giovedì 25 ottobre 2012

Paolo VI: "Il Credo del popolo di Dio" - I commenti


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A proposito del "Credo del popolo di Dio" di Paolo VI (*)
 la rivista  "30giorni" ha pubblicato  (n. 6 - 1998)
un breve commento del Cardinale Godfried Danneels
e un'approfondita intervista (n. 4 - 2008)
di Gianni Valente al Cardinale Georgies Cottier
poi ampiamente ripresa nel suo blog da Sandro Magister.
Testi interessantissimi che propongo di seguito alla lettura, ricordando che il "Credo del popolo di Dio" è stato ricordato nelle ultime due catechesi di Benedetto XVI. 

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Il Credo di Paolo VI. Tradizione e profezia


Con la Professione di fede proclamata il 30 giugno 1968 Paolo VI non espose sue idee personali, ma prestò la sua bocca alla grande voce della Chiesa, garantendo così la libertà di tutti i fedeli


del cardinale Godfried Danneels

Il 30 giugno 1968 Paolo VI pubblicava il Credo del popolo di Dio. Fu un gesto tradizionale e allo stesso tempo un gesto profetico.
Tradizionale, perché il Credo del popolo di Dio non è l’opera personale di Paolo VI. Con la sua promulgazione, il Papa agiva in quanto Pietro: non formulò sue idee né pensieri personali, ma prestò la sua bocca alla grande voce della Chiesa universale. Con questo testo, la Chiesa compì un atto di autocoscienza e di vitalità. Allo stesso tempo, essa garantì la libertà dei suoi figli proteggendoli contro ogni condizionamento da parte di altre forze che non fossero quelle dello Spirito di Gesù.
Si trattò allo stesso tempo di un atto profetico. Perché questa promulgazione del Credo del popolo di Dio s’inscriveva perfettamente nelle esigenze derivanti dai segni dei tempi. Perché Paolo VI aveva l’arte di leggere ciò che lo Spirito diceva alle Chiese a quell’epoca, negli anni Sessanta.
La fede cristiana è fondata su degli avvenimenti storici: il mistero pasquale della morte e della risurrezione di Cristo. Essa è solidamente radicata nella terra della storia. Essa si appoggia su dei fatti. Ora la nostra epoca ha facilmente tendenza a ridurre la fede cristiana a un vago sentimento religioso, a una credenza in un Dio impersonale, che si libra al di sopra della storia senza mai entrarvi. Il Credo del popolo di Dio contesta questa riduzione della fede cristiana a un vago sentimento religioso.
La fede cristiana non è nemmeno una religione naturale o cosmica, una sorta di cammino di guarigione per l’uomo bisognoso di terapie psico-culturali. Per la fede cristiana, Dio è una persona che si comunica nella sua creazione, ma soprattutto, alla fine dei tempi, nel suo Figlio unigenito Gesù Cristo. Dio si incarna e si dona nel suo Figlio che ha vissuto i suoi misteri di salvezza in un luogo determinato e in un’epoca determinata. Dio non è una forza cosmica, Egli ha spezzato il ciclo della natura per assumersi il rischio di incarnarsi nel tempo prendendo in anticipo su di sé tutte le servitù di questa incarnazione.
L’atto di fede del cristiano non è nemmeno un salto nel vuoto, cieco e indeterminato. Certo questo atto di fede si fa nella fiducia e nell’abbandono. Ma ha anche un oggetto: il Dio di Gesù Cristo così come si è rivelato nella sua Parola. La fides qua non ci dispensa da una fides quae: noi non crediamo a una cosa qualsiasi. La fede ha un contenuto che si sottrae a ogni soggettivismo. La fede non è un grido.
Infine, la fede cristiana non è un impegno morale, una semplice etica. Essa ha il suo contenuto dottrinale, depositato innanzitutto nella Scrittura, sistematizzato nei primi simboli di fede, esplicitato infine nei catechismi. Perché una morale senza fondamento dottrinale è instabile come le sabbie mobili. E la perversione morale non ha forse la sua radice, secondo le parole di san Paolo nella lettera ai Romani (Rm 1-2), in una perversione del pensiero che la precede? Gli antichi si chiedevano a cosa valgono le leggi senza la morale. Ma che vale una morale senza il suo fondamento dottrinale? Non sarebbe forse come una statua senza piedistallo?
Trenta anni dopo la pubblicazione del Credo del popolo di Dio, non si può che rendere grazie per lo spirito profetico di Paolo VI, che così interpretò i segni dei tempi degli anni Sessanta. Ma questi segni sono poi così cambiati sulla soglia del terzo millennio?

