venerdì 4 luglio 2014

Obbedire rende felici!

Costanza Miriano invita i suoi lettori ad unirsi alla "compagnia dell'agnello"


Dopo lo straordinario successo di Sposati e sii sottomessa e Sposala e muori per lei, autentici casi letterari tra il 2011 e il 2012, con oltre 80mila copie vendute, Costanza Miriano ha ripreso a scalare le classifiche dei bestseller con il suo terzo libro Obbedire è meglio. Le regole della compagnia dell’agnello (Sonzogno, 2014).
Andando oltre i consueti temi della famiglia e dei rapporti uomo-donna, la Miriano si è soffermata sul desiderio umano di felicità, individuandone la chiave proprio nell’obbedienza, che non ha nulla a che vedere con l’azzeramento dello spirito critico, ma riguarda piuttosto la fedeltà alla propria vocazione (di moglie o di marito, ad esempio) da un lato, e alla natura e alla realtà, dall’altro.
Al contrario, tanto più l’essere umano diventa schiavo dei propri sentimenti e del proprio io, quanto più sarà irrequieto e frustrato.
Con la consueta ironia, Costanza Miriano descrive vari tipi di obbedienza. Questo atteggiamento non è mai unidirezionale ma comporta una reciprocità: si può obbedire alla società, alla vita, alla famiglia, al lavoro, agli amici, accettando i loro consigli. La moglie obbedisce al marito, così come il marito obbedisce alla moglie, i figli obbediscono ai genitori e perfino i genitori, per certi versi… obbediscono ai figli!
La “compagnia dell’agnello” menzionata nel titolo non è altro che l’insieme dei piccoli grandi eroi della vita quotidiana, uomini e donne che si rimboccano le maniche, che sfidano tutte le crisi, che riescono a crescere i loro figli, e che sono un esempio positivo per chiunque è intorno a loro.
A colloquio con ZENIT, la scrittrice ha raccontato lo spirito che anima il suo ultimo libro.
Il tuo primo libro era dedicato alle donne e alle mogli, il secondo agli uomini e ai mariti. Anche il terzo è rivolto ad un pubblico specifico?
Volevo un po’ uscire dai temi maschile-femminile dei miei primi due libri, in cui rischiavo di rimanere intrappolata. Il tentativo era molto ambizioso: una critica dell’antropologia contemporanea, secondo la quale l’uomo deve ascoltare se stesso e realizzare se stesso, mentre la proposta cristiana è fondamentalmente nella relazione con un Altro, con un Padre che ci ama. Il discorso ambizioso, quindi, era quello di riflettere su chi è l’uomo per noi cristiani e io ho cercato di farlo con un linguaggio divertente. Anzi, proprio perché dovevo parlare di croce, di fatica e di obbedienza, ho premuto più del solito l’acceleratore sugli aspetti ironici e divertenti che la vita e l’obbedienza, alla fine, portano alla luce, e sulla sproporzione tra quello che vogliamo e quello che viviamo.
Che differenza c’è tra la sottomissione e l’obbedienza?
In un altro passaggio San Paolo usa l’espressione “reciprocamente sottomessi” (cfr. Ef5,21), tuttavia nel primo libro facevo riferimento al desiderio di controllo femminile. L’obbedienza fa riferimento soprattutto al rapporto con Dio, quindi comporta un discorso diverso.
Cosa rappresenta la “compagnia dell’agnello”?
Sono i miei amici in Cristo, fratelli nella fede, persone che mi hanno mostrato la bellezza dell’obbedienza in situazioni difficili, alla fatica, alla propria chiamata, alla propria vocazione. Io credo che abbiamo bisogno della Chiesa, di una compagnia, di un’amicizia, per vedere che quello che ci viene richiesto non è impossibile, ma anche di qualcuno che ci testimoni che è bello vivere questo.
Se fosse stato sufficiente mandarci un libro o una lettera, Gesù non avrebbe fondato la Chiesa, anzi avrebbe scritto Lui stesso direttamente. Invece i Vangeli sono nati da un passaparola, dalla necessità di raccontare. Dio non ci dà delle “istruzioni per l’uso” disincarnate ma ci mette sempre accanto delle persone che incarnano una strada possibile, con tutti i limiti, i peccati, le debolezze e le cadute. Quindi, tutto quello che ho imparato, l’ho visto prima vivere da altri: le madri, le spose, chi segue i metodi naturali, chi accoglie i figli… Ho sempre visto fare queste cose e vedere la felicità di altre persone mi ha in qualche modo provocato.
La notorietà ti ha fatto guadagnare molte nuove amicizie. Cosa rappresenta per te l’amicizia?
Proprio oggi riflettevo sul fatto che forse ho perso qualche vecchio amico. È difficile gestire tutto e probabilmente avere così tanti amici ti fa perdere, non dico la profondità ma quantomeno la consuetudine nei vecchi rapporti e di questo un po’ mi dispiace. Il dono più grande, però, è quello di avere conosciuto – attraverso i miei libri – molte persone significative, belle e importanti. In loro ho visto la carità dei cristiani in atto nei miei confronti e anche tra di loro. Ho sperimentato quanto l’amicizia tra cristiani sia una cosa significativa. Dall’amicizia non si può prescindere, bisogna viverla, incarnarla, condividere, spezzare il pane insieme, perché è importantissimo vedere che altri fratelli stanno vivendo la tua fatica o la tua difficoltà.
Il tuo successo come scrittrice ti ha mai esposto a tentazioni (ad esempio la vanità)?
Sicuramente. Tutto quello che ho scritto, penso sia credibile nella misura in cui l’ho vissuto nella fedeltà al mio quotidiano, a tutto quello che ho fatto negli anni della fatica, quando avevo i bambini piccoli. Poi mi sono un po’ goduta la vita e c’è stato il rischio delle lusinghe – non tanto del successo, perché con i libri non si diventa ricchi, in compenso hai tante soddisfazioni – il rischio di perdere il contatto con la propria realtà e la propria misura. Quindi mi sono posta il problema se mollare o aggiustare il tiro. Scrivo perché mi gratifica ma anche perché è un servizio. Mi rendo conto che c’è bisogno di questo servizio nella Chiesa: vedere persone normali che cercano di portare un po’ di allegria e di buonumore. Credo ci sia del bene anche nel rischio del male.
L. Marcolivio

