domenica 20 luglio 2014

Il senso del viaggio

Alighiero Boetti, Mappa 1989–94, ricamo su tessuto, 100 x 231 cm, Collezione Giordano Boetti, Roma.
Avvenire, 20 luglio 2014
di ENZO BIANCHI

Con il viaggio e il viaggiare ho sempre avuto uno strano rapporto: ricordo ancora l’angoscia insopprimibile che mi prese in treno, appena varcata la frontiera di Ventimiglia mentre, dodicenne, mi accingevo a vivere assieme ai miei compagni di scuola la prima esperienza “fuori casa”. Prima di allora la mia unica sortita dall’anfiteatro di colline che accoglie in un unico abbraccio Castelboglione, dove sono nato e cresciuto, e Nizza Monferrato dove andavo a scuola, era stato il viaggio fino al seminario minore di Acqui, dal quale scappai – letteralmente – dopo soli cinque giorni.
Poco più tardi ci sarebbe stato l’indimenticabile pellegrinaggio in treno a Roma, con i ragazzi vincitori del premio Veritas provenienti da tutte le diocesi e accompagnati a un incontro con papa Pio XII. Nient’altro. Sarà solo con gli anni universitari a Torino che il mio approccio al viaggio muterà profondamente, legandosi a due dimensioni non sempre complementari ma entrambe affascinanti: da un lato il muoversi in tutta Europa e il bacino del Mediterraneo con gli amici per conoscere nuovi orizzonti e, d’altro lato, la ricerca di un senso alla mia vita, visitando monasteri, cattedrali e luoghi significativi per la maturazione della mia fede.
Con il passare degli anni, ai viaggi più o meno avventurosi – come quello in auto attraverso la Jugoslavia e l’Albania alla fine degli anni sessanta per recarmi dal patriarca Athenagoras a Costantinopoli, oppure quello oltrecortina sulla mia Fiat Cinquecento fino a Praga “a prendere un caffè” – si sono aggiunti quelli legati al mio ministero di predicazione della Parola, dall’Africa all’Estremo Oriente: lunghe ore di volo, comunque sempre insufficienti per prepararsi a sbalzi culturali enormi, panorami di cieli e terre inediti, volti, pensieri e parole che aprono nuovi mondi interiori... Ora, nella vecchiaia sta stranamente scemando il desiderio nutrito negli ultimi decenni di sostare a lungo in un luogo tranquillo e riaffiora l’attrazione a riprendere un cammino più itinerante, per città e villaggi, chiese e monasteri, mostre e musei...
Ma credo che nonostante queste diverse stagioni della vita, il senso del viaggio non muti. E quando dico “senso” lo intendo nella sua duplice accezione di “direzione” e di “significato”. Sì, perché ogni viaggio, anche quello solo immaginato, ha un tragitto, un “verso dove” e una ragione, una motivazione. Proprio per questo ritengo sia impossibile parlare di “viaggio” senza che il pensiero vada a a un viaggio “altro”, quello interiore. Un viaggio che può aver luogo, anche simultaneamente, lungo le strade del mondo e nei meandri della coscienza: “lo spirito del paesaggio e il mio spirito si sono concentrati e, per questo, trasformati in modo che il paesaggio è proprio dentro di me”, diceva il pittore cinese Shi Tao.
Sì, sovente un viaggio aiuta l’altro, quello esteriore offre spunti a quello interiore e quest’ultimo fornisce le motivazioni al primo e ne anima il percorso: i pellegrinaggi non nascono forse da un desiderio dello spirito? Ciascuno infatti ha in sé un “continente interno”, che non finirà mai di esplorare e che nessun altro potrà esplorare al suo posto, ma a delimitare i contorni di questo continente, a modularne suoni e colori, ad arricchirne flora e fauna hanno contribuito i “continenti esterni”, quell’alterità di luoghi e di volti sovente sperimentata nel viaggiare alla ricerca di un altrove.
Ma per capire in profondità il senso di ogni nostro viaggio è indispensabile soffermarsi sul suo inizio, che non è la partenza, bensì una fase molto precedente: il momento in cui l’abbiamo pensato e poi iniziato a prepararlo e a prepararci. In altri termini, il viaggio inizia con il chiedersi perché intraprenderlo e perché proprio quello. Sarà questa motivazione a determinare la scelta della meta e a fissare il momento della partenza: “quando l’uomo non sa verso quale approdo naviga – diceva Seneca – nessun vento gli è favorevole” e quindi non può salpare. E anche un apparente vagare senza meta, come il nomadismo, possiede in realtà un fine: si cerca non un luogo preciso ma un posto qualsiasi in cui trovare una realtà precisa, il pascolo oppure la sorgente.
Diversi possono essere i motivi che ci spingono al viaggio: il dolore che la situazione in cui ci si trova suscita in noi, il desiderio di novità che ridà dinamica alla nostra vita, la voce di qualcosa o qualcuno che ci chiama, la curiosità di scoprire se le nostre radici hanno diramazioni insospettate. Il viaggio interiore non nasce da motivi diversi: l’insostenibilità di una vita della quale si è smarrito il senso, l’intuizione di essere abitati da dinamiche assopite, il richiamo di una voce amica o la scoperta che una voce fino ad allora indistinta si è fatta chiara, la percezione di attingere linfa vitale da un humus sconosciuto.
Allora è in base a queste motivazioni che decidiamo il bagaglio e l’abbigliamento adatti: per sceglierli infatti dobbiamo conoscere noi stessi, le nostre esigenze e le realtà ambientali cui andremo incontro. Scegliere significa escludere, distinguere dall’essenziale ciò che indispensabile non è: operazione non facile, perché in viaggio può rivelarsi pericoloso se non letale dimenticare qualcosa di vitale oppure caricarsi di pesi inutili. Non dimentichiamo che i discepoli inviati in missione da Gesù non dovevano prendere con sé né borsa (per il denaro), né bisaccia (per il cibo), ma solo la pace e il suo annuncio.
Incamminarsi verso il profondo obbliga allora a un discernimento previo di ciò che ci fa muovere e vivere, costringe alla rinuncia a quanto, magari buono in sé, finirebbe per ostacolare il cammino, invita a una purificazione della memoria, a chiedersi cosa portare con sé del proprio passato. Che siano la sua dimensione interiore e questi preparativi il “senso” che fornisce al viaggio la direzione e il suo significato?