sopra: Entrata in Gerusalemme (Kiko Arguello);
a metà pagina: Icona russa, Novgorod, XV sec.
La festa che ricorda l'ingresso di Cristo a Gerusalemme è di origine gerosolimitana. Già nel IV secolo la si celebrava con un corteo che dall’Eleona, sul monte Oliveto, proseguiva sino al Calvario, guidato dal vescovo in groppa a un’asinella. Il rito della processione della Domenica delle Palme si è conservato, in Occidente come in Oriente. La ricorrenza è dedicata alla solenne entrata di Gesù in Gerusalemme: come riferiscono i quattro Vangeli Gesù, nell'approssimarsi della Pasqua, sale a Gerusalemme cavalcando un'asina; lo accompagnano i discepoli, ai quali egli ha predetto ciò che i capi stanno tramando contro di lui. Una folla osannante gli viene incontro, acclamandolo come il Messia, figlio di Davide, fra l'indignazione dei Farisei. Lungo il percorso Gesù piange sulla città; quindi entra nel tempio, prendendone simbolicamente possesso. Dalla raffigurazione iconografica dell’Ingresso a Gerusalemme traspaiono i significati che la liturgia attribuisce all’evento. La celebrazione è dominata da accenni di esultanza e di trionfo. Il modulo iconografico riprende nelle sue linee essenziali gli schemi dell’arte bizantina, con la ben definita disposizione dei gruppi principali: i discepoli sullo sfondo della montagna e i gerosolimitani davanti alla città. Nelle immagini russe, dalla figura di Cristo traspira una maestosa regalità, che si impone con forza ancor maggiore perché scevra di manifestazioni convenzionali, emana dalla figura stessa, dalla posa, dall’espressione e dall’atteggiamento. Una componente si inserisce nella fascia centrale, dominata da Cristo: sono i fanciulli (in questo caso uno solo raffigurato) che stendono i mantelli sotto all’asina. La presenza dei fanciulli trova riscontro anche nella liturgia della festa, che ne fa un motivo dominante, caricandolo di un pregnante significato: nell’incontro di Gesù il popolo di Gerusalemme si vede la sintesi del mistero e della contraddizione d’Israele. |
Quando venne il tempo di dare se stesso in sacrificio per la redenzione dei peccati di tutti gli uomini, Cristo andò verso la "volontaria passione a Gerusalemme". Come è avvenuto questo?: "Quando furono vicini a Gerusalemme... Gesù mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: Andate nel villaggio che vi sta di fronte, subito troverete un'asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a me... I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l'asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via. La folla che andava innanzi e quella che veniva dietro, gridava: Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!" (cfr. Mt 21,1-9).
L'entrata di Gesù Cristo a Gerusalemme, quando lui dona se stesso all'oltraggio, all'abbassamento, alla terribile e vergognosa morte sulla croce per la salvezza degli uomini, ha un profondissimo significato etico e simbolico. Il prototipo di questo grande avvenimento, è considerata l'Entrata in Gerusalemme di Davide, dopo la sua vittoria su Golia. Anche Davide fu accolto e applaudito dalla folla, piena di gioia e gratitudine. Allora il re Saul s'ingelosì e serbò odio contro Davide. Ma Davide, qualche tempo dopo, divenne il gran re di Giudea e d'Israele.
Così anche Gesù Cristo, che va alla morte, diventerà re del nuovo Israele, di tutta l'umanità rinnovata, che ha fatto un Nuovo Testamento (Nuova Alleanza) con Dio.
L'Entrata in Gerusalemme diventa il compimento delle profezie: "Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina" (Zac 9,9).
L'iconografia dell'Entrata in Gerusalemme è di solito la stessa, non varia. Gesù Cristo entra a Gerusalemme, seduto su di un puledro. E' voltato verso i suoi discepoli, che seguono l'asinello. Nella mano sinistra Cristo regge un rotolo, che simbolizza il testo sacro del Testamento, con la destra benedice quelli che lo incontrano.
Incontro a Lui, dalle porte della città vengono uomini e donne. Alle loro spalle è Gerusalemme, una città grande e maestosa, gli alti edifici sono molto fitti e compatti. La loro architettura ci dimostra che l'iconografo aveva vissuto attorniato dai templi russi. I bambini stendono i loro mantelli sotto le zampe dell'asinello. Gli altri gettano ramoscelli di palma. A volte, nella parte bassa dell'icona si vedono anche due piccole figure di bambini. Uno sta seduto, con una gamba piegata e un po' alzata, sulla quale si china un altro ragazzino, che sta cercando d'estrarre una scheggia dalla pianta del suo piede. Questa scena della vita quotidiana, arrivata da Bisanzio, colpisce molto e dona all'immagine vitalità, non abbassando però il pathos di quello che sta succedendo. Le vesti dei bambini sono quasi sempre bianche, che simbolizzano la purezza delle loro anime, che non hanno malizia.
Come di solito per le icone russe, le vesti di tutti i personaggi adulti sono dipinte con arte e austera eleganza. Dietro la figura di Cristo si alza verso il cielo una montagna, rappresentata con i tradizionali mezzi simbolici.
L'entrata di Gesù Cristo a Gerusalemme è un atto della sua libera volontà, dopo questo fatto verrà il gran sacrificio, che redimerà tutti i peccati degli uomini e aprirà davanti a loro l'entrata nella nuova vita, l'entrata nella Nuova Gerusalemme.
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Per la meditazione:
Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo (Disc. 9 sulle Palme; PG 97, 990-994) Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele Venite, e saliamo insieme sul monte degli Ulivi, e andiamo incontro a Cristo che oggi ritorna da Betània e si avvicina spontaneamente alla venerabile e beata passione, per compiere il mistero della nostra salvezza. Viene di sua spontanea volontà verso Gerusalemme. E' disceso dal cielo, per farci salire con sé lassù «al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare» (Ef 1, 21). Venne non per conquistare la gloria, non nello sfarzo e nella spettacolarità, «Non contenderà», dice, «né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce» (Mt 12, 19). Sarà mansueto e umile, ed entrerà con un vestito dimesso e in condizione di povertà. Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d'olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone. Accogliamo così il Verbo di Dio che si avanza e riceviamo in noi stessi quel Dio che nessun luogo può contenere. Egli, che è la mansuetudine stessa, gode di venire a noi mansueto. Sale, per così dire, sopra il crepuscolo del nostro orgoglio, o meglio entra nell'ombra della nostra infinita bassezza, si fa nostro intimo, diventa uno di noi per sollevarci e ricondurci a sé. Egli salì verso oriente sopra i cieli dei cieli (cfr. Sal 67, 34) cioè al culmine della gloria e del suo trionfo divino, come principio e anticipazione della nostra condizione futura. Tuttavia non abbandona il genere umano perché lo ama, perché vuole sublimare con sé la natura umana, innalzandola dalle bassezze della terra verso la gloria. Stendiamo, dunque, umilmente innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso poiché quanti siamo stati battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo (cfr. Gal 3, 27) e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese. Per il peccato eravamo prima rossi come scarlatto, poi in virtù del lavacro battesimale della salvezza, siamo arrivati al candore della lana per poter offrire al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma trofei di vittoria. Agitando i rami spirituali dell'anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele».