Per far ripartire l’Italia a me sembra che bisognerebbe iniziare dalla famiglia e dalla scuola. Si parte dal principio, dalle fondamenta, e non dal tetto, se davvero si vuole impedire che questo paese finisca lentamente soffocato e ucciso.
Ripartire dalla famiglia, significa smettere, anzitutto, di farle guerra. Perché la famiglia che “funziona”, unita, e, se Dio concede, con figli, è il luogo in cui gli individui forgiano il proprio carattere, assorbono e vivono un clima di solidarietà, collaborazione, capacità di stare insieme, di sacrificarsi, di progettare e molto altro. Due genitori sono, per forza di cose, persone che progettano, che considerano
Ripartire dalla famiglia, significa smettere, anzitutto, di farle guerra. Perché la famiglia che “funziona”, unita, e, se Dio concede, con figli, è il luogo in cui gli individui forgiano il proprio carattere, assorbono e vivono un clima di solidarietà, collaborazione, capacità di stare insieme, di sacrificarsi, di progettare e molto altro. Due genitori sono, per forza di cose, persone che progettano, che considerano
il presente come la preparazione del futuro dei loro figli. Per essi spendono in modo oculato e produttivo (vedi investimento per decenni delle famiglie italiane nel mattone) e risparmiano (senza questo stesso risparmio la crisi ci avrebbe travolto).
La famiglia è il luogo principale dell’educazione, ma anche del welfare: dove c’è una casa familiare c’è sempre un posto in più, per il figlio disoccupato, per il nonno malato… Ed è anche il luogo in cui la solidarietà e il dialogo investono tutte le età, tutti i ruoli e tutti i sessi. Una simile ricchezza di esperienze educative è impossibile altrove. Eppure la famiglia è il nemico principale della cultura nichilista e dello Stato italiano. A partire dall’introduzione del divorzio, con tutto ciò che esso significa in fatto di sofferenza dei figli, di vite spezzate, di suicidi, omicidi passionali e quant’altro. Raramente mi capita, come insegnante, di vedere i figli del divorzio eccellere nello studio, nella concentrazione, nella voglia di vivere, nella capacità di progettare serenamente il loro futuro. Qualcuno, di norma e senza voler entrare nei casi specifici, li ha traditi da piccoli; sono stati feriti troppo presto; non è stato insegnato loro che nella vita vi sono certezze, valori per cui lottare, affetti da custodire e preservare ad ogni costo (ciò non toglie che vi siano ragazzi che hanno tanto sofferto e che trasformano questo in una marcia in più).
Poi la legalizzazione dell’aborto, con cui l’Italia uccide i suoi figli, invecchia e si auto-distrugge. Siamo un popolo di anziani, spesso da mantenere negli ospizi o con le badanti, con una spesa sanitaria che non può che salire di continuo, in relazione alla crescita dell’età media e della solitudine galoppante. L’Italia è il paese in cui conviene divorziare o fingere di farlo, per sfuggire a qualche gabella; in cui se si compera una casa, si viene rapinati all’acquisto e per tutta la vita, mentre nulla viene chiesto se si spendono i soldi al casinò; in cui la maternità non ha alcuna protezione giuridica ed economica di qualche serietà e per i figli a carico non esistono seri sgravi fiscali… In cui, ormai, l’assumersi una responsabilità con il matrimonio e l’essere capaci di generare vita sono visti, causa anche l’introduzione dell’ideologia del gender, come qualcosa di negativo. Eppure, in un paese così ridotto, senza giovani e senza futuro, la famiglia viene minata sin dall’asilo, attraverso l’introduzione di opuscoli propagandistici dell’ideologia gay, ed educatori che incitano i bambini al sesso solipsistico e alle perversioni più svariate. Un incitamento precoce che ad altro non serve se non a minare ancora di più la crescita equilibrata dei bambini, e la loro capacità di comprendere la ricchezza insita nella tanto odiata diversità e complementarietà tra uomo e donna.
Asilo, dunque, e scuola. L’importanza della scuola, purtroppo, è crescente anche a causa del graduale scomparire delle famiglie, che, o non sono più alle spalle dei loro figli, o sempre più spesso latitano e delegano. Agli insegnanti oggi tocca essere, spesso, coloro che insegnano non solo l’analisi logica e la matematica, ma anche l’educazione, il rispetto delle cose e del prossimo, delle regole più elementari… Questa scuola è da troppi anni bloccata e lasciata solo alle buone intenzioni dei docenti. A cui da troppo tempo, al posto del tradizionale concorso in seguito al quale ognuno sapeva che fare del suo futuro dopo la laurea, vengono imposti, per l’assunzione, lunghi e frustranti percorsi abilitanti di totale inutilità. Tantissimo, anche nella scuola, andrebbe cambiato, ma soprattutto occorrerebbero ridurre gli anni di studio. Non è possibile che oggi un giovane possa accedere al lavoro solo dopo 5 anni di elementari, 3 di medie, 5 di liceo, 5 di università ed altri anni ancora per specializzazioni, master, tirocini… Arrivano nel mondo del lavoro persone che hanno già passato sui banchi gli anni migliori della loro giovinezza; uccidiamo così l’entusiasmo, l’apertura mentale, la capacità di studio e di azione dei ventenni. E come se congelassimo a bell’apposta il pesce fresco, per mangiarlo scongelato.
