Solo un Dio che ci ama fino a prendere su di sé le nostre ferite e il nostro dolore,
soprattutto quello innocente,
è degno di fede.
Benedetto XVI, Pasqua 2006
Dal Vangelo secondo Giovanni 11,45-57.
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: «Che facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione». Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera». Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gesù pertanto non si faceva più vedere in pubblico tra i Giudei; egli si ritirò di là nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim, dove si trattenne con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione andarono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e stando nel tempio dicevano tra di loro: «Che ve ne pare? Non verrà egli alla festa?». Intanto i sommi sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunziasse, perché essi potessero prenderlo.
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: «Che facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione». Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera». Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gesù pertanto non si faceva più vedere in pubblico tra i Giudei; egli si ritirò di là nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim, dove si trattenne con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione andarono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e stando nel tempio dicevano tra di loro: «Che ve ne pare? Non verrà egli alla festa?». Intanto i sommi sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunziasse, perché essi potessero prenderlo.
COMMENTO
Una profezia illumina il senso di tutta la vita e della missione di Gesù. Una profezia sorta dalle labbra di chi ne decreterà la morte. Caifa e le sue parole offrono il criterio per discernere e comprendere l'ingiustizia più grande. Il nemico risponde alla domanda più inquietante, quella che ha scosso il cuore di Gesù, la stessa che vibra nel nostro intimo: perchè? Perchè questa sofferenza, perchè questa ingiustizia? Perchè questo fallimento, questo tradimento, questa morte? Perchè il dolore degli innocenti? "Non esiste nessun interrogativo più incalzante per gli uomini" (Hans Urs Von Balthasar, Incontrare Cristo). Nel Vangelo di oggi, come un tesoro che brilli allo schiudersi dello scrigno, ci rivela il segreto che colma di senso gli aspetti più bui della nostra esistenza. Proprio chi insidia la nostra vita, chi ha deciso di ucciderci, chi ci fa del male gratuitamente, proprio il nemico è il profeta che illumina di giustizia l'ingiustizia; le sue parole piene di rancore, invidia, gelosia e odio, quelle parole che decretano la nostra fine, l'oltraggio al nostro onore, che ci umiliano nell'insignificanza, proprio quelle parole svelano il senso nascosto nel male che si abbatte su di noi. Il mistero di un amore che si carica del peccato altrui, del male e della morte, per salvare, redimere, risuscitare.
Le labbra di Caifa dischiudono quest'apertura alla Verità. Egli sussurra a Gesù il dovere da cui è afferrata la sua missione. Le parole di Caifa cercano e trovano quell'Uno solo che può salvare il Popolo e i Popoli di ogni tempo. La profezia di Caifa incontra l'ardente desiderio, la santa concupiscenza di Gesù di celebrare, compiere la sua Pasqua. L'astuzia politica, mondana, mista a gelosia, rancore, invidia del Sommo Sacerdote secondo la carne, intercettano la mitezza, la misericordia, l'amore dell'unico e autentico Sommo Sacerdote secondo lo Spirito: "A noi occorreva un tale Sommo Sacerdote: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori, elevato sopra i cieli... Cristo, apparso come Sommo Sacerdote dei beni futuri... non mediante il sangue di capri e vitelli, ma in virtù del proprio sangue entrò nel santuario una volta per tutte, ottenendo un riscatto eterno... quanto più il sangue di Cristo... purificherà la vostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivo!" (Eb. 7,26. 9,11-14). Il sangue di Gesù era proprio quello che occorreva per riunire i dispersi, perchè il Popolo potesse tornare a vivere la propria vocazione, quella per la quale era stato liberato dal giogo del Faraone: servire il Dio vivo! Il sangue di Gesù profetizzato da Caifa, voluto e ottenuto da Caifa.