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Paolo VI, Maritain e la fede degli apostoli

Il 30 giugno 1968, con la solenne professione di fede pronunciata in piazza San Pietro, papa Montini indicava una via semplice per custodire il tesoro donato dal Signore alla sua Chiesa. Quarant’anni dopo, il cardinale Georges Cottier racconta a 30Giorni quanto influì sulla stesura di quel prezioso documento l’amicizia gratuita che univa il Pontefice al filosofo francese e al cardinale Charles Journet. Intervista


Intervista con il cardinale Georges Cottier di Gianni Valente

Paolo VI bacia la roccia 
dove Gesù affidò il primato a Pietro
Paolo VI bacia la roccia dove Gesù affidò il primato a Pietro
«Il nostro ufficio è quello stesso di Pietro, al quale Cristo ha affidato il mandato di confermare i fratelli». A Paolo VI mancavano poche settimane di vita. Era la sua ultima celebrazione pubblica, il 29 giugno 1978, festa dei santi Pietro e Paolo. Nell’omelia, il Papa anziano e ferito al cuore per la morte dell’amico Aldo Moro riabbracciò con lo sguardo tutto il tempo «durante il quale il Signore ci ha affidato la sua Chiesa», mentre «il corso naturale della nostra vita volge al tramonto». Anche in quel rendiconto a tratti struggente della sua vicenda di vescovo di Roma, tracciato da quella soglia vertiginosa, Giovanni Battista Montini volle indicare come «atto importante» del suo pontificato la professione di fede che dieci anni prima, il 30 giugno 1968, aveva pronunciato solennemente «in nome e a impegno di tutta la Chiesa come “Credo del popolo di Dio”»: la «sommaria professione di fede» che aveva voluto riproporre come un «ritorno alle sorgenti», in un momento in cui «facili sperimentalismi dottrinali sembravano scuotere la certezza di tanti sacerdoti e fedeli».
Il Credo del popolo di Dio è uno dei gesti più limpidamente profetici tra quelli compiuti da tutti i successori di Pietro nel secolo scorso. Succede spesso, soprattutto quando i papi si limitano a fare il proprio mestiere. Ma poco si sa di circostanze e fattori che suggerirono al Papa dell’Ecclesiam Suam e della Populorum progressio di ripetere in tutta semplicità «i punti capitali della fede della Chiesa stessa, proclamata dai più importanti Concili ecumenici».
Quale fu la dinamica concreta con cui venne predisposto quel testo prezioso? A distanza di quarant’anni, alcuni documenti d’archivio consentono di ricostruire fin nei dettagli come andarono le cose. E raccontano di quanto influì sulla genesi e sulla stesura di quella professio fidei l’amicizia gratuita e preferenziale che univa papa Montini, il cardinale elvetico Charles Journet e il filosofo francese Jacques Maritain.
La vicenda emerge nei dettagli dal fitto carteggio che il teologo ginevrino divenuto cardinale nel 1965 intratteneva con l’autore di Humanisme intégral e di Le paysan de la Garonne. Il cardinale Georges Cottier, teologo emerito della Casa pontificia, ha accettato di ricostruirla per 30Giorni, sulla base delle lettere che saranno raccolte nel VI volume della Correspondance Journet-Maritain, che raccoglie le 303 lettere che i due si sono scambiati dal 1965 al 1973, e che sarà pubblicato entro il 2008. Cottier, anche lui nato nei dintorni di Ginevra, fu discepolo di Journet (che lo portò come proprio “esperto” al Concilio Vaticano II) ed è membro della Fondation du Cardinal Journet, che con le Èditions Saint Augustin sta curando la pubblicazione della ricchissima Correspondance tra il cardinale-teologo scomparso nel ’75 e Maritain.

