(Georg Schwager) Tra le annotazioni di Anna Schäffer (1882-1925) c’è una frase che ci offre una sorta di riassunto della sua personalità: «Il sole della mia vita è Gesù nel Santissimo Sacramento». In lei troviamo una donna che, malgrado gli atroci dolori fisici, conseguenti a un tragico incidente, e la povertà esteriore, ha condotto una vita di profondo amore verso Dio e il prossimo.
Il segreto della sua esistenza terrena fu il suo profondo amore per Cristo, che non venne mai meno, neanche nella sua grave infermità. E tutto ciò perché ogni giorno della sua sofferenza era illuminato dai raggi del sole eucaristico.
Da giovane Anna desiderava entrare in un ordine religioso come suora missionaria. Nel 1898, in un «sogno» ebbe un primo annuncio di quella che sarebbe diventata la sua vera «missione». Quello stesso anno si consacrò anche a Maria, Madre di Dio, che venerò fedelmente per tutta la vita. Il «sogno» si concretizzò il 4 febbraio 1901. Mentre svolgeva le faccende di casa scivolò con entrambe le gambe in una vasca di lisciva bollente; rimase paralizzata. Lentamente le si rivelò il senso del suo dolore ed ella riconobbe la sua vocazione, ovvero la «missione della sofferenza».
In questa dura scuola Anna imparò a conoscere la volontà di Dio e ad accettarla con gioia sempre più grande. L’infermità e la povertà si trasformarono per lei nell’amorevole invito del Crocifisso a diventare simile a lui su questo cammino. Con il termine povertà lei non intendeva solo la miseria materiale, ma anche l’esperienza di abbandono e di vuoto interiore, l’esperienza della debolezza umana. «Non servono forse anche il vento e la pioggia per generare e far maturare il frutto? Allo stesso modo, nella nostra vita spirituale non possiamo raggiungere la giusta maturazione se non possiamo provare aridità dello spirito, freddo, siccità, abbandono». Infine offrì la sua sofferenza anche per la conversione dei peccatori.
La vita e la personalità di Anna Schäffer non possono dunque essere comprese senza il suo grande amore per Cristo nell’Eucaristia. Nella sua ultima lettera dichiarava: «La mia forza più grande è la santa comunione». Dalla sua ricezione e dall’amorevole contemplazione del mistero della presenza permanente del Signore nel Sacramento trae la forza per non spezzarsi a causa del dolore. Anna approfittò del tempo e della forza che le rimanevano nel suo letto d’inferma per un ricco apostolato di preghiera e di consolazione con scritti e parole. Stilò un vero e proprio ordine del giorno, e lo riempì con la contemplazione di letture spirituali e con attività manuali, come il lavoro a maglia. Animata dal pensiero dell’espiazione, intese la sua sofferenza e quanto sarebbe riuscita comunque a fare per gli altri, come «chiave» capace di aprirle le porte dei cieli. Il 5 ottobre 1925 Dio la chiamò a sé dopo decenni di sofferenze che, come testimonia il medico, sopportò con ammirevole pazienza.
L'Osservatore Romano, 20 ottobre 2012.
Il segreto della sua esistenza terrena fu il suo profondo amore per Cristo, che non venne mai meno, neanche nella sua grave infermità. E tutto ciò perché ogni giorno della sua sofferenza era illuminato dai raggi del sole eucaristico.
Da giovane Anna desiderava entrare in un ordine religioso come suora missionaria. Nel 1898, in un «sogno» ebbe un primo annuncio di quella che sarebbe diventata la sua vera «missione». Quello stesso anno si consacrò anche a Maria, Madre di Dio, che venerò fedelmente per tutta la vita. Il «sogno» si concretizzò il 4 febbraio 1901. Mentre svolgeva le faccende di casa scivolò con entrambe le gambe in una vasca di lisciva bollente; rimase paralizzata. Lentamente le si rivelò il senso del suo dolore ed ella riconobbe la sua vocazione, ovvero la «missione della sofferenza».
In questa dura scuola Anna imparò a conoscere la volontà di Dio e ad accettarla con gioia sempre più grande. L’infermità e la povertà si trasformarono per lei nell’amorevole invito del Crocifisso a diventare simile a lui su questo cammino. Con il termine povertà lei non intendeva solo la miseria materiale, ma anche l’esperienza di abbandono e di vuoto interiore, l’esperienza della debolezza umana. «Non servono forse anche il vento e la pioggia per generare e far maturare il frutto? Allo stesso modo, nella nostra vita spirituale non possiamo raggiungere la giusta maturazione se non possiamo provare aridità dello spirito, freddo, siccità, abbandono». Infine offrì la sua sofferenza anche per la conversione dei peccatori.
La vita e la personalità di Anna Schäffer non possono dunque essere comprese senza il suo grande amore per Cristo nell’Eucaristia. Nella sua ultima lettera dichiarava: «La mia forza più grande è la santa comunione». Dalla sua ricezione e dall’amorevole contemplazione del mistero della presenza permanente del Signore nel Sacramento trae la forza per non spezzarsi a causa del dolore. Anna approfittò del tempo e della forza che le rimanevano nel suo letto d’inferma per un ricco apostolato di preghiera e di consolazione con scritti e parole. Stilò un vero e proprio ordine del giorno, e lo riempì con la contemplazione di letture spirituali e con attività manuali, come il lavoro a maglia. Animata dal pensiero dell’espiazione, intese la sua sofferenza e quanto sarebbe riuscita comunque a fare per gli altri, come «chiave» capace di aprirle le porte dei cieli. Il 5 ottobre 1925 Dio la chiamò a sé dopo decenni di sofferenze che, come testimonia il medico, sopportò con ammirevole pazienza.