. Tutto ciò emerse nel suo modo di preparare e di condurre il concilio Vaticano II. Papa Giovanni XXIII aveva compreso che una riscoperta della sinodalità poteva favorire anche i rapporti con le altre chiese cristiane. Infatti il principio della sinodalità non vuole né deve in alcun modo danneggiare il primato del Papa, al contrario. Papato e sinodalità non sono in contraddizione. Si tratta di ripensare il modo di esercitare il primato petrino, come chiedeva il beato Papa Giovanni Paolo II nella Ut unum sint, e di rivedere il rapporto tra la Curia romana e le chiese particolari, per realizzare la comunione e migliorare la comunicazione nella Chiesa.
Facendo propria questa preziosa eredità dei Papi del concilio, Papa Francesco ha ribadito con forza la volontà di rafforzare l’istituzione sinodale e il desiderio di ravvivare lo stretto legame con tutti i pastori della Chiesa, nella ricerca di forme sempre più profonde e capaci di realizzare la comunione ecclesiale. In una lettera del primo aprile 2014 al segretario generale del Sinodo dei vescovi, Papa Bergoglio afferma che «il vescovo di Roma ha bisogno della presenza dei suoi confratelli Vescovi, del loro consiglio e della loro prudenza ed esperienza» e deve «prestare attenzione a ciò che lo Spirito Santo suscita sulle labbra» di quanti fanno parte del Collegio apostolico.
L'Osservatore Romano