Charles Journet e Jacques Maritain
Charles Journet e Jacques Maritain
«Mi è venuta un’idea»
All’inizio del 1967, il Concilio si è concluso da poco più di un anno, ma – come ha già registrato il teologo Joseph Ratzinger nella sua rinomata conferenza tenuta a Bamberg, nel luglio precedente – «regna un certo disagio, un’atmosfera di freddezza e anche di delusione, quale segue solitamente i momenti di gioia e di festa». In quella condizione, con l’esortazione apostolica Petrum et Paulum, pubblicata il 22 febbraio 1967, Paolo VI indice l’Anno della fede: dal 29 giugno 1967 al 29 giugno 1968, tutta la Chiesa è chiamata a celebrare il 19° centenario del martirio degli apostoli Pietro e Paolo, «primi maestri della fede».
L’anno della fede, nelle intenzioni del Papa, è tutto incentrato sul Credo. Nella stessa esortazione Petrum et Paulum si chiede ai vescovi di compiere più volte, durante quell’anno speciale, una proclamazione solenne del Credo «coi preti e i fedeli, secondo l’una o l’altra delle formule in uso nella Chiesa cattolica». Nelle catechesi e nelle omelie di quei mesi, papa Montini suggerisce a più riprese a tutta la Chiesa l’urgenza di ripetere l’atto di fede. «Non crediate di avere la fede se voi non aderite al Credo, al simbolo della fede, cioè alla sintesi schematica delle verità di fede», ripete all’udienza generale del 31 maggio 1967. Eppure, all’inizio, non appare all’orizzonte alcuna idea di chiudere l’anno della fede con la proclamazione di una nuova professio fidei. Solo un vecchio amico del Papa vede affacciarsi nei suoi pensieri una prima, embrionale intuizione di quello che avverrà.
Jacques Maritain a quel tempo ha 85 anni. Dal 1961, dopo la morte dell’amata moglie Raïssa, vive nella comunità dei Petits frères di Charles de Foucauld, a Tolosa. Il grande intellettuale, legato da una pluridecennale amicizia con Montini – che lo ha pubblicamente difeso quando c’era chi voleva condannarlo con l’accusa di “naturalismo integrale” –, ha da poco riversato nel libro Le paysan de la Garonne tutte le sue critiche davanti alle storture dottrinali e agli pseudoaggiornamenti culturali che vede alimentarsi tra laici ed ecclesiastici sotto il pretesto dell’apertura al mondo. Il motto del volume è un proverbio cinese: “Non prendete mai troppo sul serio la stupidità”. Scrivendo all’altro suo amico e confidente Journet, si augura che Roma («che finirà ben per vedere la gravità immensa della crisi») non reagisca puntando solo su misure disciplinari che non sarebbero comprese e rischierebbero solo di aumentare la rivolta, «perché è la luce della libertà, quella che serve». Racconta oggi il cardinale Cottier: «Paolo VI gli appariva come un uomo solo. Maritain pregava per lui, e diceva a tutti di fare lo stesso. In una lettera del dicembre 1966 scrive a Journet: “Penso spesso al Papa e alla sua terribile solitudine. Mi sembra che occorrerebbe far molto pregare per lui le anime contemplative”».
Qualche giorno dopo, il 12 gennaio 1967, nel post scriptum di una sua lettera, Journet avverte Maritain di essere stato convocato a Roma da Paolo VI. A Maritain la circostanza appare provvidenziale. Risponde subito al suo amico cardinale: «Un’idea mi è venuta in mente da parecchi giorni, con una tale intensità e una tale chiarezza che io non credo di poterla trascurare. Era come un tratto di luce mentre pregavo per il Papa e consideravo la crisi tremenda che la Chiesa sta attraversando». Davanti a tale crisi – spiega nella lettera Maritain – «solo una cosa è in grado di toccare universalmente gli spiriti, e di custodire il bene assolutamente essenziale, che è l’integrità della FEDE»: non «un atto disciplinare, né delle esortazioni, né delle direttive, ma un ATTO DOGMATICO, sul piano della fede stessa»; un «atto sovrano dell’AUTORITÀ suprema che è quella del Vicario di Gesù Cristo». «Maritain», sottolinea il cardinale Cottier, «scandisce i suoi concetti-chiave con l’uso delle maiuscole: secondo lui, quello che serve al momento presente è “che il Sovrano Pontefice rediga una PROFESSIONE DI FEDE completa e dettagliata, nella quale sia esplicitato tutto ciò che è realmente contenuto nel Simbolo di Nicea – questa sarà, nella storia della Chiesa, la ‘professione di fede’ di Paolo VI”».

