giovedì 17 luglio 2014

I piccoli missionari di Kofale



Il  tweet di Papa Francesco: "La Chiesa è per sua natura missionaria: esiste perché ogni uomo e donna possa incontrare Gesù." (17 luglio 2014)

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L’annuncio del Vangelo sulle alture etiopi.

(Egidio Picucci) C’è voluta molta pazienza, ma l’iniziativa ha avuto successo. Parliamo di quanto è accaduto sulle alture etiopiche di Kofale, il luogo in cui i famosi e temibili maratoneti etiopi si allenano per le gare di atletica leggera cui partecipano (spesso vincendo) in tutto il mondo. Qui ci sono i verdi acrocori degli Oromo, folti di vegetazione che sul far del giorno gronda lacrime di rugiada. I monti svettano tutti sopra i duemila metri, un’altitudine quanto mai adatta a preparare gli scatti felini dei 100-200 e 400 metri o le distanze del mezzofondo, discipline in cui gli etiopi fanno ormai scuola.
Proprio a Kofale c’è una missione cattolica che appartiene alla prefettura apostolica di Robe, affidata al cappuccino Angelo Antolini. Parroco è il suo confratello padre Bernardo Coccia che vi lavora insieme a una piccola comunità di suore francescane missionarie di Cristo, impegnate nell’assistenza dei bambini e nella promozione della donna. La gente è religiosamente divisa tra ortodossi e musulmani, con una notevole prevalenza di questi ultimi; i cattolici sono lo 0,03 per cento, ma godono di una considerevole stima perché la Chiesa li ha formati secondo i principi del Vangelo: essere vicino ai poveri e rispetto per gli altri, compreso quello per le culture, le tradizioni e le lingue.
Da Kofale dipende il piccolo villaggio di Gode, in cui manca quasi tutto: acqua, energia elettrica, ospedale, scuola e chiesa: la gente, compresi i catecumeni, si riuniscono o all’ombra di un mango o sotto una tenda polivalente. Oltre alla catechesi, a padre Bernardo preme anche l’istruzione dei piccoli che parlano e capiscono solo la lingua oromo che egli ha imparato rapidamente sia studiandola sulla grammatica scritta a suo tempo da monsignor Guglielmo Massaja, sia alla scuola di un giovane oromo, prima ancora di arrivare fra la tribù.
Non sapendo a quale realtà appigliarsi per facilitare l’insegnamento dei piccoli, insieme alla suora ha trovato, finalmente, un metodo “fatto in casa”. Ha fatto disegnare dai bambini di Kofale e riunire in unico quaderno, piante, insetti, animali, utensili domestici, corredati dal nome oromo e da far colorare ai coetanei di Gode. Pare una cosa da nulla, ma ha richiesto un anno di lavoro attento e paziente. Al quaderno, il parroco e la suora hanno poi abbinato un secondo quaderno (un lavoro immane, considerando che si tratta di centinaia di quaderni) che riporta le immagini e le scene più comprensibili della Bibbia con didascalie in lingua oromo. L’intento è quello di servirsi della Bibbia per insegnare a leggere e a conoscere la Sacra Scrittura come si faceva un tempo, cioè con una piccola “Bibbia dei poveri” a portata di mano. La “catechesi” è stata affidata naturalmente ai piccoli cattolici che hanno accettato con entusiasmo e facendo un’evangelizzazione a tappeto, passando da una capanna all’altra con la spontaneità dei bambini e la serietà dei maestri.
L'Osservatore Romano