venerdì 17 gennaio 2014

L’ottava parola del decalogo



Al centro del confronto. 


«Dio allora pronunciò tutte queste parole: Non ruberai» (Esodo, 20, 1-15). All’ottava parola del Decalogo è dedicata la diciottesima Giornata per l’approfondimento del dialogo tra cattolici ed ebrei. A presentare il tema sono stati il vescovo di Pistoia, Mansueto Bianchi, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana, e il rabbino Elia Enrico Richetti, presidente dell’Assemblea dei rabbini d’Italia. In un messaggio congiunto il presule e il rabbino hanno invitato a riflettere sulle «amplissime conseguenze per l’etica personale e pubblica» che derivano dall’attuazione del comandamento «non rubare» e hanno osservato: «La Scrittura in effetti dà larghissimo spazio agli insegnamenti che mirano a orientare tutta l’azione umana sulla via della rettitudine e dell’onestà, con un comportamento ispirato in modo armonico alla giustizia e alla carità».
La celebrazione della Giornata — che tradizionalmente precede la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani — è da sempre un momento di bilancio sullo stato dei rapporti. Nel loro messaggio congiunto, il vescovo e il rabbino hanno pertanto sottolineato come «la stima, l’amicizia, il dialogo e la collaborazione fraterna tra cristiani ed ebrei continuano a crescere, a cinquant’anni dal concilio Vaticano II che, con la dichiarazione conciliare Nostra aetate, ha aperto la via a nuove positive relazioni fra Chiesa e popolo ebraico».
In vista della celebrazione della Giornata — molte iniziative, di comune accordo con le autorità religiose del mondo ebraico, sono state anticipate a giovedì 15 — è stato approntato uno speciale sussidio in cui vengono affrontati numerosi temi, dalla giustizia alla misericordia: «Ciascun uomo e donna e l’umanità nel suo insieme sono corresponsabili del benessere collettivo e sociale e dell’equilibrio ecologico globale in virtù di un vincolo di solidarietà che risale al piano originario dell’amorevole Padre di tutti». Lo sguardo delle comunità di fede è rivolto alle categorie «più deboli e sfortunate, come lo straniero, l’orfano, la vedova, il levita, il malato». Sono e devono essere loro «i primi destinatari di questa benevolenza generosa» secondo la logica della «reciprocità e della compassione».
Rispetto alla situazione italiana Bianchi e Richetti parlano di relazioni che «si sono fatte più strette, incoraggiate dagli incontri nel Tempio Maggiore degli ebrei romani, tra Giovanni Paolo II e il rabbino capo Elio Toaff nel 1986, e tra Benedetto XVI e il rabbino capo Riccardo Di Segni nel 2010, con il contributo di molti gruppi di amicizia ebraico-cristiana».
Alla situazione italiana ha fatto riferimento anche il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche in Italia, Renzo Gattegna, nel corso della presentazione degli eventi previsti per il Giorno della memoria (per ricordare la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio 1945) patrocinati dal Comitato di coordinamento per le celebrazioni in ricordo della Shoah, istituito presso la presidenza del Consiglio dei ministri. Per Gattegna, sul fronte della lotta alla xenofobia e all’antisemitismo «l’Italia ha qualcosa da insegnare all’Europa». Infatti, ha precisato, «non diciamo che in Italia non ci siano pericoli. I pericoli ci sono e le forze oltranziste esistono. Come esistono gli episodi di intolleranza, di xenofobia e di antisemitismo. La reazione però della società italiana è più sana che in altri Paesi europei. La preoccupazione c’è ma quando si ottengono risultati per i quali si sta lavorando da anni, è bene riconoscerli». Il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche in Italia ha fatto riferimento in modo particolare ai segnali di preoccupazione che giungono dalla Francia dove «la Shoah e tutto ciò che riguarda argomenti per i quali nel passato si nutriva un rispetto totale, vengono attualmente portati nei teatri in spettacoli comici che hanno un effetto devastante perché portano a una banalizzazione di un tema in base al quale si qualifica la democrazia di un Paese». Con l’istituzione invece di una Giornata della memoria, l’Italia ha deciso di «puntare sull’educazione e sulla presa di coscienza soprattutto da parte dei giovani di ciò che è stato e che non si deve ripetere mai più. Si tratta di far entrare nelle coscienze degli anticorpi tali per cui qualora anche si verificassero certi episodi, la reazione sia pronta e coinvolgente».
L'Osservatore Romano