martedì 8 luglio 2014

Obbedire è meglio


"Ormai sta solo male dappertutto. Perché non sposarsi a ottantacinque anni, quando non rischiate più niente?"
"E cosa faremo quando saremo sposati?"
"Avrete compassione l'uno per l'altra, porca miseria. Non è per questo che la gente si sposa?"

Da La vita davanti a sé, di Romain Gary

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Ci sono libri di cui si fa fatica a vedere la fine e che, dopo qualche piccolo sforzo di volontà, accantoniamo definitivamente, in un certo senso rincuorati dal fatto che il terzo tra “I diritti imprescrittibili del lettore” elaborati da Daniel Pennac cita: “Il diritto di non finire un libro”. E se l’ha detto lui, che in fatto di scrittura non è proprio l’ultimo arrivato, possiamo stare tranquilli.
Di contro, ci sono libri che divoreremmo tutti d’un fiato. Libri che si leggono intanto che si beve il primo caffè della giornata, quando normalmente si è ancora arrabbiati con la sveglia, che sembra suonare sempre prima; libri che fanno fare ‘le ore piccole’ nonostante la mattina stessa, guardandosi allo specchio e avendo riconosciuto una preoccupante somiglianza tra i propri occhi e quelli contornati di nero di un panda, si fosse promesso a se stessi: “Questa sera vado a letto presto”; libri che fanno desiderare ardentemente un tragitto in autobus pur di avere il tempo di leggerne un’altra pagina, eccetera…
Ebbene Obbedire è meglio – Le regole della Compagnia dell’agnello (Sonzogno, 2014), l’ultima fatica della giornalista Costanza Miriano, rientra tra questa seconda categoria. Un libro che di conformista non ha nulla, come i precedenti Sposati e sii sottomessa e Sposala e muori per lei. E forse proprio per questo un libro che parla al cuore, che tocca l’intimità profonda delle persone, oggi troppo spesso censurata e negata.
In dieci agili capitoli, conditi con una scrittura frizzante e con buffissimi episodi tratti dalla quotidianità, Costanza Miriano tocca i nuclei centrali della vita di ogni persona, rispondendo alle domande ultime dell’umanità, quelle che siamo tutti bravissimi ad accantonare, con scuse all’apparenza anche piuttosto ragionevoli: “Ci penserò dopo l’esame…”; “Ci penserò dopo aver trovato lavoro…”; “Ci penserò quando i miei figli saranno grandi e avrò del tempo per me…”, e via discorrendo.
Perché viviamo? Qual è lo scopo della nostra vita? Come possiamo essere felici? Perché amare?
Noi siamo qui. È davvero un’informazione utilissima. Noi siamo proprio qui, con questa moglie e non con un’altra, proprio con questo marito, e con questi figli, esattamente loro, fatti in quel modo unico, ma privi di telecomando per la programmazione. Noi siamo qui, e non dove saremmo se. Quanto si diverte il nemico a farci rimuginare sul passato, su quanto sarebbe meglio se avessimo fatto le cose diversamente. Ma noi siamo qui ora, e non dove saremo fra dieci anni. Dio è il Dio del presente, mentre del passato e del futuro (io sono la madre di tutte le ansie materne) si occupa molto alacremente il nostro inconscio”. Il nocciolo della questione, prosegue la Miriano, è quello di “[...] passare dalla nostra volontà alla gioia di sapere di essere nella volontà di Uno più grande. L’obbedienza non è passività, al contrario, è il massimo della forza; è conformazione a qualcosa di più grande. [...] È una relazione con una Persona ciò che ci definisce”. Perché solo questa consapevolezza può portarci ad affermare con convinzione “Fa’ che non prevalga in noi il nostro sentimento ma la potenza del tuo sacramento”, frase che altro non è che la ricetta per la felicità: svincolarsi dai propri schemi, uscire dai ‘programmini’ su come dovrebbe essere la nostra vita e su come dovrebbero comportarsi gli altri con noi, abbandonare ogni giudizio e ogni pretesa e convincersi una volta per tutti che c’è Qualcuno che si prende cura di noi, che ci sta costruendo – con una fantasia infinitamente superiore alla nostra – una strada nel mondo, seppur con tempi e modi che spesso facciamo fatica a comprendere e ai quali ci opponiamo in maniera testarda, cadendo nella tristezza.
“Affidarsi a Dio e rinunciare a sé è la meta”, afferma giustamente Costanza Miriano. Solo questa è l’obbedienza che ha senso perseguire. Non l’obbedienza al mondo, con tutte le sue idee politically correct e le sue mode passeggere, ma l’obbedienza alla propria vocazione perché “noi diventiamo nevrotici quando, per non deludere le attese di nessuno, dimentichiamo Dio”.
La vita non è facile, tutti siamo chiamati a portare una croce, piccola o grande che sia. Croce che però si può anche portare “con allegrezza”, se si sceglie di abbandonarsi veramente. “[...] la spiritualità che piace a Dio è stare nel conflitto, stare in mezzo alle fiamme, al traffico, ai figli, al lavoro senza arrabbiarci. Non è facilissimo, non è esattamente quello che chiediamo di solito nelle nostra preghiere, perché non vorremmo tanto, se possibile, perdere noi stessi, e allora preghiamo: ‘Signore, cambiami, ma in comode rate mensili’. Questa nostra vita con le bollette, il caldo, le zanzare, non è sbagliata, è il luogo in cui Dio ci trasforma a sua immagine e somiglianza. Siamo adulti quando capiamo che dobbiamo avere a che fare con la realtà che non è mai levigata ma sempre scabra. [...] La sostanza della santità è la docilità, vivere secondo la carne è voler controllare tutto. Farsi tritare, svuotarsi, questo è il cristianesimo, ed è per tutti”.
Il segreto della vita, la ricetta della felicità, è racchiuso nel “Fiat” con il quale è cominciato tutto, in quell’abbandono totale e colmo di fiducia. E questo con tutti gli alti e i bassi del caso, con le persone che ci vogliono bene a tirarci per i capelli per risollevarci quando cadiamo, con la nostra reticenza a perdere il controllo, con la Messa e i sacramenti ad aiutarci… tutto per convertici e vivere in pienezza!
Giulia Tanel
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