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«DIVENTARE AGNELLI È L'UNICO MODO PER FERMARE IL MALE ED ESSERE FELICI»

04/07/2014  Ne è convinta Costanza Miriano che dopo i bestseller sul matrimonio, "Sposati e sii sottomessa" e "Sposala e muori per lei", torna in libreria con "Obbedire è meglio" (Sonzogno) in cui racconta la Compagnia dell'Agnello: persone normali, eroi del quotidiano, che riescono ad essere felici pur nelle difficoltà della vita. Il loro segreto? «Hanno capito Chi ascoltare», dice l'autrice, «e che noi, da soli, siamo difettosi e non funzioniamo bene»


di A. Sanfrancesco (Famiglia Cristiana)
Forse è proprio vero che ognuno di noi si rivela per quello che è nell’azione. Non quando riflette o pensa o compie imprese mirabolanti ma quando agisce nel concreto della vita di tutti i giorni: fosse pure lavare i piatti, fare shopping o aggiustare il rubinetto. Gli antropologi la chiamano esperienza.
Non esiste, però, l’esperienza dell’uomo in generale ma l’esperienza di Marta, Lucia, Teresa, Cristiana, Angelo. Sono loro i protagonisti di Obbedire è meglio (Sonzogno, pp. 176, € 15) l’ultimo libro diCostanza Miriano che dopo i best seller Sposati e sii sottomessa, per il quale in Spagna s’è beccata l’accusa di incitamento alla prevaricazione sulla donna, e Sposala e muori per lei torna in libreria per raccontare la sua Compagnia dell’Agnello. Partendo proprio dalla vita quotidiana e dal suo mix di angoscia e dolcezza, figli da accudire e problemi, lievi e pesanti, da affrontare.

Costanza, perché obbedire è meglio?

«La frase è tratta dal libro di Samuele, “Obbedire è meglio del sacrificio”, perché si tratta di obbedire a un Padre che ci ama e quindi quello che ci chiede non è mai una fregatura ma è qualcosa per la nostra felicità. Prendiamo i dieci comandamenti: sono dieci parole di vita. Il mio non è un elogio dell’obbedienza tout court, agli ordini in assoluto, ma all’ordine giusto. Quello di Dio».

Ma i componenti della Compagnia dell’Agnello sono supereroi? 