Paolo VI in preghiera davanti alla Grotta della Madonna di Lourdes nei Giardini Vaticani
Paolo VI in preghiera davanti alla Grotta della Madonna di Lourdes nei Giardini Vaticani
Le armonie del sensus fidei
In quegli anni, quella di Maritain non era un’idea del tutto nuova. Ipotesi simili erano circolate con insistenza già prima e durante il Concilio. «Anche il grande teologo domenicano Yves Congar», ricorda oggi Cottier, «era convinto che fosse secondo tradizione promulgare un nuovo Simbolo di fede, dopo che si era tenuto un Concilio ecumenico. Nel giugno 1964, davanti alle sue insistenze, il Papa aveva chiesto allo stesso Congar di prepararne un testo. Ma il risultato non aveva convinto: Paolo VI, pur apprezzando il “tono biblico” della bozza di Congar, aveva di fatto accantonato il progetto».
Quando scrive a Journet la sua idea di una nuova professio fidei, Maritain non chiede all’amico di trasmettere a suo nome il suggerimento al vescovo di Roma. Parla di sé stesso come di un «vecchio folle»: «Io», scrive ancora nella sua lettera del 14 gennaio 1967, «non sono di quei laici illuminati che si permettono di elargire consigli al Papa». È Journet che prende l’iniziativa: fotocopia per Paolo VI le parti della lettera in cui l’amico filosofo espone le sue idee, e le consegna al Papa nell’incontro del 18 gennaio. In quell’occasione, Paolo VI chiede a Journet un giudizio sulla situazione della Chiesa. «Tragica», risponde il cardinale elvetico. È solo allora che papa Montini confida al suo amico teologo il progetto di indire l’Anno della fede, che verrà ufficialmente reso noto più di un mese dopo, con la pubblicazione dell’esortazione Petrum et Paulum. Il 24 febbraio, commentando il primo annuncio dell’Anno della fede da parte di Paolo VI, Maritain scrive nel suo diario: «È forse la preparazione per una professione di fede che lui stesso proclamerà?».
Nota il cardinale Cottier: «Paolo VI, a quel momento, non aveva ancora in programma nessuna nuova professione di fede. Dal canto suo, Maritain non aveva saputo nulla dell’intenzione papale di indire un Anno della fede. Ne aveva preso atto a cose fatte, al momento dell’indizione ufficiale. Ma le due iniziative vanno per così dire una incontro all’altra, spinte dalla stessa percezione della crisi in cui versa la Chiesa».
Quello stesso anno, dal 29 settembre al 29 ottobre, si riunisce a Roma il primo Sinodo dei vescovi. Il rapporto finale della Commissione dottrinale, interrogandosi sui problemi che attraversano la compagine ecclesiale nel dopo Concilio, propone di sottomettere al Papa anche il votum riguardo alla stesura di una dichiarazione sulle questioni della fede. L’arcivescovo di Quito Pablo Muñoz Vega in una conferenza stampa accenna alla possibile elaborazione di un Simbolo di fede e alla stesura di un Catechismo universale che sarebbero stati proposti da alcuni dei padri sinodali. Il vescovo di Pittsburgh John Wright, che nel ’69 sarebbe divenuto prefetto della Congregazione per il Clero e cardinale, precisa che non si registra tra i vescovi «nessun entusiasmo per le soluzioni negative della crisi come sarebbero delle semplici liste o Syllabi d’errori», ma che invece c’è un interesse diffuso «per una “regola della fede“ che si potrebbe definire come una norma popolare», grazie alla quale il popolo cristiano possa distinguere con chiarezza ciò che appartiene alla fede cattolica «e, dall’altra parte, ciò che è speculazione teologica o anche semplice opinione privata». Lo stesso Paolo VI, nel discorso di apertura del Sinodo, ha denunciato i tentativi di «sottomettere a una revisione il patrimonio dottrinale della Chiesa per donare al cristianesimo nuove dimensioni ideologiche».
«A condizionare il clima», ricorda oggi padre Cottier, «c’era stato anche il caso del Catechismo olandese, presentato dal cardinale Alfrink nell’ottobre 1966. Anche il cardinale Journet faceva parte della commissione cardinalizia nominata dal Papa per esaminare tale compendio controverso approvato dai vescovi olandesi. Nel suo rapporto conclusivo, Journet ne parlava come di un “tutto organico”, uno strumento usato per “sostituire, all’interno della Chiesa stessa, un’ortodossia a un’altra, una ‘ortodossia moderna’ all’ortodossia tradizionale”».
Proprio il lavoro della commissione d’esame sul Catechismo olandese riporta Journet a Roma. Il 14 dicembre del ’67, il cardinale svizzero viene di nuovo ricevuto da Paolo VI, e ne approfitta per rinnovare il suggerimento che aveva raccolto da Maritain all’inizio dell’anno. Racconta il cardinale Cottier: «Journet chiese a Paolo VI se per la fine dell’Anno della fede avesse in animo di pubblicare qualche grande documento, per orientare quelli che volevano rimanere nella Chiesa. Il Papa gli rispose che qualcuno aveva già suggerito una simile prospettiva alla fine del Concilio, e ricordò espressamente il progetto – accantonato – di Congar. Poi, rigirò a Journet una richiesta sorprendente e impegnativa. Disse al cardinale: “Preparatemi voi uno schema di ciò che voi pensate debba essere fatto”».
Davanti alla richiesta papale, appena tornato a Friburgo, Journet coinvolge subito Maritain. Nella lettera del 17 dicembre scrive all’amico filosofo: «Allora, Jacques, come era possibile non pensare di chiedere subito il vostro aiuto? È la questione del tono da trovare, così come delle cose da dire, che è difficile da risolvere. Si dice che non servirebbe un nuovo Syllabus. […] Potreste voi pensare un poco a queste cose, e dirmi ciò che a voi sembra appropriato per illuminare le anime? Più sarete preciso, più questo mi sarà d’aiuto». Racconta il cardinale Cottier: «All’inizio di gennaio, durante un periodo trascorso a Parigi, Maritain redige un progetto di professio fidei. Lo termina l’11 gennaio, e il 20 invia il testo a Journet. Nella lettera d’accompagnamento scrive: “Sono stato contento di farlo: ansioso, allo stesso tempo, di ciò che voi ne penserete; e mortificato e confuso, d’aver dovuto, per redigere queste pagine, mettere per qualche istante, con l’immaginazione, un povero diavolo come me al posto del Santo Padre! Non c’è situazione più idiota”. Poi aggiunge: “Charles, fatene quello che volete, gettatelo nel fuoco se volete. Io sono in uno stato più miserabile che mai; e pur con questo, il documento che il Papa vi ha domandato di preparare mi sembra sempre più così d’importanza capitale”».
Journet, nella sua lettera di risposta, si dice «sbalordito di riconoscenza» alla lettura delle pagine di Maritain. L’indomani, invia il testo tale e quale a Paolo VI: «La questione», scrive Journet al Papa per giustificare il coinvolgimento del comune amico filosofo, «è così difficile, dato lo stato attuale degli spiriti, che io ho pensato di parlarne a Jacques Maritain, che da lungo tempo prega in questa direzione e la cui esperienza del mondo è grande. Io ho appena ricevuto da lui una risposta che Vi trasmetto tale e quale». Aggiunge all’invio due estratti della lettera che aveva ricevuto da Maritain il 20 gennaio. In uno di essi, Maritain suggerisce di radicare la nuova professione di fede «nei Credo antichi, ma con uno stile più semplice».
Dalle lettere emerge chiaramente che il testo elaborato da Maritain voleva essere soltanto una bozza sperimentale che fosse d’aiuto all’amico Journet. È Journet che, con un’iniziativa non concordata, “rigira” il testo sine glossa a Paolo VI. E non lo fa per “promuovere” agli occhi del Papa l’amico Maritain. Ma perché il testo preparato da Maritain gli appare davvero come la risposta sovrabbondante alle attese del momento. «Il miracolo», scrive Journet a Maritain il 24 gennaio, «è che tutti i punti difficili sono stati toccati e riposti in luce». Aggiunge il cardinale Cottier: «Quali fossero i dati essenziali della fede che occorreva confessare davanti alla confusione teologica del tempo, lo stesso Journet lo aveva chiarito nel rapporto che aveva inviato a Roma il 21 settembre ’67, dove enumerava i punti in cui il Catechismo olandese gli sembrava essersi allontanato dalla dottrina della Chiesa: “La caduta originale, il senso della Redenzione, la natura del sacrificio della messa, la presenza corporale di Cristo nell’Eucaristia, la creazione ex nihilo del mondo e di ciascuna anima umana, il primato di Pietro […]. La dottrina del battesimo e dei sacramenti della Nuova Legge […]; il ruolo della Vergine Maria, la sua maternità verginale […], la sua scienza delle cose divine, la sua Immacolata Concezione e la sua Assunzione”».

