martedì 15 ottobre 2013

Papa Francesco e la "questione antropologica"


Esiste una discontinuità con il magistero di Benedetto XVI e Giovanni Paolo II?

Tra i primi commentatori all’intervista a Papa Francesco pubblicata su La Civiltà Cattolica, non sono mancati quanti hanno letto le sue parole come il segnale di una significativa discontinuità nel modo con il quale l’attuale Pontefice sembra misurarsi con il complesso dei problemi che - di solito - vengono raccolti sotto il titolo di «questione antropologica». Sembrerebbe, infatti, di trovarsi di fronte ad un certo congedo da una speciale attenzione data alla difesa e promozione dei cosiddetti «valori non negoziabili», centrale negli interventi sia di Giovanni Paolo II che di Benedetto XVI.
Una simile chiave di lettura appare perlomeno affrettata, se non addirittura veicolo di un approccio agli interventi papali non scevro da qualche pregiudizio.
La cronaca recente di diversi dibattiti storico-teologici a proposito del cammino della chiesa contemporanea sta a dimostrare con chiarezza quanto il registro continuità-discontinuità sia molto difficile da maneggiare, sempre esposto a produrre semplificazioni e riduzioni dannose per una positiva comprensione di molti eventi centrali nella vita ecclesiale del nostro tempo,in primis il Vaticano II.
Se ci si volge a considerare i diversi Papi succedutisi a partire dagli anni ‘50 del secolo scorso, è lampante l’accento di novità e di originalità che ciascuno di essi ha espresso nell’esercizio del ministero petrino, senza che tale fatto possa in alcun modo giustificare incongrue opposizione tra l’uno e l’altro.
Basterebbe riandare alla modalità con la quale Paolo VI ha valorizzato e abbracciato il cuore del magistero di Giovanni XXIII e come Giovanni Paolo II espresse in maniera non formale il suo debito al Papa che portò a termine l’impresa del Concilio.
Allo stesso tempo la figura ecclesiale di tutti e tre questi pontefici emerge dotata di una peculiare singolarità: se la si esamina usando il registro della “discontinuità” non solo la si stravolge, ma se ne impedisce una fruttuosa recezione nel tessuto della vita della comunità cristiana.
Per questa ragione risulta metodologicamente un poco stucchevole il gioco del paragone tra Benedetto XVI e l’attuale Pontefice: registrare delle differenze è banale, leggerle in chiave di opposizione svela qualche pregiudizio di troppo.
Volendo entrare nel merito della «questione antropologica», si può ricordare che nel tradizionale discorso alla Curia romana per gli auguri natalizi del 2012, Benedetto XVI ha sviluppato un’ampia riflessione sul tema della famiglia e delle problematiche legate alla messa in discussione dell’oggettività della distinzione sessuale, sullo sfondo delle teorie delgender.
Particolarmente illuminanti sono le parole con le quali si articola sinteticamente il giudizio della fede su tali problematiche: «Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo».
Lo squisito orizzonte rivelato, che il Papa aveva evocato in precedenza richiamando la narrazione biblica della creazione della coppia originaria, viene ribadito con forza come fondamentale chiave di lettura di una corretta antropologia  dell’uomo e della donna fino a concludere che è impossibile cogliere adeguatamente la dignità dell’esistenza umana al di fuori di un chiaro orizzonte teologico.
Nella stessa occasione Benedetto XVI ha ritenuto opportuno porre l’accento sulla centralità dei ben noti “valori fondamentali, costitutivi e non negoziabili dell’esistenza umana ”.
È interessante osservare il contesto prossimo nel quale questo richiamo è collocato: si tratta del “dialogo con lo Stato e la società”. Si può agevolmente comprendere che tali valori non possono essere intesi come esaurienti dell’annuncio cristiano sulla vita dell’uomo, ma esprimono alcuni tratti forti dell’antropologia cristiana, per quella parte che essa può essere accolta e fatta propria da una cultura che si ponga in dialogo aperto e non pregiudiziale con l’esperienza della fede, sostenuto da un intelligente razionalità.
