martedì 22 luglio 2014

Per fare un vescovo



A colloquio con il cardinale Ouellet. 

(Nicola Gori) Uomo di preghiera, di annuncio, di testimonianza. Ma soprattutto «pastore con l’odore delle pecore, cioè vicino alla gente». È questa la figura del vescovo che emerge dall’insegnamento di Papa Francesco, il quale — sottolinea in questa intervista al nostro giornale il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi — non ha «la pretesa di dire cose nuove» ma ha «il dono di mettere in luce con maggior forza quegli aspetti irrinunciabili» che costituiscono il cuore della missione episcopale.
È possibile tracciare un identikit del vescovo secondo le indicazioni di Papa Francesco?
Credo proprio di sì. Ai rappresentanti pontifici convocati a Roma l’anno scorso, il Pontefice ha detto che non ha la pretesa di dire cose nuove. Ha però il dono di mettere in luce con maggior forza quegli aspetti irrinunciabili che, nel nostro caso, costituiscono l’identità del vescovo. Incontrando la Congregazione per i vescovi, nel febbraio scorso, ha specificato alcuni tratti della figura dei vescovi quali testimoni di Cristo, uomini di preghiera e pastori. Spesso Papa Francesco fa uso di immagini che colpiscono e veicolano con immediatezza il suo pensiero.
Quali in particolare?
Per esempio, ha detto che il vescovo deve essere un pastore con l’odore delle pecore, cioè vicino alla gente. Questo è il primo criterio indicato dal Papa per la scelta dei candidati all’episcopato. Inoltre, che non abbia una psicologia da “principe”, ma sia padre e fratello, mite, misericordioso e, soprattutto, paziente. Un altro lineamento identitario è che il vescovo viva da sposo di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra, così da spendersi senza calcoli umani per il popolo che gli è affidato. Si tratta di realizzare il dettame conciliare «dell’assidua e quotidiana cura del gregge», come si legge al numero 27 della Lumen gentium. Assiduità e quotidianità sono le condizioni per svolgere al meglio il ministero pastorale. Sotto questo profilo, il Papa ha ripreso più volte il valore della residenza, richiesta ai vescovi fin dal concilio di Trento. Stabilità, dunque. Ma anche una certa mobilità di azione. I vescovi, infatti, ha ribadito il Pontefice, «sappiano essere davanti al gregge per indicare la strada, in mezzo al gregge per mantenerlo unito, dietro al gregge per evitare che qualcuno rimanga indietro e perché lo stesso gregge ha, per così dire, il fiuto nel trovare la strada. Il pastore deve muoversi così!». È questo lo stile richiesto per poter fare bene la veglia. Ecco la vigilanza: un altro aspetto richiamato dal Papa. In altre parole, il vescovo deve aiutare le persone a scorgere la presenza di Dio nelle concrete circostanze della loro storia e della vita del mondo, senza cedere però alla mondanità spirituale. Anzi, dando per primo esempio di vigilanza su se stesso.
Qual è il volto della Chiesa che Papa Francesco sta cercando di modellare anche attraverso le nomine episcopali?
Pochi giorni dopo la sua elezione il Pontefice ha detto: «Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!». È questa una provocazione per tutti i cristiani. Pastori e fedeli sono chiamati ad appoggiarsi non alla ricchezza dei mezzi e delle risorse che possiedono, anche se utili, ma innanzitutto al potere della grazia del Signore Gesù, il povero per eccellenza, che è venuto per annunciare ai poveri la buona novella. La missione della Chiesa è quella di Cristo. Spesso Papa Francesco parla di Chiesa in uscita. È evidente che egli sta spingendo la Chiesa ad andare verso ogni realtà allo scopo di portare Cristo all’uomo e l’uomo a Cristo, prediligendo i poveri segnati non solo da indigenza materiale, ma anche morale e spirituale. Una Chiesa, dunque, non ripiegata su se stessa, ma trasparente di Cristo salvatore del mondo. In questo senso vanno anche le nomine dei vescovi.
Quali sono i criteri fondamentali delle scelte?
Si tratta di dare alle diocesi pastori che valorizzino e promuovano una pastorale che raggiunga il vissuto della gente. Dovranno anche unire o razionalizzare le forze, non però per rinchiudersi e lamentarsi di quello che non va, ma per imprimere un rinnovato slancio apostolico alle comunità ecclesiali. Pastori dunque per Chiese locali «capaci di riscaldare il cuore». Parlando ai vescovi brasiliani in occasione della scorsa gmg, Papa Francesco ha detto: «Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme. Di riaccompagnare a casa, dove abitano le nostre sorgenti: Scrittura, catechesi, sacramenti, comunità, amicizia del Signore, Maria e gli apostoli...». Si tratta dunque di pastori che, con l’aiuto di Dio, sono chiamati a imprimere la dinamica missionaria dell’uscire, non per disciogliersi nel mondo o per turismo religioso fine a se stesso, ma per ricondurre gli uomini alla Chiesa, «alla grande famiglia, nella quale si viene accolti e si impara a vivere da credenti e da discepoli del Signore Gesù», come ha detto ancora Papa Francesco nell’udienza generale del 25 giugno scorso.
