Macario l'egiziano esorta ad “avere il ricordo della morte ogni giorno davanti agli occhi”, a “tenere in mano la propria anima come se si dovesse morire ogni giorno”. Dice ancora: “Bisogna che il monaco sia sempre pronto così come se l’indomani dovesse morire e che, al contrario, usi il corpo così come se dovesse convivere con lui per molti anni”. Nel libro V delle Istituzioni cenobitiche Cassiano riporta questa parola di Macario, invertendo però l’ordine dei due consigli:
“Egli (Macario) dunque dichiarava che il monaco doveva praticare il digiuno come se dovesse vivere unito al suo corpo per ben cento anni, ma doveva ugualmente frenare i moti dell’anima, dimenticarsi delle offese, eliminare la tristezza ed anche sprezzare i dolori e i danni sofferti come se fosse destinato a morire ogni giorno.
Anche Evagrio: ‘Fa’ sempre memoria del tuo esodo e non dimenticare il giudizio eterno e non vi sarà negligenza nella tua anima’. E ancora: “Separare il corpo dall’anima spetta a Colui solo che li ha legati insieme; [separare] l’anima dal corpo [spetta] invece anche a colui che agogna alla virtù. I nostri Padri, infatti, hanno chiamato l’anacoresi esercizio di morte e fuga dal corpo”.
Cassiano da parte sua insiste molto sul pensiero della morte, affermando che vera saggezza è “pensare che ogni giorno ci sarà possibile emigrare dal nostro corpo". D'altro canto aveva già annunciato chiaramente questo insegnamento. Si tratta di un passo in cui è racchiusa una preziosa sintesi di tutto quello che la tradizione monastica dei primi secoli ha espresso sulla pratica della ‘meditatio mortis’:
“Chi è affisso al patibolo della croce, non s’avvince alle cose presenti, (…) non si rammarica delle ingiurie che ora riceve e non si ricorda di quelle ricevute in passato; egli, insomma, pur sentendosi ancora vivo nel corpo, è convinto di essere già morto per tutti gli elementi del mondo, volgendo ormai lo sguardo del suo cuore verso la meta, alla quale egli non dubita di giungere al più presto. Allo stesso modo dobbiamo anche noi, grazie al timore del Signore, considerarci crocifissi a tutti gli elementi del mondo, ed è quanto dire, considerarci morti non soltanto ai vizi della carne, ma anche agli stessi elementi del mondo, tenendo gli occhi della nostra anima fissi alla meta, alla quale noi dobbiamo sperare di giungere in ogni momento. In questo modo noi potremo così dominare e mortificare ogni nostra concupiscenza e tutte le tendenze della nostra carne”. In molti passi delle sue Istituzioni, Cassiano descrive il ruolo positivo del pensiero della morte “in termini di indifferenza alla prosperità e alla avversità”. Insieme al discernimento e alla preghiera, la meditatio mortis diventa così uno dei rimedi fondamentali con cui il monaco può mantenere la via diritta.