Paolo VI e Maritain durante la cerimonia di chiusura del Concilio Vaticano II, l’8 dicembre 1965
Paolo VI e Maritain durante la cerimonia di chiusura del Concilio Vaticano II, l’8 dicembre 1965
Una semplice confessio
Nell’introduzione al testo preparato su richiesta di Journet, Maritain aveva aggiunto alcuni suggerimenti di metodo. Secondo lui era opportuno che il Papa usasse una procedura nuova, confessando la sua professione di fede come una pura e semplice testimonianza: «La testimonianza della nostra fede, ecco ciò che noi vogliamo portare davanti a Dio e davanti agli uomini». Secondo Maritain, la pura e semplice confessio fidei avrebbe aiutato meglio la moltitudine delle anime travagliate, senza dover presentare la professione di fede come mero atto d’autorità: «Se il Papa avesse l’aria di prescrivere o d’imporre la sua professione di fede a nome del suo magistero, o dovrebbe dire tutta la verità, sollevando tempeste, o dovrebbe usare dei riguardi, evitando di trattare i punti più pericolosamente minacciati, e ciò sarebbe la cosa peggiore di tutte». La cosa più efficace e necessaria era confessare chiaro e forte l’integrità della fede della Chiesa, senza anatemizzare nessuno.
La prima risposta da Roma arriva il 6 aprile seguente, tramite una lettera inviata a Journet dal domenicano Benoît Duroux, a quel tempo collaboratore del segretario dell’ex Sant’Uffizio Paul Philippe. Duroux, anche a nome del vescovo Philippe, elogia la bozza di Maritain, «mirabilmente concepita». Aggiunge alcune puntualizzazioni – che Journet interpreta come provenienti dallo stesso Paolo VI – sul modo in cui la professio fidei andrà presentata al mondo. Secondo il domenicano di Curia occorre evitare che essa sia sminuita dai partiti ecclesiastici in lotta come se fosse una sorta di professione di fede personale di Giovanni Battista Montini, cosa che la renderebbe del tutto inefficace. Occorre che essa sia proclamata «evitando ogni allusione alla forma anatematica. Ma a nome di colui che occupa attualmente la sede dell’apostolo Pietro. In modo che tutte le ambiguità saranno escluse». Secondo Duroux andrebbe aggiunta anche la precisazione che quando la Chiesa si occupa delle questioni temporali non ha lo scopo di instaurare un paradiso sulla terra, ma semplicemente di rendere la condizione presente degli uomini meno inumana. Un’inserzione che servirebbe a sgombrare il campo da interpretazioni ambigue riguardo alle posizioni assunte da ampi settori ecclesiali soprattutto in America Latina davanti alle ingiustizie politiche e sociali.
Nel successivo scambio di lettere con Journet, Maritain si conferma pienamente d’accordo con le considerazioni provenienti da Roma. Riguardo al giudizio e all’azione della Chiesa nelle vicende temporali, suggerisce di citare nel nuovo Credo l’enciclica Populorum progressio. Questo suo consiglio non verrà accolto, ma evidenzia come nella mente del suo principale autore, il Credo del popolo di Dio fosse in piena continuità armonica con l’enciclica montiniana del 1967, che tante critiche aveva sollevato per il suo realismo di giudizio sulle cose del mondo.
Il Giovedì Santo del 1968, Journet e Maritain rispondono a Duroux per manifestare pieno consenso davanti alle puntualizzazioni giunte da Roma sulle modalità e il tono da impiegare in una eventuale professione di fede di Paolo VI. Montini, dal canto suo, risponderà con un breve biglietto di ringraziamento inviato a Journet. Poi, da Roma, silenzio.