La famiglia è il luogo principale dell’educazione, ma anche del welfare: dove c’è una casa familiare c’è sempre un posto in più, per il figlio disoccupato, per il nonno malato… Ed è anche il luogo in cui la solidarietà e il dialogo investono tutte le età, tutti i ruoli e tutti i sessi. Una simile ricchezza di esperienze educative è impossibile altrove. Eppure la famiglia è il nemico principale della cultura nichilista e dello Stato italiano. A partire dall’introduzione del divorzio, con tutto ciò che esso significa in fatto di sofferenza dei figli, di vite spezzate, di suicidi, omicidi passionali e quant’altro. Raramente mi capita, come insegnante, di vedere i figli del divorzio eccellere nello studio, nella concentrazione, nella voglia di vivere, nella capacità di progettare serenamente il loro futuro. Qualcuno, di norma e senza voler entrare nei casi specifici, li ha traditi da piccoli; sono stati feriti troppo presto; non è stato insegnato loro che nella vita vi sono certezze, valori per cui lottare, affetti da custodire e preservare ad ogni costo (ciò non toglie che vi siano ragazzi che hanno tanto sofferto e che trasformano questo in una marcia in più).
Poi la legalizzazione dell’aborto, con cui l’Italia uccide i suoi figli, invecchia e si auto-distrugge. Siamo un popolo di anziani, spesso da mantenere negli ospizi o con le badanti, con una spesa sanitaria che non può che salire di continuo, in relazione alla crescita dell’età media e della solitudine galoppante. L’Italia è il paese in cui conviene divorziare o fingere di farlo, per sfuggire a qualche gabella; in cui se si compera una casa, si viene rapinati all’acquisto e per tutta la vita, mentre nulla viene chiesto se si spendono i soldi al casinò; in cui la maternità non ha alcuna protezione giuridica ed economica di qualche serietà e per i figli a carico non esistono seri sgravi fiscali… In cui, ormai, l’assumersi una responsabilità con il matrimonio e l’essere capaci di generare vita sono visti, causa anche l’introduzione dell’ideologia del gender, come qualcosa di negativo. Eppure, in un paese così ridotto, senza giovani e senza futuro, la famiglia viene minata sin dall’asilo, attraverso l’introduzione di opuscoli propagandistici dell’ideologia gay, ed educatori che incitano i bambini al sesso solipsistico e alle perversioni più svariate. Un incitamento precoce che ad altro non serve se non a minare ancora di più la crescita equilibrata dei bambini, e la loro capacità di comprendere la ricchezza insita nella tanto odiata diversità e complementarietà tra uomo e donna.
Asilo, dunque, e scuola. L’importanza della scuola, purtroppo, è crescente anche a causa del graduale scomparire delle famiglie, che, o non sono più alle spalle dei loro figli, o sempre più spesso latitano e delegano. Agli insegnanti oggi tocca essere, spesso, coloro che insegnano non solo l’analisi logica e la matematica, ma anche l’educazione, il rispetto delle cose e del prossimo, delle regole più elementari… Questa scuola è da troppi anni bloccata e lasciata solo alle buone intenzioni dei docenti. A cui da troppo tempo, al posto del tradizionale concorso in seguito al quale ognuno sapeva che fare del suo futuro dopo la laurea, vengono imposti, per l’assunzione, lunghi e frustranti percorsi abilitanti di totale inutilità. Tantissimo, anche nella scuola, andrebbe cambiato, ma soprattutto occorrerebbero ridurre gli anni di studio. Non è possibile che oggi un giovane possa accedere al lavoro solo dopo 5 anni di elementari, 3 di medie, 5 di liceo, 5 di università ed altri anni ancora per specializzazioni, master, tirocini… Arrivano nel mondo del lavoro persone che hanno già passato sui banchi gli anni migliori della loro giovinezza; uccidiamo così l’entusiasmo, l’apertura mentale, la capacità di studio e di azione dei ventenni. E come se congelassimo a bell’apposta il pesce fresco, per mangiarlo scongelato.
La scuola del futuro deve essere più seria e più breve: 5 anni di elementari più 2 di medie, 4 di superiori e 3 di università. O qualcosa di simile. Allora avremo giovani lanciati nel mondo del lavoro al culmine del loro slancio giovanile, e permetteremo loro di avere dei progetti: lavorativi e familiari. Perché anche la vita effettiva ha le sue esigenze temporali, e non vi è nulla di più nocivo che mantenere i giovani in un precariato lavorativo che favorisca il precariato e l’immaturità affettivi.
F. Agnoli, Il Foglio, 10/7/2014