giovedì 21 aprile 2011

Giovedi Santo 2011 - Inizio del Triduo Pasquale



Con la Liturgia di questa sera la Chiesa entra nel Triduo Pasquale. Auguri!



Ti sei donato a me senza riserve,
pieno di soavità hai fatto piccola la tua grandezza;
così che non tremassi nel vederti,
nell'aspetto pure come me perchè potessi riceverti

Ode VII di Salomone

Gv 13, 1-15

Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi».Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi».

Il Commento

Oggi Dio si inchina dinanzi a ciascuno di noi. Dio si mette ai nostri piedi. Basterebbe questo per rimanere schiantati. La nostra superbia, i giudizi, le pretese, l'ira, la maldicenza, l'arroganza, la sfrontatezza, l'onda melmosa del nostro orgoglio si infrange su quest'amore inimmaginabile. L'amore sino alla fine. Gesù è l'unico che va con noi sino in fondo, che non si ferma di fronte a nulla. Lui non lascia le cose a metà, il suo amore non si spegne, non si raffredda, non sfugge il pericolo, non rinuncia per la vergogna, non cambia per opportunismo, non esige cambiamenti e attitudini particolari, sa pazientare e attendere, guarda tutto di noi con speranza invincibile, non si aspetta contraccambio. Se ti prende per mano e ti promette di amarti sino alla fine, sarà esattamente così.

"Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare; poiché io sono il Signore tuo Dio, il Santo di Israele, il tuo salvatore. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo. Non temere. Dirò al settentrione: Restituisci, e al mezzogiorno: Non trattenere; fa' tornare i miei figli da lontano e le mie figlie dall'estremità della terra, quelli che portano il mio nome e che per la mia gloria ho creato e formato e anche compiuto. Fa' uscire il popolo cieco, che pure ha occhi, i sordi che pure hanno orecchi... Voi siete i miei testimoni - oracolo del Signore - miei servi, che io mi sono scelto perché mi conosciate e crediate in me e comprendiate che sono io... Così dice il Signore che offrì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi insieme;essi giacciono morti: mai più si rialzeranno; si spensero come un lucignolo, sono estinti. Non ricordare più le cose passate, non pensare più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgerete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa.". (Is. 43,1-7). Il Targum di Isaia aggiunge e commenta: "Nell'antichità, quando attraversaste il Mar Rosso, la mia Parola vi assisteva; il faraone e gli egiziani, che erano numerosi come le acque dei fiumi, non poterono nulla contro di voi; Neanche negli altri tempi, quando foste tra le nazioni, che erano potenti come il fuoco, queste non prevalsero contro di voi, né i regni, impetuosi come le fiamme vi distrussero... Non temere perchè sei amato davanti a me, non temere perchè la mia Parola viene in tuo aiuto... Fui Io che feci uscire il Popolo dall'Egitto, che era come un cieco anche se aveva occhi, e come un sordo anche se aveva orecchie...Voi siete i testimoni davanti a me - dice Yahwè - insieme con il mio servo il Messia nel quale mi sono compiaciuto, perchè lo riconosciate e gli siate fedeli davanti a me e comprendiate che Io sono". Da questi testi comprendiamo come l'amore sino alla fine del Signore sia un amore incastonato nella dinamica dell'esodo, un amore pasquale; l'amore che, quando ci prende, ci coinvolge in un cammino che fa della nostra vita un esodo alla scoperta di qualcosa di assolutamente nuovo, a noi sconosciuto, così bello da togliere il fiato e far dimenticare le cose passate e antiche: l'amore sino alla fine. "Egli coinvolge tutti noi, trascinandoci dentro la forza trasformatrice del suo amore al punto che, nel nostro essere con Lui, la nostra vita diventa “passaggio”, trasformazione... l’essere partecipi dell’amore eterno (della vita eterna, della speranza affidabile, della meta grande e sicura da giustificare la fatica del cammino), una condizione a cui tendiamo con l’intera nostra esistenza" (Benedetto XVI, Omelia della Santa Messa nella Cena del Signore, 20 marzo 2008].

