giovedì 9 gennaio 2014

IL “FUMO DI SATANA” RISCHIA DI TORNARE NEL TEMPIO DI DIO


Il gesuita Antonio Spadaro è intervenuto sul “Corriere della sera” per spiegare che “il Papa non ha ‘aperto alle coppie gay’ come hanno titolato alcune agenzie. Il Papa non sta legittimando proprio nulla: nessuna legge, nessun comportamento che non corrisponda alla dottrina della Chiesa”.
Parole finalmente chiare. Infatti è Gesù stesso nel Vangelo a insegnare ai suoi apostoli a dire sì, se una cosa è sì, e no se è no: “il resto viene dal Maligno” (Mt 5,37).
Però se servono di continuo precisazioni e smentite vuol dire che i sì e i no sono vaghi e qualcosa deve essere messo a punto. Anche perché in tanti tirano la tonaca al nostro caro papa Francesco (Scalfari per esempio) e troppi ne travisano il messaggio.
Spadaro – fatta la salutare smentita – ha provato a dare la sua interpretazione del magistero del papa per scongiurare altri fraintendimenti. C’è riuscito? No. Ecco perché.

DOTTRINA SPADARO

Ha detto che l’urgenza del momento è “la sfida educativa”. Una storia vecchia. Poi ha indicato un preciso target che dovrebbe essere al centro delle cure della Chiesa: “i figli di genitori divorziati  e i figli si trovano a vivere avendo come riferimento domestico due persone dello stesso sesso”.
Il primo caso in effetti riguarda tanti ragazzi. Il secondo caso è statisticamente minimo e solo una certa subalternità culturale alle mode del momento può considerarla un’urgenza. Sarebbe più sensato dire che la Chiesa deve avere cura speciale di tutti i giovani. Tutti.
Ma, secondo Spadaro, la Chiesa – con quei due tipi di giovani – sarebbe davanti a una sfida inedita e dovrebbe elaborare una nuove strategie pastorali.
A me pare superficiale presentare come una novità assoluta l’esistenza di nuclei familiari non tradizionali: c’erano già nei primi tempi cristiani, sotto l’Impero romano e fra i popoli barbari, così come nelle terre di missione, nel corso dei secoli fino ad oggi (dove da sempre vige pure la poligamia).
Perfino i matrimoni fra persone dello stesso sesso c’erano già 2000 anni fa, per l’élite imperiale. Nerone fece due matrimoni pubblici con uomini, una volta nella parte della moglie e una volta in quella del marito (secondo Svetonio prese come moglie lo schiavo Sporo dopo averlo fatto evirare). Anche l’imperatore Eliogabalo, secondo la Historia Augusta, sposò un uomo facendo la moglie.
Di fronte ai costumi antichi non risulta che gli apostoli abbiano escogitato strategie pastorali per ogni caso, né che si siano chiesti “chi sono io per giudicare?”.
Anzi, Paolo usò parole durissime e mise in guardia i cristiani dal conformismo delle mode e dalla cultura mondana. Lui voleva sapere una sola cosa: “Cristo crocifisso”. Che era considerato “una stoltezza” dal mondo pagano.
Era disprezzato già agli inizi, non solo oggi come crede Spadaro. Ma ciò non indusse gli apostoli e san Paolo mettere la sordina ai “princìpi” come sembra suggerire Spadaro. Infatti proprio con quella “stoltezza” i cristiani conquistarono il mondo al Vangelo.
Erano cristiani con una fede certa. Che forse a Spadaro non andrebbero bene visto che ha parole sprezzanti per la “piccola ed eletta schiera di ‘puri’ ” cioè i cattolici fedeli.
Vogliamo una Chiesa dove quelli più fedeli sono estromessi e perseguitati, dove la Madonna è coperta di sarcasmi perché a Medjugorje “parla troppo”, mentre i vecchi arnesi del cattoprogressismo moderinista la fanno da padroni e da inquisitori?
Spadaro fa poi un’altra osservazione: “Anni fa, parlando agli educatori, Bergoglio aveva scritto che le scuole cattoliche ‘non devono in alcun modo aspirare alla formazione di un esercito egemonico di cristiani che conosceranno tutte le risposte, bensì devono essere il luogo in cui tutte le domande vengono accolte, e dove, alla luce del Vangelo, si incoraggia la ricerca personale’ ”.
Flash interessante, che però può essere interpretato erroneamente. Perché il cristianesimo non è la ricerca, ma è la Risposta diventata carne. L’errore da non ripetere è quello del post-Concilio quando si sostituì la fede con il dubbio e con l’incertezza. Cosa che portò al crollo più devastante della storia della Chiesa.