Paolo VI serve il pranzo ai bambini vincitori del “Concorso Presepi” il 30 gennaio 1966
Paolo VI serve il pranzo ai bambini vincitori del “Concorso Presepi” il 30 gennaio 1966
Una “straordinaria avventura”
Il 30 giugno, Paolo VI proclama a San Pietro il Credo del popolo di Dio. Solo il 2 luglio, leggendo il giornale come ogni altro cristiano, Maritain ritrova nelle sintesi riportate ampi estratti del testo che lui aveva inviato a Journet all’inizio dell’anno.
Il Credo del popolo di Dio coincide sostanzialmente con la bozza preparata da Maritain. Lo studioso benedettino Michel Cagin, che sta per pubblicare la sinossi dei testi, conferma in una nota aggiuntiva preparata per il VI volume della Correspondance che la professio fidei firmata dal Papa riprende «la sua concezione di fondo – integrando la trama del Simbolo di Nicea-Costantinopoli con gli sviluppi omogenei del dogma sopravvenuti dopo quello –, e la sua stessa formulazione, sia letteralmente, sia condensandola un poco, omettendo certi ampliamenti, certe esplicazioni, per donare al testo lo stile conciso di un Simbolo». Ma allora, si tratta del Credo di Paolo VI o del Credo di Maritain?
Padre Cottier non ha dubbi. Ogni tentativo di liquidare la professio fidei di Paolo VI come esercitazione di un vecchio filosofo amico del Papa risulta fuori luogo: «Papa Montini aveva scartato già altri progetti, come quello predisposto da Congar. Il testo che si trova davanti, nelle intenzioni nell’autore non era indirizzato a lui, ma a Journet. Semplicemente, papa Montini ha riconosciuto nei contenuti e nella formulazione di quella bozza ciò che era suo compito confessare come pastore, a nome di tutti i sacerdoti e di tutti i fedeli. Nello stendere il suo testo, Maritain aveva solo seguito quasi istintivamente il sensus fidei, lo stesso che si esprimeva in maniera concorde nelle richieste provenienti dal Sinodo dei vescovi e che aveva ispirato Paolo VI nel proclamare l’Anno della fede. Con quella libertà che accompagna sempre le vicende della Chiesa, quando a guidare è il Signore. Al Successore di Pietro non restava altro che riconoscere e autenticare quelle formule, che ripetevano semplicemente l’insegnamento ricevuto da Cristo, che attrae i cuori con la sua grazia».
Nel suo taccuino, dopo aver letto i giornali del 2 luglio, anche il vecchio filosofo annotò con parole struggenti la sua emozione, mettendo tutto a conto dell’aiuto celeste di sua moglie: «Sono confuso. Travagliato dal fatto di essere stato ingaggiato in un mistero che mi sorpassa così tanto. Per fortuna è Raïssa che ha tutto condotto, che ha fatto tutto, dopo l’inizio di questa straordinaria avventura».

