lunedì 22 ottobre 2012

Del Favero: Le conseguenze psichiche dell’interruzione volontaria della gravidanza

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ROMA, lunedì, 22 ottobre 2012.- Riporto di seguito il testo della meditazione tenuta da padre Angelo del Favero al Convegno “Le conseguenze psichiche dell’interruzione volontaria della gravidanza”, che si è svolto il 20 e 21 ottobre scorsi a Roma.
Padre del Favero è cardiologo e ha co-fondato nel 1978 uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987.
E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

***
I
Dio ascolta il grido dell’uomo
La pastorale della Chiesa deve illustrare bene come Dio ascolti il bisogno dell’uomo e il suo grido” (Es. apostolica Verbum Domini, n. 23),…“Intorno a noi può esserci il buio e l’oscurità, e tuttavia vediamo una luce: una piccola fiamma, minuscola, che è più forte del buio apparentemente tanto potente e insuperabile” (Discorso, 24 settembre 2011),…“E’ importante, però, avere anche dei “compagni di viaggio” nel cammino della nostra vita cristiana: penso al Direttore spirituale, al Confessore, a persone con cui si può condividere la propria esperienza di fede, ma penso anche alla Vergine Maria e ai Santi” (Udienza Generale, 25 agosto 2012).
Questi insegnamenti di Papa Benedetto XVI sembrano riguardare in modo particolare la donna che ha volontariamente abortito.
Profondamente ferita nell’essere materno, non di rado si ritrova immersa nell’infelicità più amara, prigioniera dell’irreversibile, impotente, spesso paralizzata di fronte al pensiero di accostarsi al sacramento della Riconciliazione: “RACHELE PIANGE I SUOI FIGLI E NON VUOLE ESSERE CONSOLATA, PERCHE’ NON SONO PIU’” (Ger 31,15).
Alla solitudine e all’angoscia per il rimorso, quasi sempre si aggiunge, poi, il logoramento di relazioni affettive desolanti e conflittuali.
Spesso, anche se è riuscita a fare il passo della Riconciliazione con Dio, la donna non è in grado di iniziare un cammino di ‘risurrezione’ dall’aborto, per il semplice fatto che nessun “compagno di viaggio” si affianca alla sua anima contrita.
Benedetto XVI ha scritto: “La pastorale della Chiesa deve illustrare bene come Dio ascolti il bisogno dell’uomo e il suo grido” (Es. apostolica Verbum Domini, n. 23).
Sì, la pastorale deve illustrarecome Dio ascolti il grido della donna: ora, questo come di Dio, è il come del sacerdote, designato discepolo e pastore del gregge, che conosce le sue pecore, le chiama una per una, ascolta la loro voce e cammina innanzi a loro pronto a dare la vita per difenderle.
Pastore veramente ‘buono’ come Gesù, è colui che “CONDUCE DOLCEMENTE LE PECORE MADRI” (Is 40,11), vale a dire quelle più deboli che si sono appena rialzate dal parto; ebbene, più deboli delle pecore che hanno appena partorito, sono quelle che avrebbero dovuto partorire, ma si sono lasciate indurre a soffocare la vita del loro agnellino.
Rivolto ai pastori, S. Agostino commenta così il testo del profeta Ezechiele “NON AVETE RESO FORZA ALLE PECORE DEBOLI, NON AVETE CURATO LE INFERME” (34,4): “Parla ai cattivi pastori, ai falsi pastori, ai pastori che non hanno affatto cura del gregge, e non rinfrancano chi è malato. Per chi è debole bisogna temere che la tentazione lo assalga e lo abbatta. La malattia lo rende come privo di forze e incapace di fare qualcosa di buono” (“Discorso sui pastori”).
Questi ammonimenti pastorali, oggi riguardano in particolare la donna che ha commesso il grave peccato di impedire al proprio figlio di nascere. Ella infatti soffre immensamente, perché, giorno e notte, il peso opprimente del rimorso e la spina sanguinante della memoria non solo impediscono il ritorno della gioia di vivere, ma sono anche causa di uno stillicidio della forza della fede.