E' il male stesso infatti che grida al bene di distruggerlo! E' il nemico che, uccidendo, implora la grazia del perdono alla sua vittima. Il male può solo lanciarsi verso la sua propria distruzione. Ma ha come bisogno di una roccia, di una barriera su cui infrangersi. E la trova in Cristo. Lo descrive magistralmente Peguy: "Ha ben saputo quel che faceva quel giorno, mio figlio che li ama tanto. Quando ha messo questa barriera fra loro e me. Padre nostro che sei nei cieli, queste tre o quattro parole. Questa barriera che la mia collera e forse la mia giustizia non supereranno mai. Beato chi s’addormenta sotto la protezione dei bastioni di queste tre o quattro parole" (C. Peguy, Il mistero dei santi innocenti). La missione del Figlio, quella di riunire ogni figlio disperso. Un solo Figlio perchè tutti tornino ad essere figli.
Per questo, nelle parole di Caifa risplende l'ultima profezia, quella decisiva. Essa riannoda il filo di tutte le altre profezie e, in poche, semplici parole che suonano come un ordine, dischiudono senso e compimento della Storia della Salvezza. Ma i farisei e i sommi sacerdoti non avevano capito nulla, considerati bene i fatti. Il testo originale greco ci aiuta a comprendere: non conoscevano e non calcolavano che proprio i segni di Gesù lo stavano consegnando alle loro mani per salvare la Nazione. Non entravano in relazione (conoscevano) con quegli accadimenti al punto di tradurli in una volontà che si facesse azione concreta (considerare). Conoscere, così come considerare, stimare, per un ebreo non è mai qualcosa di semplicemente intellettuale; ogni attività del pensiero è strettamente legato all'agire. In Dio parlare significa compiere. Caifa rimprovera i farisei e gli altri sacerdoti di non saper leggere gli avvenimenti per tradurli in un progetto e compierlo. Non sanno interpretare i segni per escogitare un piano di salvezza per la Nazione. La profezia infatti sorge proprio da questo: "Il profeta non è uno che predice l'avvenire... il profeta è colui che dice la verità perché è in contatto con Dio e cioè si tratta della verità valida per oggi che naturalmente illumina anche il futuro.. si tratta di rendere presente in quel momento la verità divina e di indicare il cammino da prendere. Di conseguenza la parola del profeta chiede, da una parte, di essere ascoltata e seguita, pur rimanendo parola umana, e dall'altra si appoggia alla fede e si inserisce nella struttura stessa del popolo di Israele, particolarmente in ciò che attende" (J. Ratzinger, da un'intervista di Niels Christian Hvidt). Può sembrare scandaloso ma Caifa ha parlato in nome di Dio, ha reso presente la verità divina e ha indicato il cammino da seguire. Ed è esattamente quello che i due verbi greci che compaiono nel testo significano. Nella profezia di Isaia "il Servo di Dio fu considerato (annoverato) fra i malfattori" (Is. 53,12), dove, nella traduzione greca dei LXX è usato lo stesso verbo pronunciato da Caifa. In questo passivo vi è la volontà di Dio, il "disegno", il "calcolo" di Dio che colpiva il Servo al posto nostro, per i nostri peccati! Dio aveva considerato bene di far ricadere su uno solo il peccato di molti: "Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti... ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori. (Is. 53). Ed è quanto, nel vangelo di Luca, Gesù annuncia circa la sua missione: "Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori" (Lc. 22, 37).
Così, quando appare Caifa nella nostra vita, occorre prestare ascolto alle sue parole. Sono la profezia che ci indica la verità divina e ci indica il cammino da seguire. Quando sull'orizzonte della nostra storia si profila l'ingiustizia ed il nemico si muove contro di noi, è il momento di ascoltare la Parola di Dio racchiusa in questi avvenimenti, pur rimanendo parola umana, nell'assurdo di un nemico che la incarna. Ma è una Parola che si appoggia alla fede e ci invita a guardare a quello che ci attende. L'ingiustizia, il nemico, il male, il dolore innocente ci profetizzano la Verità e ci mostrano il cammino che conduce al nostro autentico destino. Nell'onda che ci viene incontro per travolgerci è sigillato il tesoro più prezioso, l'amore infinito di Dio che attende di farsi carne in noi per la salvezza di ogni uomo. Dobbiamo ammettere di non aver capito nulla e di non aver considerato la nostra esistenza. Non conosciamo, non accogliamo e facciamo nostra la storia che Dio ci dona, non calcoliamo le occasioni che essa ci offre. Deve compiersi in noi la stessa parola che ha dovuto compiersi in Gesù. Siamo frutto del suo riscatto, ogni nostra cellula, ogni nostro istante, tutto di noi è stato ed è bagnato dal suo sangue benedetto. Dispersi nei peccati, dissipati nei vizi, con le vite prive di senso, siamo stati riscattati dal suo amore, dalla sua vita offerta per tutti noi.