«No, sono persone vere, normalissime. Nessuna storia è inventata, purtroppo non ho questa fantasia. Sono persone che mi fanno vedere ogni giorno, attraverso la loro amicizia e vicinanza, questa obbedienza nella loro vita, la loro “agnellitudine” contagiosa. Spesso obbediscono a realtà anche faticose e laceranti: malattie dei figli, ristrettezze economiche, un lavoro impegnativo e difficile o che non c’è proprio. Mi fanno vedere, pur nel limite e nella contraddizione, ce la fanno e che non solo è possibile obbedire ma anche essere felici. Sono persone che mi hanno mostrato con la loro vita che si può anche porgere il collo mitemente e lasciarsi fare del male, non perché siano scemi o masochisti ma perché hanno deciso di non entrare in risonanza col male degli altri e di non permettere che questo male, ripartendo ingrossato dalla nostra reazione, si moltiplichi. Sono amici con cui spesso ci frequentiamo e ci incoraggiamo a vicenda sulla nostra esperienza, sulla fatica e la bellezza di stare al proprio posto, a combattere giorno per giorno nel pezzetto di trincea che ci è stato assegnato».

Quali virtù bisogna praticare per “entrare” nella Compagnia?
«Non è questione di virtù. Prima si tratta di capire quello che ti rende veramente felice. Se uno capisce questo, non deva fare uno sforzo di volontà ma semplicemente aderire. Perché è un’adesione che conviene, che è vantaggiosa per se stessi. Prima bisogna comprendere, poi vengono le virtù per attuare ciò che si è compreso: la mitezza, la mansuetudine, l’umiltà del cuore, la docilità. L’agnello è quello che porge il collo ma lo fa in maniera elegante, non si lamenta come il maiale quando viene scannato. Ecco, obbedire è porgere il collo al quotidiano che spesso è noioso e pesante e a volte colpisce duro. Non è questione di essere docili all’autobus che non passa, queste sono sciocchezze, ma, ad esempio, al marito che ti abbandona con tre figli e se ne va, allo scoprire la malattia del figlio, al tumore che ti sorprende mentre sei incinta, come dimostrano i protagonisti delle storie che racconto. Eppure, come diceva Michelangelo, la bellezza si realizza per via di “levare”, togliendo qualcosa. Anche noi nel nostro blocco di marmo abbiamo una bellezza nascosta che a volte il Signore tira fuori piano piano, con dolcezza, a volte con dei colpi di scalpellino più forti e dolorosi».
Caravaggio, Sacrificio di Isacco, Galleria degli Uffizi, Firenze
Caravaggio, Sacrificio di Isacco, Galleria degli Uffizi, Firenze

Qual è il premio per chi obbedisce? La felicità o la libertà? 
«La vera, unica schiavitù è quella del peccato e quindi la vera libertà è essere liberi dal peccato. Paradossalmente, come diceva don Giussani, la nostra libertà è la cosa a cui Dio tiene più in assoluto, anche più della nostra stessa salvezza. Certo, essere liberi è una grande responsabilità. Personalmente tendo a dire la felicità ma le due cose non sono separate. Gesù è stato chiaro: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”».

Ti definisci più che scrittrice traduttrice degli insegnamenti della Chiesa. Come mai?
«Perché è quello che faccio. Mi piacerebbe aver inventato delle storie o creato dei personaggi romanzeschi ma io mi limito a tradurre in un linguaggio semplice e comprensibile tutte quelle cose che ho sentito in tante occasioni: colloqui con il mio padre spirituale, omelie, ritiri spirituali, per farle arrivare a chi non ha dimestichezza con queste cose. Ho cercato di infilare nel libro la vita quotidiana, a volte sottolineando anche gli aspetti più frivoli, accentuandoli magari, perché ho pensato che così avrei potuto raggiungere  un maggior numero di persone. Insomma, si comprare una bellissima giacca di Chanel e leggere Elle, anche se non si condivide la filosofia, e Sant’Agostino senza apparire schizofrenici».