Non di rado, poi, anche se il macigno è stato rimosso conla Confessione, è rimasto il vuoto dello scavo.
II
L’aborto è davvero “una ferita che non si chiude mai”?
Ha scritto il beato Giovanni Paolo II: “il rifiuto della vita dell’uomo, nelle sue diverse forme, è realmente rifiuto di Cristo. E’ questa la verità affascinante ed insieme esigente che Cristo ci svela e che la Chiesa ripropone instancabilmente” (Enciclica Evangelium vitae, n. 104).
Queste parole ci permettono di  affermare che l’aborto volontario non è solo “il più grande distruttore della pace” (beata Teresa di Calcutta), sia individuale che mondiale, ma anche il più grandedistruttore della fede.
Per questo al centro pastorale della nuova evangelizzazione dovrebbe stare l’enciclica Evangelium Vitae.
E’ infatti l’incarnazione del Verbo della vita, il cuore del “Credo” che deve essere annunciato: verità affascinante, perché eleva l’uomo a rango divino; verità esigente, perché ad ogni madre, in ragione della sua stessa natura, è dato e chiesto un ‘sì alla vita’ totale, fino al sacrificio di sè (ricordo per tutte l’eroica testimonianza di Chiara Corbella).
E quando tale sacrificio è rifiutato ed è la vita del bambino ad essere sacrificata, la donna, assieme al figlio, distrugge anche la pace del suo cuore.
Allora, solola Misericordiadi Colui che ha detto: “VI LASCIOLA PACE, VI DOLA MIA PACE. NON COME LA DA IL MONDO, IO LA DO A VOI” (Gv 14,27),  può rigenerarla, poiché si tratta di una pace che ha a che fare con Dio.
E la misericordia di Dio va ben oltre il perdono del peccato commesso. Ecco infatti l’inaudita promessa: “TI FARO’ MIA SPOSA PER SEMPRE,..TI FARO’ MIA SPOSA NELLA FEDELTA’ E TU CONOSCERAI IL SIGNORE” (Os 2,21).
E’ da notare che il verbo ebraico tradotto con “fare mia sposa”, indica il matrimonio con una donna ancora vergine. Perciò, agli occhi di Dio, se la donna che ha abortito accoglie l’assoluzione sacramentale, è come se l’aborto non fosse mai stato commesso.
Il bambino, certo, non può esserle fisicamente restituito, ma la certezza di fede che egli “ora vive nel il Signore” (Evangelium vitae, n. 99) può trasfigurare l’angoscia nella consolazione profonda di sentirsi di nuovo in relazione materna con lui, dato che il Signore, nel quale vive realmente il bambino, è dentro di lei.
*
Io non sono un esperto di pastorale, ma avendo incontrato negli anni del mio ministero alcune mamme che hanno abortito, ho pensato di far parlare una di loro, leggendovi ciò che mi ha scritto.
Carissimo padre Angelo, come sta? Scrive sempre in difesa della vita? E’ sempre impegnato in questa miracolosa battaglia?.. non so se ricorda di me.. anche se sono purtroppo molto legata alla sua missione..
Sono stata un paio di volte da lei, poi non sono più riuscita a venire, o meglio, ho superbamente pensato che potevo andare avanti con gli strumenti che Dio mi ha messo qui vicino..
E così, in questi anni, mi sono dedicata tutte le domeniche a far catechismo ai bambini. Cerco di dare una mano al mio parroco organizzando le giornate per le famiglie e via dicendo…non è una buona giustificazione…io da Lei dovevo continuare a venire
La realtà è che la ferita non si chiude, non si chiude mai… Dato che Lei mi aveva detto che non era più necessario, non ho più confessato il mio terribile peccato, maogni volta che entro in un confessionale mi pare di omettere sempre la colpa principale… Ricordando le sue parole, ero riuscita comunque sempre a pregare e a ripetermi che non devo essere presuntuosa e che Dio mi ha perdonato (e poi..più si cresce spiritualmente e più si impara che Dio è sommo amore e che perdona i suoi figli), ma ultimamente si fa forte in me un pensiero o paura continua…che tento di spiegarle..
