venerdì 18 ottobre 2013

Giornata europea contro la tratta di esseri umani.




 La drammatica realtà del Messico



Si celebra oggi l’ottava Giornata europea contro la Tratta di esseri umani. In questa occasione, "Soleterre onlus" pubblica un Rapporto sulla tratta dei migranti in Messico, per sensibilizzare l’Italia sulle continue violazioni dei loro diritti umani. Soleterre denuncia soprattutto la grave situazione dei minori: si parla di 20 mila bambini vittime di tratta ogni anno. In Messico, è la denuncia, i piccoli migranti sono ad alto rischio.  Valentina Valfrè, coordinatrice del Rapporto:

R. – Sono sempre più le bambine che finiscono nel circolo della tratta e del traffico, ma in particolare dello sfruttamento sessuale, e non solo. [Vengono rapiti] anche per poter chiedere un riscatto alle loro famiglie, usano poi i bambini anche per attirare altri migranti. Vengono rapiti, chiusi in quelle che chiamano “case di sicurezza”, costretti a dare il numero di telefono delle famiglie affinché le famiglie paghino il riscatto e solo allora – forse – li lasciano andare.

D. – Che tipo di violenze subiscono questi bimbi?

R. – Guarda, di tutti i tipi. Come gli adulti, ma in più vengono usato come schiavi sessuali, quindi fatti lavorare – soprattutto le bambine – nei bordelli… C’è un altissimo tasso di lavoro minorile in Messico, e quindi vengono impiegati anche nel settore agricolo.

D. – Quanti di questi bambini potranno essere salvati?

R. – Il problema è che spesso finiscono nelle maglie dell’Istituto della migrazione. Quindi, vengono fermati, tenuti in questi posti al confine tra uno Stato federale e l’altro, e nella maggior parte dei casi vengono rimpatriati, anche nel caso in cui abbiano difficoltà familiari, cioè una situazione molto brutta alle spalle. Quindi, anche qualora fossero “salvati”, nel senso che vengano salvati dai trafficanti, nella maggior parte dei casi poi succede che appena tornano a casa, ripartano. Io, per esempio, ho incontrato nella Casa del migrante di […] questo ragazzino di 16 anni, Manuel. Era la terza volta – mi raccontava – che passava il confine. E diceva: “Non c’è nessun problema: tu paghi il trafficante e lui ti porta di qua”. E lui lo dice con una naturalezza sconvolgente…

D. – Parliamo del confine con gli Stati Uniti?

R. – In questo caso, no: parliamo del confine tra Guatemala e Messico. In questo momento, secondo i dati che noi abbiamo, il confine sud è forse il confine più pericoloso. Molti pensano sempre al confine nord, quindi al famoso muro tra gli Stati Uniti e il Messico. In realtà, il confine sud in questo momento – forse anche perché è meno visibile – è quello dove veramente succedono le cose peggiori. Ci dicono le Associazioni che lavorano con i migranti che praticamente tra tutti i centramericani che cercano di dirigersi verso il Messico, solamente il 20% arriva: l’80% si perde, il che vuol dire che o torna indietro, o viene sequestrato o viene ucciso o finisce nella tratta per sfruttamento sessuale… Quel confine, nella prima parte – quindi ancora prima di arrivare a Città del Messico – è quello dove in questo momento stanno succedendo le cose peggiori, dove i bambini sono ancora più vulnerabili. L’obiettivo, tendenzialmente, è quello di dirigersi verso gli Stati Uniti. Il problema è che la maggior parte di loro non arriva nemmeno all’altezza di Città del Messico…

D. – Queste bande che si occupano della tratta e che sono così prive di scrupoli nei confronti di bambini e bambine, chi sono?

R. – E’ il crimine organizzato: sono gli stessi gruppi che gestiscono il traffico di droga e il traffico di armi. Quindi, parliamo in primo luogo dei Los Zetas o del cartello di Sinaloa. Quello dei migranti è un traffico che genera un flusso di denaro e di liquidità altissimo ed è lì che loro hanno trovato il business, per cui a loro interessa che ci siano delle politiche repressive e quindi che i migranti centramericani siano clandestini. Questo significa che nel momento in cui entrano in Messico sono vulnerabili e questo fa comodo prima di tutto ai gruppi del crimine organizzato.

D. – Che tipo di azione di contrasto c’è? Le autorità messicane in che modo intervengono? Voi denunciate, nel Rapporto, anche le violenze commesse nelle stazioni migratorie controllate dalle forze dell’ordine…

R. – Esattamente, sì. Ma, le forze dell’ordine sono le prime: sono il primo interlocutore che i migranti trovano nel momento in cui passano la frontiera. Infatti, la frontiera riescono a passarla grazie al trafficante che, di solito, li ha contattati nel Paese d’origine. Dopo di che, devono pagare una serie di dazi. I primi a cui pagano questi dazi sono le autorità di frontiera che li derubano, li minacciano, tolgono loro tutto quello che hanno. Prima ancora dei gruppi del crimine organizzato, ci sono le autorità: in Messico c’è un livello di corruzione altissimo.

