venerdì 11 luglio 2014

Aiutiamo la famiglia? Abbreviamo la scuola


Per far ripartire l’Italia a me sembra che bisognerebbe iniziare dalla famiglia e dalla scuola. Si parte dal principio, dalle fondamenta, e non dal tetto, se davvero si vuole impedire che questo paese finisca lentamente soffocato e ucciso.
Ripartire dalla famiglia, significa smettere, anzitutto, di farle guerra. Perché la famiglia che “funziona”, unita, e, se Dio concede, con figli, è il luogo in cui gli individui forgiano il proprio carattere, assorbono e vivono un clima di solidarietà, collaborazione, capacità di stare insieme, di sacrificarsi, di progettare e molto altro. Due genitori sono, per forza di cose, persone che progettano, che considerano
il presente come la preparazione del futuro dei loro figli. Per essi spendono in modo oculato e produttivo (vedi investimento per decenni delle famiglie italiane nel mattone) e risparmiano (senza questo stesso risparmio la crisi ci avrebbe travolto).
La famiglia è il luogo principale dell’educazione, ma anche del welfare: dove c’è una casa familiare c’è sempre un posto in più, per il figlio disoccupato, per il nonno malato… Ed è anche il luogo in cui la solidarietà e il dialogo investono tutte le età, tutti i ruoli e tutti i sessi. Una simile ricchezza di esperienze educative è impossibile altrove. Eppure la famiglia è il nemico principale della cultura nichilista e dello Stato italiano. A partire dall’introduzione del divorzio, con tutto ciò che esso significa in fatto di sofferenza dei figli, di vite spezzate, di suicidi, omicidi passionali e quant’altro. Raramente mi capita, come insegnante, di vedere i figli del divorzio eccellere nello studio, nella concentrazione, nella voglia di vivere, nella capacità di progettare serenamente il loro futuro. Qualcuno, di norma e senza voler entrare nei casi specifici, li ha traditi da piccoli; sono stati feriti troppo presto; non è stato insegnato loro che nella vita vi sono certezze, valori per cui lottare, affetti da custodire e preservare ad ogni costo (ciò non toglie che vi siano ragazzi che hanno tanto sofferto e che trasformano questo in una marcia in più).
Poi la legalizzazione dell’aborto, con cui l’Italia uccide i suoi figli, invecchia e si auto-distrugge. Siamo un popolo di anziani, spesso da mantenere negli ospizi o con le badanti, con una spesa sanitaria che non può che salire di continuo, in relazione alla crescita dell’età media e della solitudine galoppante. L’Italia è il paese in cui conviene divorziare o fingere di farlo, per sfuggire a qualche gabella; in cui se si compera una casa, si viene rapinati all’acquisto e per tutta la vita, mentre nulla viene chiesto se si spendono i soldi al casinò; in cui la maternità non ha alcuna protezione giuridica ed economica di qualche serietà e per i figli a carico non esistono seri sgravi fiscali… In cui, ormai, l’assumersi una responsabilità con il matrimonio e l’essere capaci di generare vita sono visti, causa anche l’introduzione dell’ideologia del gender, come qualcosa di negativo. Eppure, in un paese così ridotto, senza giovani e senza futuro, la famiglia viene minata sin dall’asilo, attraverso l’introduzione di opuscoli propagandistici dell’ideologia gay, ed educatori che incitano i bambini al sesso solipsistico e alle perversioni più svariate. Un incitamento precoce che ad altro non serve se non a minare ancora di più la crescita equilibrata dei bambini, e la loro capacità di comprendere la ricchezza insita nella tanto odiata diversità e complementarietà tra uomo e donna.
Asilo, dunque, e scuola. L’importanza della scuola, purtroppo, è crescente anche a causa del graduale scomparire delle famiglie, che, o non sono più alle spalle dei loro figli, o sempre più spesso latitano e delegano. Agli insegnanti oggi tocca essere, spesso, coloro che insegnano non solo l’analisi logica e la matematica, ma anche l’educazione, il rispetto delle cose e del prossimo, delle regole più elementari… Questa scuola è da troppi anni bloccata e lasciata solo alle buone intenzioni dei docenti. A cui da troppo tempo, al posto del tradizionale concorso in seguito al quale ognuno sapeva che fare del suo futuro dopo la laurea, vengono imposti, per l’assunzione, lunghi e frustranti percorsi abilitanti di totale inutilità. Tantissimo, anche nella scuola, andrebbe cambiato, ma soprattutto occorrerebbero ridurre gli anni di studio. Non è possibile che oggi un giovane possa accedere al lavoro solo dopo 5 anni di elementari, 3 di medie, 5 di liceo, 5 di università ed altri anni ancora per specializzazioni, master, tirocini… Arrivano nel mondo del lavoro persone che hanno già passato sui banchi gli anni migliori della loro giovinezza; uccidiamo così l’entusiasmo, l’apertura mentale, la capacità di studio e di azione dei ventenni. E come se congelassimo a bell’apposta il pesce fresco, per mangiarlo scongelato.
La scuola del futuro deve essere più seria e più breve: 5 anni di elementari più 2 di medie, 4 di superiori e 3 di università. O qualcosa di simile. Allora avremo giovani lanciati nel mondo del lavoro al culmine del loro slancio giovanile, e permetteremo loro di avere dei progetti: lavorativi e familiari. Perché anche la vita effettiva ha le sue esigenze temporali, e non vi è nulla di più nocivo che mantenere i giovani in un precariato lavorativo che favorisca il precariato e l’immaturità affettivi. 
F. Agnoli, Il Foglio, 10/7/2014