Se comprendiamo bene il senso di questo intervento pontificio, risultano piuttosto incomprensibili le riserve elevate nei confronti di Papa Francesco, quando ha ritenuto necessario precisare che: «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione».
Si tratta infatti, senza nulla togliere al valore di questo ambito del dirsi pubblico della Chiesa nel mondo, di evitare che si possa – anche inconsapevolmente – ridurre il contenuto dell’annuncio e della testimonianza cristiana all’uomo ai suddetti “valori non negoziabili”: ciò non conduce di certo a  negare la loro importanza e il loro obiettivo valore sociale, culturale e politico.
Pare alquanto pretestuoso volere vedere in queste parole dell’attuale Pontefice una presa di distanza dai suoi Predecessori; semmai esse interagiscono dialetticamente con quei ambienti culturali che hanno corso il pericolo di ridurre il magistero pontificio degli ultimi decenni ad istanze dal rinnovato sapore intransigente, più facilmente spendibili in taluni dibattiti culturali e politici, soprattutto in ambiente anglosassone.
Una lettura più pacata dell’intervista di Papa Francesco può, invece, aiutare a cogliere quanto sia ancora necessario assumere senza riserve la prospettiva pastorale tipica del magistero del Vaticano II. I Padri conciliari hanno trasmesso alla vita della Chiesa che la sfida di un rinnovato incontro con il mondo contemporaneo sollecita a collocarsi in un orizzonte irriducibile sia al momento istituzionale del corpo ecclesiale sia ad un più convincente edificio teologico.
Il Concilio, infatti scelse un atteggiamento di dialogo e valorizzazione della vicenda umana della contemporaneità, nella convinzione che ciò fosse necessaria ad una rigenerazione della vita e della missione della chiesa, scorgendovi uno specifico appello dello Spirito. La lettura della realtà e della storia si accompagnava  alla decisione di esprimersi in un linguaggio ed uno stile positivo e propositivo, capace di fare rinascere un interesse e un fascino per l’annuncio cristiano. La Chiesa è dunque invitata a prendere posizione di fronte alla storia e al suo presente, riconoscendo in questo la forma con la quale Dio la chiama ad essere fedele alla sua identità apostolica.
L’orizzonte evocato dalle parole di Papa Francesco approfondisce e rilancia questa indicazione di cammino, con un accento di novità che deve essere custodito con speciale attenzione.
È ben noto che le fatiche vissute dalla Chiesa post-conciliare sono state in varia misura addebitate proprio a quell’atteggiamento di apertura dialogica che ha contraddistinto la stagione del Vaticano II. Talvolta si è auspicata una certa presa di distanza da quella sensibilità, affinché, così procedendo, la comunità ecclesiale possa ritrovare le ragioni e le capacità per un efficace superamento degli elementi di crisi che ne segnano la vita.
Nello stesso tempo non si può dimenticare che il mondo contemporaneo in questi cinquantanni è profondamente mutato. Nella sua complessità, spesso tragica, esso non sembra avere recepito la volontà dialogica dei cristiani, anzi pare muoversi in direzioni che accentuano il suo profilo di distanza, quando non di esplicita conflittualità con il sentire cristiano. Non mancano accenti di aperta ostilità e, soprattutto, di intolleranza ogni qual volta la Chiesa si ponga fuori dai confini di uno stucchevole politically correct e non abbia paura di ricordare la singolare pretesa salvifica del Suo Signore.
Che in questa temperie storica il Papa rilanci le comunità cristiane in un incontro a tutto campo con l’umano, in un impeto di testimonianza e condivisione del dramma dell’esistenza di ogni fratello, non solo esprime un’intensa immedesimazione all’eredità più preziosa del Vaticano II: ancora di più si manifesta quasi un nuovo “inizio”, messo in campo in circostanze certamente più complesse e drammatiche, ma insieme dense di provocazione per la vocazione e la missione di ogni cristiano. 
Don Gilfredo Marengo, docente stabile di Antropologia teologica presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su Matrimonio e Famiglia – Roma.

