sabato 25 gennaio 2014

Quando la Parola si annuncia con le parole




L’arcivescovo Celli ai giornalisti.

«La fede e l’impegno concreto per il bene dell’uomo» sono «due tensioni» che nel professionista della comunicazione «devono andare sempre insieme». Lo ha ricordato l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, ai giornalisti che venerdì mattina, 24 gennaio, memoria liturgica del patrono della stampa cattolica san Francesco di Sales, hanno partecipato alla messa celebrata nella chiesa di Santa Maria in Traspontina.

E proprio coloro che ogni giorno lavorano nella comunicazione — ha detto monsignor Celli — sono chiamati, da cristiani, «a vivere la frase attribuita a san Francesco che più volte il Papa ha ripetuto, invitando ad annunciare il Vangelo, se fosse necessario, anche con le parole!».
La messa nel giorno di san Francesco di Sales è un appuntamento annuale divenuto ormai, secondo l’arcivescovo, «una piccola tradizione» per gli operatori dei mass media, che si ritrovano insieme come «discepoli del Signore», chiamati per nome a una vocazione e a una missione. Il riferimento è al brano evangelico della liturgia: Marco racconta proprio la scelta dei dodici apostoli sottolineando che «Gesù chiamò a sé quelli che voleva». Infatti «è lui a chiamare; e così nasce la nostra vocazione, che cresce poi nella concretezza della vita quotidiana».
Proprio con la chiamata dei dodici, ha spiegato monsignor Celli, siamo davanti all’«atto creativo» di Gesù che, appunto, «crea la sua Chiesa, la sua famiglia: la famiglia alla quale anche noi apparteniamo». E questa comunità, il popolo di Dio, «si costituisce appunto nell’ascolto della sua voce». Gesù, ha proseguito l’arcivescovo, «chiama i dodici per stare con lui, per seguirlo, per condividere la sua stessa sorte». Chiede loro, dunque, di «stare accanto ai poveri, ai malfattori proprio come ha fatto lui nei momenti cruciali della sua vita».
Questa chiamata a «stare con lui», ha suggerito il presule, «dà significato anche a quella cultura dell’incontro di cui ci parla Papa Francesco. Noi abbiamo la missione di predicare, di evangelizzare, di dare testimonianza, di farci vicini all’uomo; ma possiamo farlo in maniera forte solo stando con lui».
In fondo, ha aggiunto, «non servono grandi capacità organizzative o chissà quali artifici»: serve stare con lui per far esperienza della gioia, come afferma il Pontefice nella Evangelii gaudium. Altrimenti, ha messo in guardia l’arcivescovo, si corre il rischio di lavorare e di fare tante cose ma di non trovare la gioia che viene proprio dallo «stare con Gesù». E questo, ha precisato, «non è un atteggiamento romantico»; si tratta piuttosto di essere «inseriti nella storia salvifica della Chiesa». Perché, ha concluso, «è la nostra fede che vince il mondo» e «solo se custodiamo la parola di Dio saremo capaci di comunicarla agli altri, favorendo il loro incontro con il Signore».
Con l’arcivescovo Celli hanno concelebrato, tra gli altri, don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana, padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, e i monsignori Paul Tighe e Giuseppe Antonio Scotti, segretario e segretario aggiunto del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali. Tra i presenti, il direttore del nostro giornale.
L'Osservatore Romano

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Internet: un dono di Dio, ma irto di insidie
di Massimo Introvigne