Qualcosa su Satana avevo letto, di come si insinua negli esseri deboli..così mi sono munita di acqua benedetta e tengo sempre immagini sacre vicino, in casa e al collo, eppure…eppure qualche volta, quando sono al limite della sopportazione dei miei doveri, dei sacrifici, dei servizi, c’è una vocina dentro che mi suggerisce di smetterla con tutto questo mio fare…
Sono andata a confessarmi due domeniche fa, e ho trovato un sacerdote che mi ha detto che la vocina non è Satana, ma è un campanello d’allarme che mi dice che dovrei resettare tutto, tagliarla con un marito che non mi ama, con tutte queste preghiere…ed essere una cristiana felice…
Come ho potuto, io credente, io che sono sempre andata in chiesa, uccidere per ben due volte?
Io che prima di farlo, entrambe le volte, tormentata più che mai, dicevo a Dio: ma come posso tenere questi figli con un padre che mi ha abbandonato?…ovvero sia: cercavo di darmi delle attenuanti…ma io credo che solo Satana abbia potuto farmi fare questo…Pazienza se io non avessi mai creduto, pregato, ma io ero una cristiana…a quanto pare molto falsa….
Bevo in continuazione acqua benedetta, faccio la comunione…non ho fuochi dentro o visioni, non mi trasformo in una bestia, non emetto suoni cavernosi, ma a volte, al limite della infelicità, quando litigo con mio marito e voglio provocarlo, quando esco dai ripetuti impegni parrocchiali, penso a una bestemmia e vorrei morire per averla pensata….E allora, padre Angelo,…se proprio per quello che ho fatto una volta e rifatto un’altra volta, si annidasse davvero in me un esercito di demoni? Se non accorgendomene arrivassi all’incontro finale con Dio, e, pur invocandolo, non ne fossi degna per l’eternità?
Mi scusi per il lungo sfogo….Lei è e rimarrà sempre per me una luce in mezzo a tanta paura..una luce voluta e pensata da Dio…spero di non averla stancata e di poterla leggere e incontrare ancora. Per intanto un immenso grazie e un arrivederci.”.
Questa lettera offre spunti preziosi per ogni sacerdote che intenda farsi compagno di viaggio di una donna oppressa dal peso di un aborto.
Riprendo l’affermazione fondamentale, che giustifica l’urgenza pastorale di un soccorso pronto e duraturo: “La realtà è che la ferita non si chiude, non si chiude mai...Come ho potuto, io credente, io che sono sempre andata in chiesa, uccidere per ben due volte?”.
*
Le conseguenze psichiche dell’aborto sono dovute al trauma del peccato. Come spina permanente esso continua ad affliggere e tormentare, stancare e affaticare, oscurare ed accecare, macchiare ed inquinare, indebolire e intiepidire l’anima della donna, e solola Confessione sacramentale ha il potere di estrarre questa spina; peròla Confessione non basta, come non basta il Pronto Soccorso al traumatizzato della strada.
L’anima, creata da Dio, per la Bibbiaè il cuore, e il cuore è tutt’uno con la coscienza morale,“eco di quella Voce che crea e salva, guida e libera con la sua Parola.” (card. A. Bagnasco). E’ questa la voce dello Spirito di Dio.
La spina nella coscienza della mamma che ha abortito, non è stata conficcata dall’interruzione della gravidanza, ma dall’interruzione volontaria della gravidanza.
Alla domanda “Come ho potuto, io credente, uccidere per ben due volte?”, mi sembra che si possa iniziare a rispondere ricordando che la sola fede non basta per non commettere il male, come ricorda Paolo: “SE POSSEDESSI LA PIENEZZA DELLA FEDE COSI’ DA TRASPORTARE LE MONTAGNE, MA NON AVESSI LA CARITA’,.. NIENTE MI GIOVA” (1Cor 13,2-3).
Sì, senza l’amore che opera in virtù della grazia, la fede non giova, non impedisce di peccare, anche gravemente.
Ma allora ci chiediamo: come e cosa posso fare per “avere la carità”? E cosa significa “avere la carità”? E’ forse qualcosa che si può avere o non avere, come un gioiello?
