venerdì 18 ottobre 2013

Un martire in tipografia





A Budapest il cardinale prefetto della Congregazione delle cause dei santi beatifica il coadiutore salesiano Stefano Sándor (1914-1953). 

(Pierluigi Cameroni, Postulatore generale della società salesiana di san Giovanni Bosco) 
Educatore dei giovani, in particolare degli apprendisti e dei lavoratori, animatore dell’oratorio e dei gruppi giovanili, annunciò il Vangelo attraverso la pedagogia della bontà. È Stefano Sándor (1914-1953), martire della fede, salesiano coadiutore, che offrì la sua vita per la salvezza dei giovani ungheresi. Sarà beatificato, sabato 19 ottobre, a Budapest. Il rito, in rappresentanza di Papa Francesco, sarà presieduto dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Stefano Sándor nacque a Szolnok, in Ungheria, il 26 ottobre 1914 da Stefano e Maria Fekete, primo di tre fratelli. Il padre era impiegato presso le ferrovie dello Stato, e la madre era casalinga. Entrambi trasmisero ai figli una profonda religiosità. Stefano studiò nella sua città ottenendo il diploma di tecnico metallurgico. Fin da ragazzo veniva stimato dai compagni, era allegro, serio e gentile. Aiutava i fratellini a studiare e a pregare, dando per primo l’esempio. Fece con fervore la cresima impegnandosi a imitare il suo santo protettore e san Pietro. Serviva ogni giorno la messa dai francescani ricevendo l’Eucaristia.
Leggendo il «Bollettino salesiano» conobbe don Bosco. Si sentì subito attratto dal suo carisma. Si confrontò col suo direttore spirituale, esprimendogli il desiderio di entrare nella congregazione salesiana. Ne parlò anche ai genitori. Essi gli negarono il consenso, e cercarono di dissuaderlo. Ma Stefano riuscì a convincerli, e nel 1936 fu accettato al Clarisseum, dove in due anni fece l’aspirantato. Frequentò nella tipografia Don Bosco i corsi di tecnico-stampatore. Iniziò il noviziato, ma dovette interromperlo per la chiamata a prestare il servizio militare.
Nel 1939 si congedò e, dopo l’anno di noviziato, emise la prima professione l’8 settembre 1940 come salesiano coadiutore. Destinato al Clarisseum, insegnò ai corsi professionali. Ebbe anche l’incarico dell’assistenza all’oratorio, che condusse con entusiasmo e competenza. Fu il promotore della Gioventù operaia cattolica. Il suo gruppo fu riconosciuto come il migliore del movimento. Sull’esempio di don Bosco, fu un educatore modello. Nel 1942 fu richiamato al fronte e guadagnò una medaglia d’argento al valore militare. La trincea era per lui un oratorio festivo che animava salesianamente, rincuorando i compagni di leva. Alla fine della Seconda guerra mondiale si impegnò nella ricostruzione materiale e morale della società, dedicandosi in particolare ai giovani più poveri, che radunava insegnando loro un mestiere. Il 24 luglio 1946 emise la professione perpetua come salesiano coadiutore. Nel 1948 conseguì il titolo di maestro-stampatore. Alla fine degli studi gli allievi di Stefano venivano assunti nelle migliori tipografie della capitale e dello Stato.
Quando l’Ungheria nel 1949, sotto Mátyás Rákosi, incamerò i beni ecclesiastici, dando inizio alle persecuzioni nei confronti delle scuole cattoliche, che dovettero chiudere, Sándor cercò di salvare almeno le macchine tipografiche. Ma lo stalinismo di Rákosi continuò ad accanirsi: i religiosi vennero dispersi. Senza più casa, lavoro, comunità, molti si ridussero allo stato di clandestini. Travestiti e sotto falsi nomi, si adattarono a fare di tutto: spazzini, contadini, manovali, facchini, servitori. Anche Stefano dovette “sparire”, lasciando la tipografia. Invece di rifugiarsi all’estero rimase in patria per salvare la gioventù ungherese. Colto sul fatto mentre stava cercando di salvare delle macchine tipografiche, dovette fuggire e rimanere nascosto per alcuni mesi, poi, sotto altro nome, riuscì a farsi assumere in una fabbrica di detergenti della capitale, ma continuò clandestinamente il suo apostolato, pur sapendo che era un’attività rigorosamente proibita. Nel luglio 1952 fu catturato sul posto di lavoro e non fu più rivisto dai confratelli. Un documento ufficiale ne certifica il processo e la condanna a morte eseguita per impiccagione l’8 giugno 1953.
In un messaggio indirizzato alla famiglia salesiana, il rettor maggiore don Pascual Chávez Villanueva ricorda come Stefano Sándor dalla nascita fino alla morte sia stato un uomo profondamente religioso, e come in tutte le circostanze della vita abbia risposto con dignità e coerenza alle esigenze della sua vocazione salesiana. Desideroso, fin dalla prima giovinezza, di consacrarsi al servizio di Dio e dei fratelli nel generoso compito dell’educazione dei giovani secondo lo spirito di don Bosco, fu capace di coltivare uno spirito di fortezza e di fedeltà a Dio e ai fratelli che lo misero in grado, nelle difficoltà, di resistere, prima alle situazioni di conflitto, e poi alla prova suprema del dono della vita.
Stefano Sándor ha compiuto un reale e profondo cammino di fede, iniziato fin dall’infanzia e giovinezza, irrobustito dalla professione religiosa salesiana e consolidato nell’esemplare vita di coadiutore. Si nota in particolare una genuina vocazione consacrata, animata secondo lo spirito di don Bosco da un intenso e fervoroso zelo per la salvezza delle anime, soprattutto giovanili. Anche i periodi più difficili, quali il servizio militare e l’esperienza della guerra, non scalfirono l’integro comportamento morale e religioso del giovane coadiutore. È su tale base che Stefano Sándor subì il martirio senza ripensamenti o esitazioni.
La beatificazione di Stefano Sándor impegna tutta la congregazione salesiana nella promozione della vocazione del coadiutore, accogliendone la testimonianza esemplare. Come salesiano laico, riuscì a dare buon esempio anche ai preti. È un modello per i giovani consacrati, per il modo in cui affrontò le prove e le persecuzioni senza accettare compromessi. Le cause a cui si dedicò, la santificazione del lavoro cristiano, l’amore per la casa di Dio e l’educazione della gioventù, sono tuttora missione fondamentale della Chiesa.
L'Osservatore Romano