Formalmente datato 24 gennaio 2014, è stato diffuso il 23 gennaio il messaggio di Papa Francesco per la quarantottesima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Continuando in una tradizione inaugurata dal beato Giovanni Paolo II (1920-2005) e da Benedetto XVI, Francesco ha proposto un giudizio su Internet alla luce del Magistero della Chiesa. Il lettore che sta leggendo questo articolo è su Internet, e sarà dunque interessato a sapere che il Papa gli dice che fa bene a dedicare del tempo alla rete, ma senza abusarne e con una consapevolezza che - insieme ad aspetti positivi - Internet presenta anche dei rischi.
Negli ultimi anni, nota il Pontefice, la comunicazione ha raggiunto «sviluppi inauditi. In particolare Internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio».
«Esistono però aspetti problematici»: anzitutto - un tema già sottolineato da Benedetto XVI - «la velocità dell’informazione supera la nostra capacità di riflessione e giudizio e non permette un’espressione di sé misurata e corretta. La varietà delle opinioni espresse può essere percepita come ricchezza, ma è anche possibile chiudersi in una sfera di informazioni che corrispondono solo alle nostre attese e alle nostre idee, o anche a determinati interessi politici ed economici. L’ambiente comunicativo può aiutarci a crescere o, al contrario, a disorientarci». la dittatura del relativismo è ben presente anche su Internet, dove spesso crediamo di essere liberi ma siamo in realtà manipolati dai poteri forti.
Inoltre - un altro tema non inedito nel Magistero - «il desiderio di connessione digitale può finire per isolarci dal nostro prossimo, da chi ci sta più vicino». C'è chi passa tutto il suo tempo su Internet e sui social network fino a non parlare più con il coniuge e i figli. Senza dimenticare il «digital divide», lo squilibrio che colpisce i poverissimi privi di connessione alla rete: «chi, per diversi motivi, non ha accesso ai media sociali, rischia di essere escluso».
«Questi limiti - scrive il Papa - sono reali, tuttavia non giustificano un rifiuto dei media sociali; piuttosto ci ricordano che la comunicazione è, in definitiva, una conquista più umana che tecnologica». Nessuna demonizzazione di Internet o di Facebook, e lo stesso Pontefice ha voluto essere presente su Twitter. Ma attenzione a usarli in modo equilibrato.
«Dunque, che cosa ci aiuta nell’ambiente digitale a crescere in umanità e nella comprensione reciproca? Ad esempio, dobbiamo recuperare un certo senso di lentezza e di calma. Questo richiede tempo e capacità di fare silenzio per ascoltare». Il problema spesso non è Internet ma la fretta, il rapporto malsano con il tempo di cui Francesco ha parlato diverse volte. Solo se ci fermiamo a riflettere, su Internet potremo anche difendere «i grandi valori ispirati dal Cristianesimo, ad esempio la visione dell’uomo come persona, il matrimonio e la famiglia, la distinzione tra sfera religiosa e sfera politica, i principi di solidarietà e sussidiarietà».
Come fare, in pratica? «Trovo una risposta - scrive il Papa - nella parabola del buon samaritano, che è anche una parabola del comunicatore. Chi comunica, infatti, si fa prossimo. E il buon samaritano non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell’uomo che vede mezzo morto sul ciglio della strada. [...] Comunicare significa quindi prendere consapevolezza di essere umani, figli di Dio. Mi piace definire questo potere della comunicazione come "prossimità"».
Nella parabola, il viaggiatore soccorso dal samaritano era stato ridotto in fin di vita dai briganti. «Quando la comunicazione ha il prevalente scopo di indurre al consumo o alla manipolazione delle persone, ci troviamo di fronte a un’aggressione violenta come quella subita dall’uomo percosso dai briganti e abbandonato lungo la strada, come leggiamo nella parabola». I briganti ci sono ancora, si sono solo aggiornati quanto ai metodi: «corriamo il rischio che alcuni media ci condizionino» e c'inducano al male.
La ricetta di Papa Francesco è la stessa proposta dai Pontefici precedenti quanto a Internet e Facebook: sono grandi occasioni per un primo contatto, ma poi bisogna passare dall'incontro virtuale a quello personale, faccia a faccia. «Non basta passare lungo le "strade" digitali, cioè semplicemente essere connessi: occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero». «Non sono le strategie comunicative a garantire la bellezza, la bontà e la verità della comunicazione. Anche il mondo dei media non può essere alieno dalla cura per l’umanità, ed è chiamato ad esprimere tenerezza. La rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone umane. La neutralità dei media è solo apparente: solo chi comunica mettendo in gioco se stesso può rappresentare un punto di riferimento. Il coinvolgimento personale è la radice stessa dell’affidabilità di un comunicatore. Proprio per questo la testimonianza cristiana, grazie alla rete, può raggiungere le periferie esistenziali».
Il Papa lo ripete spesso: «tra una Chiesa accidentata che esce per strada, e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima». E tra le strade per cui oggi i cristiani devono uscire, che non scegliamo noi e sono «quelle dove la gente vive», «ci sono anche quelle digitali, affollate di umanità, spesso ferita: uomini e donne che cercano una salvezza o una speranza. Anche grazie alla rete il messaggio cristiano può viaggiare "fino ai confini della terra" (At 1,8). Aprire le porte delle chiese significa anche aprirle nell’ambiente digitale, sia perché la gente entri, in qualunque condizione di vita essa si trovi, sia perché il Vangelo possa varcare le soglie del tempio e uscire incontro a tutti». Anche i social network, da Facebook a Twitter, «sono oggi uno dei luoghi in cui vivere questa vocazione a riscoprire la bellezza della fede, la bellezza dell’incontro con Cristo. Anche nel contesto della comunicazione serve una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore».
Non si tratta, spiega il Pontefice, di saturare la rete con un «bombardamento di messaggi religiosi», ma di avvicinare gli altri, come scriveva un anno fa Benedetto XVI - citato ora da Papa Francesco - nel suo ultimo messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, «attraverso la disponibilità a coinvolgersi pazientemente e con rispetto nelle loro domande e nei loro dubbi, nel cammino di ricerca della verità e del senso dell’esistenza umana».
La sfida, commenta Francesco, «richiede profondità, attenzione alla vita, sensibilità spirituale». «La nostra luminosità non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo ferito lungo il cammino, con amore, con tenerezza». «Non abbiate timore di farvi cittadini dell’ambiente digitale», conclude il Papa. «La rivoluzione dei mezzi di comunicazione e dell’informazione è una grande e appassionante sfida, che richiede energie fresche e un’immaginazione nuova per trasmettere agli altri la bellezza di Dio».