Avere la carità’ vuol dire essere trasformati dalla Carità, come accadde ai due discepoli in cammino verso Emmaus: “NON CI ARDEVA FORSE IL CUORE NEL PETTO, MENTRE CONVERSAVA CON NOI LUNGO IL CAMMINO, QUANDO CI SPIEGAVA LE SCRITTURE?” (Lc 24,32).
Questo meraviglioso Vangelo fa intendere che senza il misterioso compagno di viaggio che si era accostato ai loro passi, i due discepoli sarebbero rimasti prigionieri della tristezza.
Dunque, nel cammino di riconciliazione con la fede, devono essere tre: la donna, il compagno di viaggio e il Signore Gesù; e il cammino è indicato da quello straordinario compagno di viaggio e maestro nella fede che è stato Giovanni Paolo II, con queste parole:
III
Un Compagno che invaghisce il cuore
Non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità..Per questa pedagogia della santità c’è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell’arte della preghiera..
Sappiamo bene che la preghiera non va data per scontata. E’ necessario imparare a pregare. Nella preghiera si sviluppa quel dialogo con Cristo che ci rende suoi intimi: “RIMANETE IN ME E IO IN VOI” (Gv 15,4)”. Questa reciprocità è la sostanza stessa, l’anima della vita cristiana, ed è condizione di ogni autentica vita pastorale. (…)
Sì, le nostre comunità cristiane devono diventare autentiche scuole di preghiera, dove l’incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti fino ad un vero “invaghimento”  del cuore” (Beato Giovanni Paolo II,  Novo Millennio Ineunte, nn. 30-33).
Il Sinodo sulla nuova evangelizzazione, dopo aver affermato che: “La fede cristiana è un incontro reale, una relazione con Gesù Cristo” (Instrumentum, n. 18), chiarisce che il presupposto affinché “la liberazione e la salvezza portate dal Regno di Dio raggiungano la persona umana nelle sue dimensioni sia fisiche che spirituali”, è chel’incontrocon Cristo sia reale.
Quando si tratta del Signore Gesù, un incontro reale causa sempre l’invaghimento del cuore, e quando il cuore comincia ad invaghirsi, il cuore comincia a guarire.
La parola “invaghimento”, non deve qui far pensare allo stato emotivo di una persona innamorata, o a grazie mistiche particolari. Semplicemente indica l’iniziativa di Dio nell’anima accogliente.
Nell’orazione, il cuore è ‘invaghito’ quando è ‘preso’, cioè quando sperimenta uno stato nuovo e soprannaturale, causato da una ‘presa’ amorosa di Dio sulla volontà. E’ un’esperienza contemplativa profonda, dovuta allo Spirito e caratterizzata da grande pace, dolcezza e amore. Essa è come la ‘prova’ che l’orazione è stata un incontro reale con il Signore Gesù, come per un cieco stringere la mano di chi non vede dimostra la sua invisibile presenza.
Chi non l’ha sperimentato ne può avere un’idea da esempi semplici: il refrigerio di un bicchiere d’acqua fresca dato all’assetato, il ristoro benefico del riposo per chi è esausto, il profumo del pane che esce fragrante dal forno.
Ancora: l’invaghimento operato dal Signore è simile ad un paesaggio interiore molteplice, vivace come la primavera, esuberante come l’estate, radioso come l’autunno, silenzioso come l’incanto della neve che tutto ricopre.
Queste immagini si riferiscono all’aspetto della terra, ma l’invaghimento del cuore è un dono profondo quanto il cuore stesso, un dono fatto alle radici della persona, alla sua coscienza, alla sua memoria, alla sua volontà, alla sua mente, alla sua struttura psichica ed emotiva, che può sanare definitivamente l’anima da qualunque ferita interiore, poiché qui è Dio che agisce.
Perseverando nell’orazione, e con l’aiuto del compagno di viaggio, lo Spirito Santo opera come una mutazione nel ‘DNA’ della persona, la quale, lungo il cammino, comincia a sentirsi profondamente cambiata e rinnovata: “HAI  MUTATO IL MIO LAMENTO IN DANZA, MI HAI TOLTO L’ABITO DI SACCO, MI HAI RIVESTITO DI GIOIA, PERCHE’ TI CANTI IL MIO CUORE, SENZA TACERE; SIGNORE, MIO DIO, TI RENDERO’ GRAZIE PER SEMPRE” (Salmo 30/29, 12-13).