L'amore di Gesù che percorre tutto il cammino che lo conduce sino al fondo delle nostre vite. Sino ad inginocchiarsi dinanzi ai nostri delitti, ad ogni peccato, grande o piccolo che sia, che infanga i nostri piedi. In ginocchio per perdonarci. Per lavare ogni macchia. I nemici che ci hanno resi schiavi, li vedremo morti: mai più si rialzeranno. E' nel perdono, in questo lavacro che dai piedi ci purifica sino alla fine, sino al fondo del cuore dove risiede la malizia del peccato, ì in questo amore nuovo che sorge per noi, oggi, la speranza di una vita nuova. In questo perdono possiamo cominciare un autentico esodo che dimentichi, che lasci dietro le spalle le schiavitù antiche, un cammino che guardi avanti per non ritornare a diventare, come la moglie di Lot, inanimate statue di sale bloccate e fallite. Lui è oggi prostrato davanti a noi, per lavare i nostri piedi affinchè ci facciano entrare nella Pasqua, nell'esodo che ci attende. I piedi sono immagine del nostro andare per la vita, sino a questa notte un vagare senza meta, insicuro, alla ricerca di senso e sostanza, come ciechi e sordi: "Eravate erranti come pecore ma ora siete tornati al pastore, e guardiano delle vostre anime" (1 Pt. 2,12). Lui è oggi di fronte a noi come il Buon Pastore che fascia le ferite, lava e rinfranca i nostri piedi dolenti, per prepararci e condurci al fine per cui siamo nati: "Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino... Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me... Davanti a me tu prepari una mensasotto gli occhi dei miei nemici; il mio calice trabocca. Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni" (cfr. Sal. 23). L'amore che ci guida ai pascoli erbosi del Paradiso, la Terra preparata quale premio di ogni fatica quotidiana, il riposo che ci attende al termine dei combattimenti del deserto. L'amore che ci porta sino alle acque del battesimo, dove rinnovare, giorno per giorno, l'alleanza con Lui. L'amore che prepara la mensa del suo corpo e del suo sangue, la fonte della vita piena che trabocca di gioia come un calice di vino squisito. Nel gesto di Gesù possiamo allora guardare con fiducia e speranza alla nostra vita: al passato nel quale Dio è stato tante volte fedele; al presente, dove si abbassa al punto di inginocchiarsi per riconsegnarci quell'amore perduto capace di rialzarci e introdurci nel cammino; al futuro, dove compirà, passo dopo passo, negli eventi che ci attendono, il suo amore infinito. Gesù, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, dopo i tanti prodigi mostrati sino ad ora, ci ama sino alla fine, oggi e sino all'eternità.

Comprendiamo allora come la sua ora, quella di passare da questo mondo al Padre, coincida con la stessa nostra ora, quella di passare dalla schiavitù del peccato e della carne, alla libertà dei figli di Dio. Con il Vangelo di oggi si inaugura la grande cena di Gesù, ed in ogni suo gesto, in ciascuna sua parola risuona il racconto dell'antico Esodo del Popolo, che, in Lui, non solo è memoriale che riattualizza gli eventi del passato, ma si compie definitivamente. E' questo il senso più profondo dell'amore sino alla fine: l'amore manifestato nell'Esodo quale segno e memoriale per il Popolo si compie, giunge alla fine del piano di salvezza allora iniziato. In Cristo si compie l'amore del Padre, l'Esodo trova il suo compimento.

I Rabbini hanno interpretato la parola Pesach con pe sach: la bocca parla, esprimendo così l'importanza di raccontare l'evento con le parole. "Come un semplice parlare di questi grandi eventi non basta, così neanche il segno da solo è sufficiente. Unicamente l'unità tra il fatto e l'articolazione in parole del suo significato conferisce alla notte pasquale il potere di riprodurre nell'assemblea gli antichi prodigi" (Daniel Lifschitz, Le feste ebraiche - 3. Pessach - Pasqua). Con il segno della lavanda dei piedi e le parole pronunciate durante la cena Gesù obbedisce al comando di raccontare gli eventi prodigiosi dell'Esodo mostrando contemporaneamente la novità assoluta e sorprendente del suo potere di compiere le parole e i segni.