D. – All’Italia e all’Europa, in generale, cosa chiedete?

R. – Che i governi si parlino e cerchino di pensare ad una politica sulla migrazione che sia comune. E’ un problema globale! Per cui, sicuramente pensare a politiche che in tutti i Paesi possano per lo meno aiutare immediatamente le categorie più vulnerabili, in primo luogo i minori e le donne. In Messico, ad esempio, il minore non accompagnato viene rimpatriato come un adulto, cosa che per esempio in Italia – per fortuna! – non avviene.
Radio Vaticana 

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La schiavitù non è un problema dell'Occidente
di Stefano Magni

Il nuovo Indice Globale della Schiavitù è stato pubblicato ieri dalla Ong australiana Walking Free Foundation. È basato su dati raccolti dall’Unicef e dal rapporto ufficiale statunitense sul traffico di esseri umani. Scopre molti altarini del pensiero politicamente corretto. Scopriamo, infatti, che l’Occidente cristiano non ha nulla a che vedere con la schiavitù. Che il più gran numero di schiavi li ha l’India. Che il Paese con la più alta densità di servitù forzata (rispetto alla popolazione) è la Mauritania. Che fra i Paesi più liberi dal triste fenomeno c’è, assieme a Irlanda e Islanda, anche il Regno Unito, spesso additato come il primo responsabile della antica tratta degli schiavi destinata all’America.
C’era una volta la Conferenza Contro il Razzismo di Durban, conclusasi, con un nulla di fatto, l’8 settembre 2001, tre giorni prima il fatidico 11 settembre. A Durban, i Paesi africani si misero d’accordo per chiedere ai Paesi europei di ammettere la colpa della tratta degli schiavi, l’abominevole mercato di esseri umani attraverso l’Atlantico che si concluse definitivamente solo nel 1865, con la fine della Guerra Civile Americana e l’emancipazione degli schiavi negli Stati Uniti. Gli europei dissero “no”, non riconobbero la colpa, non accettarono neppure di discutere un possibile risarcimento e gli intellettuali occidentali si stracciarono le vesti. Tuttora, l’intellighenzia europea e americana vede la schiavitù come un fenomeno tipicamente occidentale e cristiano, a cui solo il presidente Lincoln pose termine, nel 1865 appunto. La cinematografia dell’era Obama segue questo filone e due film belli e forti, come Django (di Quentin Tarantino) e Lincoln (di Steven Spielberg) mettono di nuovo il dito nella piaga: fino all’altro ieri (150 anni fa) noi avevamo gli schiavi importati dall’Africa.
Ma la schiavitù è un problema europeo? No. Non solo non lo è più da un pezzo, ma non lo è neppure mai stato. La schiavitù moderna e contemporanea non ha origine in Europa, ma nell’Africa e nel Medio Oriente. Gli asiatici e gli arabi furono i più grandi mercanti di schiavi, gli africani i più grandi schiavizzatori e venditori di esseri umani. Gli europei, nel Medio Evo, avevano ancora forme di servitù molto ridotte e si buttarono nel “business” solo nell’era delle navigazioni atlantiche, quando si trovarono il terreno già preparato dagli altri: visto che le tribù costiere africane vendono schiavi, perché non approfittarne? Si tratta dunque di un fenomeno che non è nato in Europa e che dall’Europa è sparito completamente dopo pochi secoli. Nelle terre d’origine, invece, in Asia e in Africa è rimasto ancora. E le sue dimensioni sono preoccupanti.
I Paesi africani che, a Durban, chiedevano le scuse dell’Europa, sono fra i peggiori schiavisti contemporanei. Sui peggiori 50 Paesi del mondo, ben 38 sono africani, fra cui il Paese con il maggior problema di schiavismo nel mondo: la Mauritania, con i suoi 151mila schiavi su una popolazione complessiva di 3,8 milioni di abitanti. Il capofila degli accusatori di europei a Durban era lo Zimbabwe, che si classifica 45mo (su 162 Paesi) nell’Indice per densità di persone non libere, con circa 94mila schiavi sul suo territorio, su una popolazione di nemmeno 14 milioni di abitanti. L’altro capo-cordata di Durban era la Nigeria: ebbene, è al 48mo posto, con 701mila schiavi, su una popolazione di circa 169 milioni di abitanti. In termini assoluti, la Nigeria è quarto Paese al mondo per numero di schiavi.
Per schiavitù, fra l’altro, non si intende neppure “lavorare con salari da fame”, come si legge spesso nella propaganda no-global. L’Indice intende proprio: persone “trattate alla stregua di proprietà, dunque vendute, comprate, commerciate e anche distrutte”. A questa categoria aggiunge anche “persone il cui lavoro viene imposto con la minaccia della forza o con la coercizione” e vittime del “traffico di persone umane”, definito come: “il processo attraverso il quale le persone sono prelevate, tramite inganno o coercizione e ridotte in schiavitù, ai lavori forzati o altre gravi forme di sfruttamento”. Dunque di schiavitù si parla, senza mezzi termini. E l’Africa, assieme all’Asia, hanno la maglia nera mondiale in questo genere di “commercio”. L’Asia, in particolare, ospita il 72,7% degli schiavi in tutto il mondo. I Paesi con il più alto numero di schiavi (in assoluto, non in rapporto alla loro popolazione) sono l’India (14 milioni di persone), la Cina (circa 3 milioni), il Pakistan (2 milioni), la Nigeria, l’Etiopia (651mila) e persino la Russia (516mila).
La Russia non è un caso unico nel suo genere: l’Est ex comunista, proprio quel pezzo d’Europa che non partecipò mai alla tratta degli schiavi e marciò per decenni sulla propaganda sullo schiavismo e sul razzismo occidentali, oggi rappresenta il più grave problema europeo. La maglia nera nel Vecchio Continente, quanto a densità di schiavi, è detenuta dalla Moldavia, con più di 33mila persone ridotte alla servitù forzata su una popolazione di 3 milioni e mezzo di abitanti. Poi troviamo altri Paesi dell’Est europeo, fra cui l’Albania (11.372 schiavi), il Montenegro (2.234), la Repubblica Ceca (37.817), l’Ungheria (35.763) e la Bulgaria (27.739). Fa almeno piacere vedere che l’Italia è 132ma su 162 Paesi con 7.919 persone ridotte in schiavitù su una popolazione di 60 milioni. E, questa volta, essere in fondo a questa classifica, è un merito e un segno di civiltà.