Morire per – hypér, è questo il senso primo ed ultimo della nostra vita, il valore che la sostiene e la rende feconda. Molto di più, offrire la vita per molti è la fonte della gioia autentica; calcolare, considerare, riconoscere negli eventi che ci contrastano, nelle ingiustizie, nel volto del nemico, nel male che ci coinvolge, la volontà di Dio preparata perchè la nostra vita dia frutto. Così ogni istante, ogni evento, ogni persona custodisce per noi la stessa profezia di Caifa. Il dolore innocente, non quello che ci coinvolge quale conseguenza dei nostri peccati, ma quello che scaturisce dalla banalità del male, trova nelle parole del Sommo Sacerdote il senso nascosto che solo la fede è capace di decifrare. La fede che nasce dall'esperienza, nella propria vita, del senso che ha avuto il sacrificio di Gesù, l'innocente che ha attirato su di sé il castigo diretto a noi. "Ecco cosa ha raccontato loro mio figlio. Mio figlio ha svelato loro il segreto del giudizio stesso E adesso ecco come mi sembrano; ecco come li vedo; Ecco come sono obbligato a vederli... E davanti allo sguardo della mia collera e davanti allo sguardo della mia giustizia. Si sono tutti nascosti dietro di lui (C. Peguy, Il mistero dei santi innocenti). Ci siamo nascosti dietro le braccia distese del Figlio crocifisso, e da lì dietro, abbiamo incontrato lo sguardo misericordioso del Padre. Questa esperienza ci conduce a conoscere e a calcolare secondo Dio, con il suo stesso sguardo ogni evento, e a diventare, uniti a Cristo, un segno del suo amore infinito: "È una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente; che gloria sarebbe infatti sopportare il castigo se avete mancato? Ma se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme; egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca, oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore ma ora siete tornati al pastore, e guardiano delle vostre anime" (1 Pt. 2, 21-25).
Nell'offerta di Cristo, nella sua consegna per tutti gli uomini, nel compimento misterioso di questo amore attraverso i secoli, nei martiri noti e sconosciuti, nelle piaghe della Chiesa Corpo di Cristo che prende il peccato del mondo, nell'interminabile storia dei piccoli fratelli di Gesù che, silenziosamente, recano impresse le stigmate del Servo di Yahwè, ogni dolore innocente ritrova il suo senso. Nell'innocenza del Figlio consegnato alla morte, ogni sangue innocente diviene il tesoro più prezioso che vi sia su questa terra. In esso è racchiuso il sangue di Cristo, che con ogni innocente porta il peccato delle generazioni, per condurre ogni uomo al Cielo.
"Che mistero la sofferenza di tanti innocenti che portano su di sé il peccato di altri,
l’incesto, una violenza inaudita; quella fila di donne e bambini nudi verso la camera a gas,
e quel dolore profondo di uno dei guardiani che dentro al suo cuore sentiva una voce:
mettiti nella fila, e va con loro alla morte; e non sapeva da dove gli veniva… Dicono che
dopo l’orrore di Auschwitz non si può più credere in Dio. No! Non è vero, Dio si è fatto uomo
per prendersi Lui la sofferenza di tutti gli innocenti. È Lui l’innocente totale, l’agnello
condotto al macello senza aprire bocca, colui che porta su di sé i peccati di tutti" (Kiko
Arguello).
COMMENTI PATRISTICI.