E' questa l'esperienza che ci attende oggi, in questo Santo Giovedì. Immergerci nel mistero d'amore che il nostro cuore attende da una vita. Incontrare Colui che stiamo cercando senza posa da quando siamo nati. Lasciarci sorprendere e trafiggere dall'amore di Gesù, l'unico che ci ama sino ad inginocchiarsi dinanzi a noi. Sino a consegnare tutto di sé. Chiunque oggi si senta vuoto, solo, sfiduciato. Triste, angosciato, ribellato. Schiavo di peccati dai quali non può uscire. Chiunque di noi insomma, oggi può stupirsi di un amore mai conosciuto. Un amore che ama sino alla fine di noi stessi, sino agli angoli bui e irrisolti delle situazioni che ci tolgono pace e gioia. Sino alla fine di ogni nostro fallimento. Sino alla fine del peggior lato del nostro carattere. Sino all'ultima nostra debolezza. Sino alla fine dell'ultimo peccato inanellato. Un amore che brucia e cancella, che salva tutto quanto sembra perduto, che ricrea tutto quanto sembra morto e imputridito. Un amore che colma l'esistenza di senso e vita nuova. Un amore fatto pane, da mangiare per essere saziati. Un amore fatto vino, da bere e colmare ogni sete. Un amore che guarisce e dona pace e gioia. Un amore che stupisce e risuscita e ci sospinge nella vita ricolmi dello stesso amore, per amare, per inginocchiarci a nostra volta dinanzi a chiunque appaia nelle nostre ore mendicando esattamente quello che abbiamo mendicato noi, sino a questo giorno. L'amore di Dio in Cristo Gesù, annientatosi e fattosi servo, l'ultimo, il più piccolo di questa terra, per farci suoi fratelli, salvati, amati. Per fare della nostra vita un miracolo d'amore capaci di prendere per mano i nostri fratelli e, con loro questa generazione, ed incamminarci insieme nell'esodo che conduce al Cielo. Lavarsi i piedi gli uni gli altri è proprio questo entrare insieme, riconciliati, perdonati, amati, nel grande cammino di liberazione che inaugura la Pasqua.

Gesù è innamorato, di me e di te, e non vi è altra spiegazione che il suo amore. Oggi è il giorno per contemplare questo amore. Le parole resterebbero sempre incapaci di descriverlo, come dice il Cantico dei cantici: "forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l'amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio" (Ct. 8,6-7). Il suo amore sino alla fine è da accogliere, umilmente; nulla possiamo dare per averlo, nulla neanche in contraccambio. Il suo amore disintegra l'orgoglio di Pietro, il nostro orgoglio, incapace di ricevere un dono così sconvolgente. Oggi Gesù depone le sue vesti, offre la sua vita secondo il verbo usato da Giovanni. Oggi Gesù getta via la sua dignità, quasi dimentica d'essere Dio per farsi uno con ciascuno di noi, per raggiungerci laddove siamo caduti. Nudo per rivestirci della sua dignità. "Ti sei donato a me senza riserve, pieno di soavità hai fatto piccola la tua grandezza; così che non tremassi nel vederti, nell'aspetto pure come me perchè potessi riceverti" (Ode VII di Salomone). Lasciarsi amare, lasciarsi lavare i piedi da Gesù, è questa la porta che apre alla felicità piena, che nessuno potrà rubarci.

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Di seguito un testo bellissimo di un grande teologo ortodosso

Alexander Schmemann

Giovedì Santo


L’Ultima Cena


Due importanti eventi caratterizzano le sacre ufficiature del Santo e Grande Giovedì: l’Ultima Cena del Signore Gesù Cristo con i suoi discepoli e il tradimento di Giuda. Il significato più profondo di questi due eventi è l’amore. L’Ultima Cena è la rivelazione escatologica dell’amore salvifico di Dio per l’uomo, l’amore che è il cuore della salvezza. Il tradimento di Giuda rivela che il peccato, la morte e l’autodistruzione sono anch’essi dovuti all’amore; ma un amore distruttivo, un amore che divide, disperde e conduce là dove domina tutt’altro che l’amore. Proprio qui sta il mistero di questo unico giorno, del Santo Giovedì. Le sacre ufficiature, dove la luce e le tenebre, la gioia e il dolore sono stranamente mescolati, ci provocano mettendoci di fronte ad una scelta dalla quale dipende la destinazione finale di ciascuno di noi.

«Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre… dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine…» (Gv 13, 1). Per capire il significato dell’Ultima Cena, essa deve essere vista come il fine della grandiosa potenza del Divino Amore, che ha avuto inizio con la creazione del mondo e adesso si conclude con la Morte e la Risurrezione di Cristo.

«Dio è amore» (Gv 4, 8). E il primo dono dell’Amore è stato la vita. Il significato e il contenuto della vita era la comunione. Perché l’uomo riuscisse a vivere doveva mangiare e bere, partecipare alla vita del mondo. Così il mondo era amore divino che divenne cibo, divenne Corpo dell’uomo. Ed essendo vivo, partecipando cioè al mondo, l’uomo ha dovuto vivere in comunione con Dio, trovare senso in Dio, trovare in Lui il contenuto e il fine della sua vita. Comunione con il mondo – la creazione di Dio – era una vera e propria comunione con Dio.

L’uomo ha ricevuto il cibo da Dio, facendoli corpo e vita propria, ha offerto tutto il mondo a Dio trasformandolo in vita «in Cristo». L’amore di Dio ha dato la vita all’uomo, l’amore dell’uomo per Dio ha trasformato questa vita in comunione con Dio. Questo è stato il Paradiso. La vita nel Paradiso era veramente eucaristica. Attraverso l’uomo e il suo amore per Dio, l’intera creazione si sarebbe santificata e trasformata in un mistero della Presenza Divina e l’uomo sarebbe stato il celebrante di questo mistero.

Però con il peccato, l’uomo ha perso questa vita eucaristica. L’ha persa perché smise di vedere il mondo come un mezzo di comunicazione con Dio, e la sua vita come eucaristia, come adorazione e gratitudine… Amò sé stesso per sé stesso e il mondo per il mondo. Fece di lui e del mondo qualcosa fine a sé stessa. Amò tanto sé stesso che lo rese il centro, il contenuto e il fine della sua esistenza. Credé che la sua fame e la sua sete, cioè la dipendenza della sua vita dal mondo, potesse essere soddisfatta da questo mondo, dal cibo che offre il mondo. Ma il mondo e il cibo, una volta separati dal loro significato misterico – come mezzi di comunicazione con Dio – dal momento in cui essi non sono assunti come doni di Dio e non soddisfano la fame e la sete per Dio, non offrono più una certa soddisfazione, né colmano la vita. In altre parole, quando Dio non è più il reale contenuto e il significato della vita del mondo, la fame e la sete cessano di essere soddisfatte, perché il mondo non ha più la vita in sé… Quindi mettendo l’amore in queste cose l’uomo si distaccò dal solo oggetto di tutto l’amore, di tutta la fame, di tutti i desideri. Ed è morto. Egli è morto perché la morte è l’inevitabile «decomposizione» della vita staccata dall’unica fonte e dall’autentico contenuto.

L’uomo, invece di trovare la vita in questo mondo e il cibo che offre il mondo, trovò la morte. La vita diventò ormai comunione con la morte invece di trasformare il mondo attraverso la fede, l’amore, il culto di Dio e della comunione con Lui. L’uomo si sottomise interamente al mondo, cessò di essere il suo celebrante e divenne il suo schiavo. Con il suo peccato tutto il mondo è diventato un immenso cimitero dove le persone sono condannate a morte, perché sono «abitanti nella regione dell’ombra della morte…» (Mt 4, 16).

Sebbene l’uomo abbia tradito, Dio è rimasto fedele all’uomo, non gli ha voltato le spalle. «Tu non hai respinto per sempre la creatura che avevi plasmato, o Buono, né hai dimenticato l’opera delle tue mani, ma l’hai visitata in molti modi nella tua grande misericordia» (Preghiera della Divina Liturgia di Basilio il Grande). Un nuovo progetto divino ebbe inizio; il progetto della redenzione e della salvezza. E questo progetto si completò con Cristo, il Figlio di Dio, che, per restaurare l’uomo nella sua «bellezza primitiva» e riportare la vita in comunione con il suo Creatore, si è fatto Uomo. Assunse la nostra natura umana con tutte le sue caratteristiche: la fame, la sete, il desiderio di amore, di vita. Nel volto del Cristo incarnato si rivelò la vera vita la quale fu data in origine all’uomo come una completa e perfetta Eucaristia, come piena e perfetta comunione con Dio. Il Cristo Teantropo negò la tentazione umana fondamentale: di vivere «di solo pane». Egli rivelò che Dio e il Suo Regno sono il vero pane, la vera vita dell’uomo. Questa perfetta vita eucaristica, piena di Dio – e quindi della vita divina e immortale – l’ha data a tutti i Suoi fedeli. Quindi, i credenti in Dio trovano in Lui il senso e il contenuto della loro vita. Questo è esattamente il più profondo, il meraviglioso senso dell’Ultima Cena.