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Il Credo di Paolo VI. Chi lo scrisse e perché

Anche la Chiesa ebbe il suo 1968, espresso ad esempio dal Catechismo olandese. La risposta di papa Montini fu il "Credo del popolo di Dio". Oggi si sa che a scriverlo fu il suo amico filosofo Jacques Maritain

di Sandro Magister





ROMA, 6 giugno 2008 – Alla fine di questo mese papa Benedetto XVI inaugurerà un anno giubilare dedicato all'apostolo Paolo, in occasione del secondo millennio della sua nascita. La celebrazione inizierà sabato 28, vigilia della festa del santo, e terminerà un anno dopo.

Quarant'anni fa, tra il 1967 e il 1968, papa Paolo VI fece qualcosa di simile. Dedicò un anno di celebrazioni agli apostoli Pietro e Paolo, in occasione del diciannovesimo centenario del loro martirio. Lo chiamò "Anno della Fede". E lo concluse in piazza San Pietro, il 30 giugno 1968, pronunciando una solenne professione di fede, il "Credo del popolo di Dio".

Il testo di questo Credo ricalcò quello formulato al Concilio di Nicea, che si recita in ogni messa. Ma con importanti complementi e sviluppi.

Come e perché nacque in Paolo VI l'idea di coronare l'Anno della Fede con la proclamazione del Credo del popolo di Dio? E come fu redatto quel testo?

La risposta a queste due domande è in un volume che uscirà presto in Francia, il VI tomo della "Correspondance" tra il teologo e cardinale svizzero Charles Journet e il filosofo francese Jacques Maritain, cioè le 303 lettere che i due si scambiarono tra il 1965 e il 1973.

Perché fu proprio Maritain a scrivere la traccia del Credo del popolo di Dio che poi Paolo VI pronunciò. Nel volume di prossima uscita saranno pubblicati i due testi a fronte, con evidenziate le poche varianti.

Intanto, però, il cardinale Georges Cottier – discepolo di Journet e teologo emerito della casa pontificia – ha già anticipato i retroscena di quel Credo al mensile internazionale "30 Giorni", che vi ha dedicato la copertina dell'ultimo numero.

* * *

Nel 1967 Maritain ha 85 anni. Vive a Tolosa, tra i Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld. Ha appena pubblicato "Le paysan de la Garonne", un'impietosa critica alla Chiesa postconciliare "inginocchiata al mondo".

Il 12 gennaio il cardinale Journet scrive a Maritain che incontrerà presto il papa, a Roma. Né l'uno né l'altro sanno che Paolo VI ha l'intenzione di indire l'Anno della Fede. Ma Maritain risponde a Journet confidandogli che da qualche giorno "un'idea mi è venuta in mente", che così descrive:

"Il Sovrano Pontefice rediga una professione di fede completa e dettagliata, nella quale sia esplicitato tutto ciò che è realmente contenuto nel Simbolo di Nicea. Questa sarà, nella storia della Chiesa, la professione di fede di Paolo VI".

Senza che Maritain gliel'abbia chiesto, Journet fotocopia la lettera del filosofo e la consegna al papa, quando lo incontra il 18 gennaio. In quell'occasione, Paolo VI chiede al teologo un giudizio sulla stato di salute della Chiesa: "Tragico", risponde Journet. Sia lui che il papa sono sotto choc per la pubblicazione avvenuta l'anno prima in Olanda, con la benedizione dei vescovi, di un nuovo Catechismo nientemeno "mirato a sostituire all'interno della Chiesa un'ortodossia a un'altra, un'ortodossia moderna all'ortodossia tradizionale" (così la commissione cardinalizia istituita da Paolo VI per esaminare quel Catechismo, di cui Journet fa parte).

Il 22 febbraio 1967 Paolo VI indice l'Anno della Fede. E due giorni dopo Maritain annota nel suo diario:

"È forse la preparazione per una professione di fede che lui stesso proclamerà?".

Quello stesso anno, dal 29 settembre al 29 ottobre, si riunisce a Roma il primo sinodo dei vescovi. Il rapporto finale della commissione dottrinale sottopone al papa la proposta di una dichiarazione sui punti essenziali della fede.

Il 14 dicembre Paolo VI riceve nuovamente il cardinale Journet. Questi ripresenta al papa l'idea di Maritain. E Paolo VI gli ricorda che già altri avevano suggerito, alla fine del Concilio Vaticano II, di promulgare un nuovo simbolo della fede. Lui stesso, il papa, aveva chiesto al famoso teologo domenicano Yves Congar di preparare un testo, che però non trovò soddisfacente, e accantonò.

Poi all'improvviso Paolo VI dice a Journet: "Preparatemi voi uno schema di ciò che voi pensate debba essere fatto".

Tornato in Svizzera, Journet riferisce la richiesta del papa a Maritain. E questi, all'inizio del nuovo anno, mentre è a Parigi, redige un progetto di professione di fede. Lo termina l'11 gennaio 1968 e il 20 lo invia a Journet. Che il giorno dopo lo trasmette a Paolo VI.