IV
Gioia piena nella tua Presenza
Come e dove ognuno di noi può incontrare realmente il Signore? Dov’è il luogo della sua conoscenza e dell’esperienza del suo Amore?
Dio ha creato l’uomo a sua immagine, e l’anima spirituale può essere paragonata ad un meraviglioso castello di diamante, le cui mura sono questi nostri corpi. Persona e coscienza coincidono con il castello, al cui centro dimora Cristi, Re e Signore del cosmo e della storia (S. Teresa d’Avila, Castello interiore).
Il castello ha solo una porta d’accesso, che è l’orazione, cioè la preghiera di raccoglimento, quell’attenzione orante ed amorosa che consente il contatto personale con Gesù tramite la sua santa Umanità. Egli è più intimo a noi del nostro stesso io, più vivo e vivificante della nostra vita biologica.
Comprendiamo così che “la preghiera non è un accessorio, un optional, ma è questione di vita o di morte. Solo chi prega, infatti, cioè chi si affida a Dio con amore filiale, può entrare nella vita eterna, che è Dio stesso” (Benedetto XVI).
Entrare nella vita eterna’ non rimanda all’al-di-là, ma all’“al-di-dentro”, nelle profondità del castello interiore.
E’ l’entrata nel raggio magico della Presenza di Cristo, dove la preghiera diventa seduzione divina, “invaghimento del cuore”. L’anima lascia dietro di sé l’atmosfera terrestre, ed entra nel regno del soprannaturale, nello spazio della Vita intima di Dio che qui le viene comunicata in abbondanza (Gv 10,10). Uno spazio interiore più infinito dell’universo, eppure racchiuso nei limiti del castello.
Quando Dio fa questa grazia, vuol dire che il tetto è stato sfondato (Lc 5,17-26), e l’anima paralitica è giunta fino ai piedi del Signore. Un incontro assolutamente reale, tanto che Teresa esorta: “Guardatelo mentre vi guarda!”.
Guardare Gesù: è mai possibile? Quella porta che da’ nella stanza del Re, può davvero essere aperta così che io possa guardarlo mentre mi guarda? Qual’è la chiave?
La chiave della porta è l’amicizia con Gesù.
Ora, due amici, per incontrarsi, devono vedersi, perché solo la reciproca prossimità permette l’incontro. La realtà dell’incontro, tuttavia, non suppone necessariamente la prossimità fisica.
La vergine Maria incontrò l’angelo Gabriele, che è puro spirito, e fu un vero incontro. Dice infatti il Vangelo che l’angelo “ENTRO’ DA LEI” (Lc 1,28). Fu un’apparizione nella casetta di Nazaret?
L’angelo ‘entrò’ in Maria per risonanza interiore, poiché Lei e lui erano del tutto simili per purezza e grazia.
Così, due persone si incontrano realmente quando l’anima di una ‘guarda’ l’altra, entra in risonanza con l’altra per mezzo della verità e dell’amore, risonanza che non è strettamente dipendente dal contatto materiale o dalla comunicazione fisica.
Guardare Gesù con gli occhi dell’anima si può: basta pensare a Lui amandolo, evocando nella  memoria visiva il suo volto e in quella uditiva la sua Parola, nella fede della sua viva e reale presenza. 
Possiamo supporre che Maria di Magdala, la quale ha incontrato per prima il Risorto senza poterlo trattenere (Gv 20,17), dopo il mattino di Pasqua è vissuta nell’incontro permanente con Gesù grazie allo Spirito del Signore, che la metteva in contatto con la sua Presenza invisibile permettendole di ‘trattenerlo’ giorno e notte nel proprio cuore.
Ugualmente, lo Spirito è in grado di stabilire il contatto tra due persone che si amano in risonanza di spirito, anche se una di loro non vive più fisicamente sulla terra. Come la donna che non ha partorito, ed il suo bambino, il quale vive felice nel Signore dentro di lei.