*


La famiglia  nel cuore della Chiesa
La famiglia e le tante sfide che ha di fronte. Dal come annunciare, oggi, «la bellezza del Vangelo della famiglia», alle problematiche «delle cosiddette "famiglie ferite"», che interrogano la Chiesa sul fronte pastorale, così come il diffondersi di nuove forme di unione. Un complesso di questioni «che il Santo Padre intende affrontare veramente in spirito sinodale, collegiale, con la collaborazione di tutti gli episcopati del mondo». Ed è questo, alla fine «il grande messaggio che viene dall’indizione di questo Sinodo speciale sulla famiglia, e di quello Ordinario che seguirà nel 2015: in una continuità tematica in cui il primo costituisce il momento della raccolta dello status quaestionis, delle proposte delle indicazioni, per portare già comunque un messaggio di vita e di speranza, e il secondo l’ulteriore maturazione, che consentirà di offrire al Santo Padre anche elementi dai quali egli trarrà poi le proposte e gli orientamenti per la vita di tutta la Chiesa».

Monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, è stato nominato ieri dal Papa segretario speciale della prossima Assemblea straordinaria in programma il prossimo anno su “Le sfide della famiglia nel contesto della evangelizzazione”, il cui relatore generale, anch’egli nominato ieri, sarà il cardinale Péter Erdö, arcivescovo di Esztergom-Budapest (Ungheria) e presidente del Ccee. E in questa intervista anticipa la novità del percorso in due tappe" voluto da Francesco, a rimarcare «la centralità del tema la famiglia nel contesto della evangelizzazione».

Quali sono le più urgenti di queste sfide?
Mi sembra importante distinguere: intanto ci sono le sfide positive, e cioè come annunciare la bellezza del Vangelo della famiglia e come aiutare concretamente le famiglie già formate e quelle in via di formazione a realizzare questo progetto di bellezza e di amore che viene da Dio. In secondo luogo ci sono le sfide connesse alle cosiddette famiglie ferite, ai separati, ai divorziati, ai divorziati risposati, e dunque come annunciare a queste persone la misericordia di Dio, il suo amore, come farle sentire parte viva e non marginale della Chiesa. E poi naturalmente il complesso di questioni che la società attuale, nel villaggio globale, propone alla realtà familiare, dalla riflessione sulle famiglie di fatto, che vanno sempre più diffondendosi, a quella a quella sulle unioni di persone dello stesso sesso, che naturalmente costituiscono un interrogativo e chiedono un’attenzione anche pastorale alla Chiesa.

Perché la scelta di due momenti?
Il tema è così delicato, così importante, e coinvolge talmente tanto il vissuto personale delle Chiese, che il Santo Padre ha deciso che l’itinerario sinodale si svolga in due tappe. Questa prima, il Sinodo straordinario, che vuol essere di ascolto della realtà di base di tutte le Chiese della comunione cattolica per individuare sfide, problemi, interrogativi, proposte; un momento molto importante proprio in ordine a quell’esercizio della collegialità a cui tanto Papa Francesco tiene e nel quale profondamente crede, qualcosa di cui credo tutti dobbiamo essergli grati. Tuttavia questo è soltanto un primo momento, perché di fronte a sfide così ampie non è possibile che tutto si risolva in un incontro di quindici giorni, pur accuratamente preparato. Occorre una maturazione ulteriore.

Di qui il Sinodo Ordinario del 2015?
Sì, un secondo momento nel quale, con la celebrazione dell’Assemblea ordinaria del Sinodo sarà possibile anche meglio definire le proposte da fornire al Santo Padre e dalle quali egli poi sceglierà di dare gli orientamenti che riterrà più opportuni e necessari per la Chiesa.

Salvatore Mazza (Avvenire)

*

“la Repubblica” - Rassegna "Fine settimana"
(Ian Buruma) Papa Francesco è apparso dagli stantii ambienti della Chiesa cattolica come una ventata d’aria fresca. Si presenta e si comporta come un normale essere umano: indossa scarpe al posto delle pantofole di velluto rosso, dimostra buon gusto in fatto di libri (...)