Dalla corrispondenza tra il teologo e il filosofo risulta che il testo elaborato da Maritain voleva essere soltanto una traccia che fosse d'aiuto a Journet. Ma è quest'ultimo che, di sua iniziativa, inoltra il testo al papa, senza aggiungervi nulla. A giudizio di Journet, in esso già trovavano risposta tutti i dubbi sollevati dal Catechismo olandese e da altri teologi contestatori su dogmi quali il peccato originale, la messa come sacrificio, la presenza reale di Cristo nell'eucaristia, la creazione dal nulla, il primato di Pietro, la verginità di Maria, l'immacolata concezione, l'assunzione.

Il 6 aprile arriva da Roma una lettera del teologo domenicano Benoît Duroux, consulente della congregazione per la dottrina della fede. Elogia il testo di Maritain e lo correda con alcuni commenti, che Journet interpreta come provenienti dallo stesso Paolo VI. Il quale a sua volta invia al cardinale un breve biglietto di ringraziamento.

Poi più nulla. Il 30 giugno 1968 Paolo VI pronuncia solennemente in piazza San Pietro il Credo del popolo di Dio. Maritain lo viene a sapere solo il 2 luglio, leggendo un giornale. Dalle citazioni, intuisce che il Credo pronunciato dal papa coincide ampiamente con la traccia scritta da lui.

E in effetti è così. Tra le poche variazioni, ce n'è una che riguarda gli ebrei e i musulmani.

In un passaggio, Maritain aveva citato esplicitamente la comune testimonianza che israeliti e islamici rendono all'unità di Dio insieme ai cristiani. Nel suo Credo, invece, Paolo VI rende grazie alla bontà divina per i "tanti credenti" che condividono con i cristiani la fede nel Dio unico, ma senza citare in forma esplicita l'ebraismo e l'islam.

Negli anni Cinquanta, Maritain fu vicino ad essere condannato dal Sant'Uffizio per il suo pensiero filosofico, sospettato di "naturalismo integrale". La condanna non scattò anche perché ne prese le difese Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, all'epoca sostituto segretario di stato, legato da lunga amicizia con il pensatore francese.

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(*): Su questo blog ho dedicato al "Credo del popolo di Dio" di Paolo VI i post seguenti:


28 Feb 2011
Ho pensato di offrire, come lettura spirituale, cominciando da stasera 28 febbraio, i documenti più importanti del Magistero della Chiesa sulla grazia. Perchè questa scelta? Perchè "niente più della grazia dello Spirito Santo ...
01 Mar 2011
Il brano che pubblico questa sera 1 marzo è tratto (come il precedente, "Per Grazia ricevuta...", pubblicato ieri) dal Credo del popolo di Dio di papa Paolo VI. Non è altro e non vuole essere altro che l'esplicitazione degli articoli ...
02 Mar 2011
Il peccato originale e la grazia. Masaccio. Cacciata di Adamo ed Eva. Part. 1424 ca. Affresco. Firenze, Chiesa del Carmine, Cappella Brancacci Continuo ancora questa sera 2 marzo con il "Credo del popolo di Dio", ...
03 Mar 2011
Piena di grazia. sopra: Dipinto di Kiko Arguello. La scritta dice: "Ave, Stella Novae Evangelizationis Tertio Millennio. Maria Humilis, Mater Gloriosa". Continuo la pubblicazione del "Credo del popolo di Dio" pronunciato da ...

07 Mar 2011
"Nel corso del tempo, il Signore Gesù forma la sua Chiesa mediante i sacramenti, che emanano dalla sua pienezza (cfr. Lumen gentium, nn. 7. 11). È con essi che la Chiesa rende i propri membri partecipi del mistero della ...
08 Mar 2011
Anche desiderare è grazia. http://piccpen.files.wordpress.com/2010/03/ A commento del brano del Credo del popolo di Dio di oggi 8 marzo, pubblico innanzitutto l'incipit del canone 849 del Codice di Diritto canonico, ...

09 Mar 2011
La locanda della felicità. Vincent Van Gogh: "Il Buon Samaritano". Domani 10 marzo uscirà il secondo libro del Papa su Gesù di Nazareth ("Dall'ingresso a Gerusalemme alla Risurrezione", LEV). Il primo,  pubblicato due anni ...

10 Mar 2011
Ricordati che devi morire. http://4.bp.blogspot.com/_i56j7kId3x4/TN1Qbt-. All'inizio della Quaresima, a commento del Credo del popolo di Dio di papa Paolo VI, che ci accompagna già da qualche giorno, credo sia oltremodo ...

04 Ott 2012
Quel Sinodo nato per evangelizzare. Sinodo dei vescovi. Particolarmente interessante è l'articolo seguente, sulla storia del Sinodo dei Vescovi, che Andrea Tornielli pubblica oggi su Vatican Insider. Soprattutto in riferimento ...