IL GRIDO DI PAOLO VI

Fu Paolo VI a denunciarlo, nel celebre discorso sul “fumo di Satana” del 1972:
“Io debbo accusare la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto, non ci si fida più della Chiesa. Ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula vera della vita. E non avvertiamo di essere invece già noi padroni e maestri, è entrato il dubbio nelle coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce; nella Chiesa regna questo stato di incertezza”.
Sarebbe tragico se oggi tornassimo a quella situazione cupissima da cui ci hanno faticosamente portato fuori Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger.
Proseguendo il discorso del 1972 Paolo VI faceva questa constatazione:
“si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E’ venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza”.
E Paolo VI indicò una causa satanica:
“qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno della gioia di aver riavuto in pienezza la coscienza di sé. Noi vorremmo comunicarvi questo carisma della certezza che il Signore dà a colui che lo rappresenta anche indegnamente su questa terra”.

LE PAROLE DI GIUSSANI

All’unisono con questo “carisma della certezza” che deve avere il successore di Pietro (lo dice Paolo VI), furono le parole di don Luigi Giussani:
“Questa è l’ombra più grave: è stato eretto e insegnato, e magari dal pulpito, che l’incertezza sia una virtù e che la certezza sia una violenza. Come se Dio fosse diventato uomo, fosse venuto in mezzo a noi per aumentare le nostre incertezze; eravamo capaci da soli di inquietudini e di confusioni! Egli è venuto dicendo: ‘Io sono la luce del mondo’…. Il recupero di questa certezza è l’opera che il Concilio si aspetta da chi lo medita e gli obbedisce con cuore fedele”.
Proprio in don Giussani, uomo di Dio sensibile alle domande degli uomini (per questo si appassionava a Leopardi, Pavese o Kafka), troviamo il modo giusto di interpretare l’invito di Bergoglio a una Chiesa come “luogo in cui tutte le domande vengono accolte”.
Infatti Giussani, che ha portato davvero l’annuncio alle “periferie esistenziali”, che partì proprio dalla scuola e dal problema educativo dei giovani e ne guidò migliaia alla fede certa, spiegava: “condividere il bisogno è l’unico modo per leggerlo, ma la lettura sarebbe mondana se non partisse dalla tradizione cristiana… l’inizio della presenza dentro l’ambiente non è l’ambiente, ma qualcosa che viene prima… l’annuncio non viene dalla nostra intelligenza nel dirimere le questioni, ma viene prima, è qualcosa che ci è dato”.
E’ Gesù Cristo. Infatti Giussani conclude: “quando si dimentica che Cristo è la chiave di tutto, il cristianesimo diventa zero. La mentalità mondana si inserisce in noi per la paura di essere in minoranza, di non essere considerati al passo”.
Dunque serve rileggere Paolo VI e Giussani più che Spadaro. Del resto Bergoglio apprezzò molto i libri di Giussani, il quale aveva spiegato perfettamente (con anni di anticipo) l’idea della Chiesa come ospedale da campo: “quell’ammalato che si doveva alzare, punta sui gomiti e non riesce. Ma se va lì sua madre o sua moglie o un’infermiera o il medico o un amico, e lo prende sotto braccio, poco o tanto può riuscire a camminare. Questa è l’immagine dell’uomo che cammina secondo il pensiero cristiano: l’uomo non può camminare se non abbracciato, se non sostenuto da Gesù Cristo. Dio è venuto nel mondo proprio esattamente per prenderci e farci camminare”.
Da meditare e imparare.

Antonio Socci

Da “Libero”, 9 gennaio 2014

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Eppure in Italia i pastori sono in fuga dal gregge
di Stefano Fontana

Vorrei inserirmi anch’io nel dibattito suscitato dalla lettera di Mario Palmaro e dalla risposta di Riccardo Cascioli pubblicate su La Nuova BQ. Lo faccio intervenendo su un solo punto dei tanti sollevati. 
Effettivamente davanti all’emergenza in atto sul fronte della famiglia ci si pongono molte domande, riguardanti anche l’atteggiamento dei pastori della Chiesa italiana. Troppo evidente è la glaciale gravità della situazione e i silenzi, oppure i giochi di parole, oppure le divagazioni di tanti. Non perché debbano essere sempre i vescovi a dare il “là”, ma perché i laici hanno bisogno di conferme. Non di ricette operative,  quelle sanno trovarle da soli, ma di conferme dottrinali. A questo servono i pastori. Oggi nel mondo cattolico si sono aperte mille fessure dottrinali su questi argomenti e ognuno va per la sua strada. Quello che era stato detto nella “Nota a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto” il 28 marzo 2007, o quanto insegnato da Benedetto XVI fino al discorso alla Curia Romana del 21 dicembre 2012 (non un secolo fa) non valgono più? E se non valgono più perché nessuno ce l’ha detto? E se valgono ancora non è il caso di ribadirlo? Sono domande sincere che sorgono nell’animo di fedeli docili alla Chiesa, che però gli occhi li tengono aperti, che hanno una speranza vivificata dalla vita sacramentale che li sostiene nelle incertezze, ma che sanno anche usare realisticamente della loro ragione. 
Prendiamo la legge Scalfarotto in discussione al Senato. E’ evidente che con la scusa di non discriminare, quella legge finisce per parificare omosessualità ed eterosessualità, ossia finisce per convalidare la cosiddetta ideologia del genere. Già adesso nelle scuole – complici la strategia dell’UNAR e la rete Ready -  si presentano tutti i vari orientamenti sessuali, vengono cambiati i libri di testo, si educano le menti degli insegnanti e l’OMS 8Organizzazione Mondiale della Sanità), in virtù della non discriminazione, impartisce direttive abominevoli sull’educazione sessuale fin da bambini. 
Prendiamo le Unioni Civili, di cui si riparla dopo la proposta di Renzi. In ogni Paese in cui sono state approvate, si sono subito trasformate nel matrimonio omosessuale. Stupiscono le diffuse posizioni cattoliche che sono disposte ad accettare le Unioni Civili se chieste non in nome dell’omosessualità ma dei diritti individuali. Non esistono associazioni di conviventi eterosessuali che rivendichino il loro riconoscimento. I conviventi di fatto non vogliono sposarsi. Altrimenti si sposerebbero. Le Unioni Civili sono fatte su misura delle coppie omosessuali. Ma l’omosessualità non può essere considerata normale dallo Stato. Né si tratta solo di diritti, in quanto i diritti individuali possono essere soddisfatti dal diritto individuale. In gran parte già lo sono. Lo scopo delle Unioni Civili è di costituire l’anticamera per il matrimonio omosessuale e la sua parificazione alla famiglia naturale.