Questo senso di «famiglia» richiama i vescovi alla comunione tra loro e alla sollecitudine verso la Chiesa universale. È presente questa dimensione?
Un segno evidente di questa comunione è il Sinodo dei vescovi, al quale Papa Francesco ha voluto imprimere un nuovo slancio, incoraggiando una metodologia più partecipativa. Un altro segno forte è stato l’istituzione del Consiglio di cardinali, il cosiddetto c9. Si tratta di cardinali, provenienti dalle diverse parti del mondo, che il Papa ha scelto per consultarli sulle principali questioni del governo della Chiesa universale e per studiare la riforma della Curia romana. Queste due istituzioni sono spazi aperti dal Pontefice per avvalersi in maggior misura del contributo dei vescovi nell’esercizio del suo ministero. Il senso di comunione si esprime anche attraverso altre forme, con le quali i vescovi si adoperano per i bisogni delle altre Chiese particolari. A questo riguardo, il concilio Vaticano II ha sottolineato questa solidarietà tra le Chiese quale segno e consolidamento della comunione esistente tra di esse. L'esempio è dato oggi dall’aiuto che le Chiese dell’occidente fanno arrivare alle Chiese più povere. Un altro segno di solidarietà è l’invio di sacerdoti missionari fidei donum. Per molto tempo questo movimento è stato compiuto dalle Chiese di Europa verso le Chiese dell’Africa e dell’America latina. Oggi, invece, il movimento è dall’Africa o dall’America latina verso le Chiese di antica esperienza. La sollecitudine e la comunione è favorita, inoltre, dal funzionamento delle conferenze episcopali nazionali e regionali; oppure dalla collaborazione tra diocesi vicine o di una stessa provincia ecclesiastica che si mettono insieme per offrire servizi e soluzioni di comune interesse. Un’altra forma con cui si esprime la comunione tra il Papa e i vescovi è la tradizionale visita ad limina nella quale, incontrando il Pontefice all’incirca ogni cinque anni, i vescovi lo informano sullo stato delle loro Chiese particolari e da lui vengono confermati nella fede. Nella stessa visita i vescovi incontrano i superiori dei dicasteri della Curia romana per uno scambio reciproco riguardante le singole diocesi e la Chiesa universale.
Si sta lavorando alla revisione del documento «Mutuae relationes» sul rapporto tra vescovi e religiosi. Quali aspetti hanno più bisogno di aggiornamento?
Il documento Mutuae relationes richiede oggi una revisione che esige un approfondimento teologico sui carismi. Si tratta di dare una giusta collocazione ecclesiologica ai carismi, secondo quanto afferma laLumen gentium al numero 4. Il concilio Vaticano II ha affermato che lo Spirito Santo guida la Chiesa e la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici. Pertanto, gli aspetti gerarchico e carismatico non vanno considerati come due entità contrapposte, ma come doni complementari indispensabili per la missione della Chiesa. Sotto questo profilo, va compreso il dono irrinunciabile della vita consacrata. Un dono che, nella sua varietà di espressione, deve trovare adeguata manifestazione sul terreno concreto della vita ecclesiale attraverso la collaborazione, la solidarietà, l’unità col ministero gerarchico. E, d’altra parte, la vita consacrata deve essere valorizzata e promossa dalla gerarchia ecclesiastica, a cominciare dai vescovi.
Quali progetti ha la Congregazione per il prossimo futuro?
Oltre alla revisione del documento Mutuae relationis, un altro progetto, che si situa nel contesto di rinnovamento spirituale più volte richiamato dal Papa, è quello di promuovere gli esercizi spirituali ignaziani per i vescovi, allo scopo di perfezionare il discernimento pastorale e spirituale dei pastori. Sono convinto, comunque, che la priorità per il prossimo futuro, per quanto concerne la Congregazione per i vescovi, resta quella di svolgere al meglio il lavoro richiesto, che consiste nel discernimento e nell’accompagnamento del ministero dei vescovi.
L'Osservatore Romano