Anche tra i cattolici c’è quest’idea che la fede è rinuncia a tutto, anche ai piccoli piaceri quotidiani.
«Il Nemico ha sempre dimostrato di avere scarsa fantasia. Dall’Eden in poi, la strategia è sempre la stessa: dire che Dio ti vuole togliere tutto, anche i piaceri. Io credo invece che alla fine tutto ti viene restituito anche se c’è sempre una potatura dolorosa. Non a caso la Chiesa con papa Francesco sta insistendo molto su questo: far conoscere la misericordia e l’amore del Padre. Se uno sente parlare, avverte concretamente questo amore ed è consapevole di essere amato, è più facile che obbedisca e non dica: “Faccio da solo”. Ne ho tanti di amici così, è la cultura prevalente oggi: pensare che tutto si può decidere in base a come ti senti, non volere che ci sia nulla sopra di te. Anche alla base dell’ideologia del gender c’è un rifiuto radicale, a partire dalla propria identità sessuale, Per questo il Papa sta sottolineando il discorso della misericordia più che dei principi non negoziabili perché ha capito che il mondo non ci sente da quell’orecchio. I veggenti di Medjugorje riferiscono che la Madonna raccomanda sempre di non dire i “non credenti” ma di “coloro che non hanno conosciuto l’amore di Dio”. Curioso, no?».

Nel libro tu scrivi: “Solo se sai di essere cattivo perdoni e non gridi i tuoi diritti”. Che significa? L’obbedienza per un cristiano passa dall’accettazione del limite, del peccato?

«Sì. Il mondo, dal buon selvaggio in poi, crede che l’uomo sia sostanzialmente buono e che non ha bisogno di essere aiutato, scolpito, redento, diremmo noi cattolici. Oggi si pensa che basta fare la raccolta differenziata o mangiare biologico per risolvere la questione. Invece il Vangelo ci dice che solo Dio è buono e che anche noi, qualche volta, pur essendo cattivi, possiamo dare qualcosa di buono agli altri. Ma senza la Grazia rimaniamo cattivi, anche quando compiamo azioni buone. È qui il punto centrale dove l’antropologia cristiana si scontra maggiormente con una parte del pensiero contemporaneo».
Costanza Miriano, 43 anni, è sposata e ha quattro figli. Il primo libro, "Sposati e sii sottomessa" è stato tradotto in Francia, Slovenia e prossimamente anche negli Stati Uniti
Costanza Miriano, 43 anni, è sposata e ha quattro figli. Il primo libro, "Sposati e sii sottomessa" è stato tradotto in Francia, Slovenia e prossimamente anche negli Stati Uniti

Nel primo libro ti rivolgevi alle donne, nel secondo, a dispetto del titolo, pure. Questo per chi è?
«Per entrambi, direi (ride, ndr). Almeno lo spero. Guido, mio marito, s’innervosisce quando vede che nello scrivere mi dilungo e non vado dritta al punto».

Perché sei una donna.

«Esatto! Lui mi punzecchia sempre. E io ribatto: “Ma se facessi così, scriverei solo due pagine!”. Alla fine ho fatto un cartellone che ho appeso davanti scrivania segnando le cose da dire nei vari capitoli. Poi le ho “condite” con le storie concrete per evitare di essere noiosa ed evitare l’effetto sermone. Lui però mi dice sempre di essere più concreta. Lo capisco. Per lui, che è un maschio, le parole servono solo per comunicare concetti. Per noi donne servono per esprimere noi stesse, creare relazioni, sfogarsi, lamentarsi, scambiarsi opinioni...».

Uomini e donne sono due universi agli antipodi. Se è così, meglio non sposarsi no?
«Lo diceva Gesù anche ai suoi discepoli. Questo è un mistero grande. Il matrimonio è un’avventura enorme, difficile.  Penso che la vera fregatura sia pensare che la simbiosi dell’innamoramento, tutta fiori, cioccolatini e paroline romantiche, duri anche dopo, che basti. Invece poi, nella realtà, quando ci si conosce cambia tutto perché si scoprono i difetti, i limiti, le imperfezioni dell’altra persona anche se la sia ama. Il vero passaggio si compie quando si capisce che il matrimonio è un lavoro, la parola è brutta ma rende l’idea, un impegno, una missione. Farlo funzionare è complicato, bisogna lavorarci su. Molte amiche mi dicono che la sera il marito guarda la Tv e loro fanno un'altra cosa. E io consiglio di stare vicino a lui, come faccio io che spesso mentre lui guarda le serie americane mi addormento. Almeno però mi sforzo! Oggi nessuno ti dice che questa fatica è normale e va fatta. Conosco tante persone che dicono di essere libere ma sono profondamente infelici».