Questo è però un fatto gravissimo, una rivoluzione epocale davanti a cui solo l’ignoranza del problema può scusare le omissioni. Un fatto gravissimo non tanto dal punto di vista morale, di cui si occuperà ogni singola coscienza, ma dal punto di vista della costruzione della comunità: la società rifiuta la sua origine, ossia la famiglia, e si concepisce come una somma di individui. Nella coppia omosessuale non c’è complementarietà né apertura alla vita. Senza la famiglia la società finisce.
Il riconoscimento del matrimonio omosessuale apre la porta all’abominevole mercato dell’utero in affitto, alle adozioni gay dove i bambini vedranno baciarsi i loro genitori omo e mancheranno di una delle due figure fondamentali per la loro crescita, alla riforma del diritto di famiglia, alla riforma del diritto amministrativo … in pratica allo stravolgimento di tutta la nostra società, ormai dimentica della natura umana. La società si congederebbe così definitivamente dalla natura e si concepirebbe solo come una costruzione artificiale fatta in base ai desideri individuali o ai diritti soggettivi, senza più essere debitrice di un progetto che la precede e la fonda. Da questo tipo di società la religione cristiana sarebbe incapace di farsi capire: togliete alla dottrina cattolica le parole Padre, Madre, Figlio e Famiglia e diventa afasica.
La situazione è drammatica, non c’è dubbio. Qualche deputato in parlamento si impegna. Le Sentinelle in Piedi si fanno vedere. Ma è evidente la distonia tra questa gravità e i silenzi dei vescovi, l’assenza di mobilitazione dei settimanali diocesani e della stampa cattolica, il tergiversare su tante questioni importanti sì ma troppo care al mondo perché possano essere quelle decisive, la paura di parlarne per non avere contestazioni, l’assenza dei grandi movimenti ufficiali che sembrano più interessati a cavillare in cerca dell’onorevole compromesso più che a dire le cose come stanno. Il popolo cattolico non è nemmeno informato che a scuola ai ragazzini ormai dicono apertamente che il coito è di due tipi … per non discriminare, naturalmente.
Se manifesti questi sentimenti ti viene però detto che Papa Francesco ha affermato di non usare “bastonate da inquisitore, di condanna”. Certamente Papa Francesco non voleva dire che il rispetto dovuto a tutti contrasta con la lotta per delle leggi giuste. Anche lui ha parlato e parla  di “custodia del creato”. Le Sentinelle in Piedi non condannano nessuno: non parlano neanche. Però ci sono. E lottano. Nella Nota del 2007 dei vescovi italiani sul riconoscimento giuridico delle coppie di fatto non c’erano “bastonate da inquisitore”, ma una sobria, cordiale, ragionevole, precisa riproposizione della dottrina. Come mai davanti all’attuale emergenza – indice di gravità che un comunicato dell’Osservatorio Van Thuân ha aumentato ad “allarme” – non si dice niente e si fa poco? Come mai chi fa qualcosa lo fa quasi alla chetichella? 
Quando la fede – come ben chiarisce la Lumen Fidei di Papa Francesco -, tramite la sua dottrina, ricorda alla ragione ubriacata la verità, a cui avrebbe dovuto attenersi se fosse rimasta sobria, non usa nessuna “bastonata da inquisitore”, ma semplicemente le offre il suo cordiale, ragionevole - anche se deciso – aiuto. Quando la fede dovesse abbandonare questa sua funzione, sarebbe segno che è in crisi e che si è rassegnata a consegnare l’uomo a chi usa veramente il bastone.