mercoledì 16 luglio 2014

Ecclesia facit saltus




(Iacopo Scaramuzzi) Il paragone più ardito è stato con Pio X. Il sottotesto, neppure tanto implicito, di un convegno organizzato in Vaticano a metà giugno, “Un Papa riformatore di fronte alle sfide del nuovo secolo”, è che Giuseppe Melchiorre Sarto non era poi così diverso da Jorge Mario Bergoglio. E di sicuro le leggende nere sono un po’ vigliacche. E certo il Pontefice passato alla storia come il nemico efferato del modernismo era anche uno zelante pastore, riformò la Curia dopo aver ereditato da Leone XIII uno spaventoso buco di bilancio, rifiutò pure la croce d'oro e pare non demonizzasse il tango. E comunque anche lui era Papa, anche lui stava in Vaticano, anche lui aveva due braccia...
Il confronto tra un Papa e i suoi predecessori è un genere letterario a sé stante. Inevitabile per un'istituzione monocratica. Sottolineare le similitudini aiuta a dimostrare che “ecclesia non facit saltus”.
C'è chi mette in risalto quelle tra Jorge Mario Bergoglio e Karol Wojtyla. Entrambi veraci, entrambi osteggiati dalla Curia. Ma il Papa argentino la pungola, la smonta, la riforma, quello polacco ci scese a patti e le delegò l’autogestione. Francesco e Benedetto XVI, al contrario, non potrebbero essere più diversi, ma l’elezione dell'uno non sarebbe avvenuta senza la rinuncia dell'altro. Con Paolo VI i punti in comune non mancano. Ma i fautori del parallelo con Montini sembrano augurare al pastore gesuita la fine dell'intellettuale bresciano, avviluppato nelle contraddizioni di un’epoca complicata dopo la luna di miele iniziale. Con Giovanni XXIII le analogie sono fin troppe. Bergoglio ha deciso di canonizzare Roncalli senza miracolo. La beatificazione di Pio XII, invece, è ferma: “Ancora non c'è nessun miracolo, e se non ci sono miracoli non può andare avanti”. Conservatori o riformisti, timidi o carismatici, sono tutti Papi, sì. Ma “ecclesia facit saltus”, eccome.
Jesus