San Leone Magno ( ?-circa 461), papa e dottore della Chiesa Discorso 8 sulla Passione del Signore, 7 ; SC 74 bis, 115 « Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi » «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). O mirabile potenza della croce! O ineffabile gloria della Passione, che racchiude in sé il tribunale del Signore, il giudizio del mondo e la potenza del crocifisso. Hai attirato davvero ogni cosa a te, Signore, e mentre stendevi tutto il giorno le mani verso il popolo che non credeva e ti scherniva (Is 65,2), donavi a tutto il mondo di intendere e proclamare la tua maestà. Hai attirato ogni cosa a te, Signore, quando... tutti gli elementi del creato pronunciarono un'unica sentenza... e ogni creatura negò agli empi il suo servizio (Mt 27,5s)... Hai attirato ogni cosa a te, Signore, affinché, quello che si compiva nell'unico tempio di Gerusalemme sotto il velo dei segni, fosse celebrato dovunque nella pienezza e l'evidenza del sacramento, dalla devozione di tutte le genti... Poiché la tua croce è la fonte di ogni benedizione, la causa di ogni grazia: per suo mezzo, vien data ai fedeli la forza nella sofferenza, la gloria nell'umiliazione, la vita nella morte. Ora poi, essendo venuta meno la verità dei sacrifici materiali, l'unica oblazione del tuo corpo e del tuo sangue sostituisce con pienezza l'offerta molteplice delle vittime: poiché sei tu il vero «Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo» (Gv 1,29). E così, in te porti a compimento tutti i misteri e le celebrazioni rituali, affinché, come uno solo è il sacrificio per ogni vittima, così pure uno sia il regno formato da tutti i popoli.
Ruperto di Deutz (circa 1075-1130), monaco benedettino
Commento sul Vangelo di Giovanni, libro 10 ; PL 169, 646 ss.
« Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi »
«Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno, disse loro: ’Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera.’ Questo però non lo disse da se stesso...»
Cosa significano queste parole: «Questo non lo disse da se stesso» se non che Caifa non traeva questa parola dal suo spirito? In verità, prima che Caifa fosse, già era stata pronunciata questa parola: «Gesù deve morire per il popolo». Sì, questa parola era stata rivelata ai santi profeti, anzi era stata pronunciata prima che i profeti fossero venuti al mondo, prima che Abramo avesse ricevuto l’esistenza, prima che Adamo fosse stato plasmato. Questa parola era già nella volontà del Padre quando dichiarò: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza» (Gen 1,26). Fu detto allora che Gesù doveva morire per il popolo.
Caifa non disse dunque questo di sua iniziativa. Ma «poiché era sommo sacerdote in quell’anno, profetizzò.» E che cosa? ... Che occorreva che uno solo, un solo uomo, il Santo dei santi, il Sole di giustizia, Gesù Cristo, morisse per il popolo, e non soltanto per il popolo nato da Abramo, ma anche per tutti coloro che Dio aveva predestinati, fin dalla creazione del mondo, ad essere suoi figli adottivi (cfr Ef 1,5). Erano stati scacciati fuori dal Paradiso originale e dispersi ai quattro venti del mondo; occorreva radunarli da tutta la massa dell’umanità, fino all’ultimo eletto.
Commento sul Vangelo di Giovanni, libro 10 ; PL 169, 646 ss.
« Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi »
«Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno, disse loro: ’Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera.’ Questo però non lo disse da se stesso...»
Cosa significano queste parole: «Questo non lo disse da se stesso» se non che Caifa non traeva questa parola dal suo spirito? In verità, prima che Caifa fosse, già era stata pronunciata questa parola: «Gesù deve morire per il popolo». Sì, questa parola era stata rivelata ai santi profeti, anzi era stata pronunciata prima che i profeti fossero venuti al mondo, prima che Abramo avesse ricevuto l’esistenza, prima che Adamo fosse stato plasmato. Questa parola era già nella volontà del Padre quando dichiarò: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza» (Gen 1,26). Fu detto allora che Gesù doveva morire per il popolo.
Caifa non disse dunque questo di sua iniziativa. Ma «poiché era sommo sacerdote in quell’anno, profetizzò.» E che cosa? ... Che occorreva che uno solo, un solo uomo, il Santo dei santi, il Sole di giustizia, Gesù Cristo, morisse per il popolo, e non soltanto per il popolo nato da Abramo, ma anche per tutti coloro che Dio aveva predestinati, fin dalla creazione del mondo, ad essere suoi figli adottivi (cfr Ef 1,5). Erano stati scacciati fuori dal Paradiso originale e dispersi ai quattro venti del mondo; occorreva radunarli da tutta la massa dell’umanità, fino all’ultimo eletto.