Gesù Cristo offrì Sé stesso come il vero, l’essenziale cibo dell’uomo, perché la vita di Cristo è la vera vita. Così il movimento del Divino Amore che ha avuto inizio nel Paradiso con l’offerta di Dio «Mangia [del frutto] di qualunque albero del paradiso» (perché il cibo è la vita dell’uomo) raggiunge ora il suo culmine con il divino «prendete e mangiate, questo è il mio corpo…» (perché Dio è la vita dell’uomo). L’Ultima Cena, quindi, è il ripristino del Paradiso delle Delizie, la restaurazione della vita come Eucaristia e comunione.

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Ma questo momento di estremo Amore è anche il tempo dell’estremo tradimento. Giuda abbandona la luce che inondava la «Gran Sala» ed entra nel buio. «Quello però, preso il boccone, uscì subito. Era notte» (Gv 13, 30). Perché se ne è andato? Perché amava, risponde l’Evangelo. E questo amore fatale si sottolinea ripetutamente negli inni del Grande Giovedì. «Il tuo agire è colmo di perfidia, illegittimo Giuda; essendo ammalato di avarizia, hai guadagnato la misantropia; se amavi le ricchezze perché seguivi Colui che insegnava la povertà? anche se lo baciasti, perché hai venduto colui che non ha prezzo?…». Non ha importanza il fatto che l’oggetto dell’amore di Giuda sia stato l’«oro». L’oro, il denaro, rappresentano qui tutti gli amori perversi e distruttivi che portano l’uomo alla negazione di Dio. È infatti un amore rubato a Dio ed è proprio per questo che Giuda è un ladro. E quando qualcuno non ama Dio e il suo amore in genere non proviene da Dio, anche allora l’uomo ama e desidera – perché è creato per amare e l’amore è la sua natura – ma una passione oscura e autodistruttiva lo porta alla morte.

Ogni anno, mentre celebriamo questo grande giorno del Santo Giovedì e affondiamo nella sua luce infinita, e nelle profondità insondabili dei significati del giorno, la stessa domanda decisiva è rivolta a ciascuno di noi: Io, corrispondo all’amore di Dio e l’accetto come mia vita, o seguo Giuda nel buio della sua notte?

Le ufficiature del Grande Giovedì includono il Mattutino, il Vespro e poi la Divina Liturgia di Basilio il Grande. Anticamente nelle cattedrali si compiva l’ufficiatura del «Lavabo» dopo la Divina Liturgia. Oggi si riscontra in pochi monasteri. Mentre il diacono legge l’Evangelo, il Vescovo (o l’igumeno) lava i piedi di dodici sacerdoti (o monaci), fatto che ci ricorda che l’amore di Cristo è il fondamento della vita della Chiesa e caratterizza tutti i rapporti all’interno della Chiesa. Inoltre nelle prime Chiese Autocefale era d’uso anticamente nel Grande Giovedì la pratica dell’ufficiatura del Santo Miron il quale viene utilizzato nel sacramento della Santa Unzione. Ma oggi il Santo Miron si prepara solo al Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, in una specifica ufficiatura del Grande Giovedì. A questa ufficiatura partecipano il Patriarca Ecumenico, i Metropoliti e tutto il clero del Santo Trono (Ecumenico). Con il Santo Miron che riceviamo dopo il nostro battesimo, riceviamo i doni del Santo Spirito. Pertanto, il nuovo amore che Cristo porta sulla terra, ci sigilla nel giorno in cui, come nuovi membri, facciamo il nostro ingresso nella Chiesa.

Nel Mattutino i tropari sottolineano il tema del giorno che è il contrasto tra l’amore di Cristo e l’«insaziabile anima» di Giuda. Uno dei tanti tropari ci dice:

«Mentre i gloriosi discepoli venivano illuminati con la lavanda della cena, ecco che l’empio Giuda, malato di avarizia, si ottenebrava; e consegnava a giudici iniqui te, il giusto Giudice. Vedi come l’amante del denaro proprio per questo finisce impiccato; fuggi anima insaziabile che tanto ha osato contro il Maestro. O tu, buono con tutti, Signore, gloria a te».

La lettura dell’Evangelo (Lc 22, 1-39) è la narrazione dei fatti accaduti in quella «grande sala pronta». Segue il meraviglioso canone – pieno di significati teologici – poema del Monaco Cosma: «Il Mar Rosso squarciato si apre…». Questo ci dà l’impulso per concentrarci e meditare sul significato escatologico dell’Ultima Cena. L’ultimo Irmòs della 9ª Ode ci invita a prendere parte alla tavola immortale che ci fornisce il Signore con imperiosa ospitalità:

«Venite, o fedeli, con sensi elevati godiamo, nella sala alta, dell’ospitalità del Signore e della sua mensa immortale, godiamo il Logos innalzato, che esaltiamo poiché egli ce l’ha rivelato».

Nel Vespro dopo il «Signore, ho gridato a te…» agli idiòmela delle Lodi che seguono si evidenzia il terribile declino spirituale di Giuda: Il tradimento. Lo stico che segue è rappresentativo:


«Giuda, servo e ingannatore, discepolo e insidiatore, amico e diavolo, si rivela nelle opere. Seguiva infatti il Maestro e meditava tra sé il tradimento; diceva in sé: lo consegnerò e raccoglierò il denaro. Cercava di vendere il miron ma anche di consegnarlo con l’inganno. Diede l’abbraccio, consegnò Cristo come agnello al macello, così seguì, l’unico misericordioso e amico dell’uomo».

Dopo l’Ingresso del santo Evangelo si leggono tre letture dall’Antico Testamento:

1) Esodo 19, 10-19. Dio viene «nelle nubi» sul monte Sinai e Mosè con il popolo esce a incontrarlo. Ciò prefigura la venuta di Cristo nel mondo e soprattutto nella riunione Eucaristica.

2) Giobbe 38, 1-23; 42, 1-5. Dio parla a Giobbe e Giobbe risponde: «... chi è costui che senza cognizione ottenebra il tuo consiglio? Ho esposto dunque senza discernimento cose grandi e meravigliose che non comprendevo». E queste cose «grandi e meravigliose» si compiono ora in questa splendente «Grande Sala» con i Doni altissimi: il Corpo e il Sangue di Cristo.

3) Isaia 50, 4-11. Le profezie sulla Passione di nostro Signore Gesù Cristo. «Ho dato il mio corpo a quelli che mi percuotevano, e le mie guance a quelli che mi strappavano la barba; non nascosi il mio volto a quelli che mi schernivano e che mi sputavano…».

Nella lettura dell’Apostolo si legge dalla Prima Lettera ai Corinzi (11, 23-32) la descrizione dell’Ultima Cena e il significato della Santa Comunione, come li riporta l’apostolo Paolo.

La lettura dell’Evangelo che segue, è la più lunga nel corso dell’anno, ed è un testo composto da brani di tutti e quattro gli Evangeli. Parla di tutto quanto accade nell’Ultima Cena, del tradimento di Giuda e dell’arresto di Gesù Cristo nel giardino del Getsemani.

Segue la Divina Liturgia di Basilio il Grande, dove invece dell’Inno Cherubico e del Koinonikòn si canta l’inno che diciamo sempre prima della santa Comunione:

«Della tua mistica cena, Figlio di Dio, rendimi oggi partecipe; non svelerò il Mistero ai tuoi nemici, né ti darò un bacio come Giuda, ma come il ladrone ti confesserò: ricordati di me, Signore nel tuo Regno».

da: Αλέξανδρος Σμέμαν, Μικρό Οδοιπορικό της Μεγάλης Εβδομάδας. Σύντομη λειτουργική εξήγηση των ημερών της Μεγάλης Εβδομάδας,
4. Μεγάλη Πέμπτη. Ο ΜΥΣΤΙΚΟΣ ΔΕΙΠΝΟΣ, Ακρίτας 2001.

Traduzione a cura di © Tradizione Cristiana