«Se vogliono essere credibili in seno a una società secolarizzata, sia i cristiani, sia i musulmani e sia gli ebrei, devono impegnarsi a favore dei diritti umani e della libertà di religione non solo nel proprio Paese, ma anche a livello internazionale». Lo ha affermato il vescovo di Graz-Seckau in occasione della celebrazione per i cento anni della legge austriaca sull’islam, che si è tenuta il 6 ottobre. Pubblichiamo, qui di seguito, l’intervento pronunciato nell’aula della Alte Universität Graz.
di Egon Kapellari
Motivo di questa celebrazione è il giubileo «100 anni della legge sull’islam in Austria». Dopo l’occupazione e l’annessione di Bosnia ed Erzegovina da parte della monarchia danubiana austriaca, l’ordinamento giuridico austriaco ha riconosciuto ai musulmani che vivevano in tali regioni una normativa che, facendo un confronto con altri Stati dell’Europa centrale e occidentale, appare ancora oggi paradigmatica. Detta legge ha riconosciuto anche ai cittadini di religione musulmana i diritti stabiliti dalla «legge fondamentale dello Stato sui diritti generali dei cittadini» del 1867, relativi alla libertà di religione e al pari trattamento di tutte le Chiese e le comunità religiose riconosciute dallo Stato.
Il lungo cammino verso questa legge fondamentale dello Stato ha avuto inizio nel Medioevo, durante la lotta delle investiture, e aveva portato, dopo le guerre confessionali del XVII secolo, a una relativa separazione tra Stato e comunità religiose, con l’abbandono del principio sancito dalla pace di Augusta del 1555.
Lo Stato austriaco, sulla base della suddetta legge fondamentale dello Stato, per principio si pone in modo neutrale dinanzi alle Chiese e alle comunità religiose da esso riconosciute. Non si tratta però di una posizione che denota mancanza di interesse o di rapporto, bensì di un modo positivo d’intendere la neutralità. Lo Stato ha l’obbligo di assicurare il bene dei propri cittadini, e pertanto deve garantire anche giuridicamente la libertà di culto. In tal senso, né la legge per le comunità di culto israelitiche, né la legge sull’islam, né il concordato tra l’Austria e la Santa Sede relativo alla Chiesa cattolica sono da considerarsi privilegi.
Durante il concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica, nella dichiarazione sulle sue relazioni con le religioni non cristiane, ha riflettuto anche sui rapporti con i musulmani e ha parlato di loro con stima. I cristiani — disse allora il concilio — si impegneranno, insieme con i musulmani, a «difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà» (Nostra aetate, n. 3). La legge austriaca sull’islam consolida le fondamenta per una buona convivenza nello Stato e nelle comunità.
Il giubileo della legge austriaca sull’islam può e deve essere anche un’occasione per riflettere sulla vita gli uni con gli altri, gli uni accanto agli altri o anche gli uni contro gli altri, di ebrei, cristiani e musulmani in una società secolarizzata. Le Chiese cristiane, e quindi anche la Chiesa cattolica, fanno molto per favorire questa convivenza. Io stesso, nei diciotto anni trascorsi come cappellano per gli studenti delle università di Graz, e anche come direttore dell’Istituto afro-asiatico di Graz dal 1964 al 1982, mi sono costantemente dedicato a ciò, trovando non pochi amici tra i musulmani. Se oggi vogliamo procedere su questo cammino degli uni con gli altri, allora i problemi, e specialmente anche le ingiustizie e le paure, devono essere chiamati apertamente per nome, e senza belle parole per attenuarli, da qualunque parte essi provengano: cristiana, musulmana o ebrea. E non riguardano unicamente il contesto austriaco o europeo, ma anche sempre il contesto globale. Nella società secolarizzata attuale ai cristiani vengono attribuiti anche gli errori di compagni di fede del passato e del presente geograficamente e storicamente molto lontani. Lo stesso vale per musulmani ed ebrei.
Se vogliono essere credibili in seno a una società secolarizzata, sia i cristiani, sia i musulmani e gli ebrei, devono impegnarsi a favore dei diritti umani e della libertà di religione non solo nel proprio Paese, ma anche a livello internazionale. I cristiani in Austria sono solo una piccola parte dei cristiani nel mondo, e i musulmani in Austria sono una parte ancora più piccola della grande comunità islamica mondiale. Per quanto riguarda però la collaborazione produttiva — seppure spesso ricca di tensioni — delle religioni mondiali in una società secolarizzata critica dinanzi alle religioni, l’Austria può comunque essere un piccolo mondo nel quale il grande mondo fa le sue prove. Il giubileo della legge austriaca sull’islam deve essere inteso e celebrato come impulso in tal senso.
L'Osservatore Romano 31 ottobre 2012
Motivo di questa celebrazione è il giubileo «100 anni della legge sull’islam in Austria». Dopo l’occupazione e l’annessione di Bosnia ed Erzegovina da parte della monarchia danubiana austriaca, l’ordinamento giuridico austriaco ha riconosciuto ai musulmani che vivevano in tali regioni una normativa che, facendo un confronto con altri Stati dell’Europa centrale e occidentale, appare ancora oggi paradigmatica. Detta legge ha riconosciuto anche ai cittadini di religione musulmana i diritti stabiliti dalla «legge fondamentale dello Stato sui diritti generali dei cittadini» del 1867, relativi alla libertà di religione e al pari trattamento di tutte le Chiese e le comunità religiose riconosciute dallo Stato.
Il lungo cammino verso questa legge fondamentale dello Stato ha avuto inizio nel Medioevo, durante la lotta delle investiture, e aveva portato, dopo le guerre confessionali del XVII secolo, a una relativa separazione tra Stato e comunità religiose, con l’abbandono del principio sancito dalla pace di Augusta del 1555.
Lo Stato austriaco, sulla base della suddetta legge fondamentale dello Stato, per principio si pone in modo neutrale dinanzi alle Chiese e alle comunità religiose da esso riconosciute. Non si tratta però di una posizione che denota mancanza di interesse o di rapporto, bensì di un modo positivo d’intendere la neutralità. Lo Stato ha l’obbligo di assicurare il bene dei propri cittadini, e pertanto deve garantire anche giuridicamente la libertà di culto. In tal senso, né la legge per le comunità di culto israelitiche, né la legge sull’islam, né il concordato tra l’Austria e la Santa Sede relativo alla Chiesa cattolica sono da considerarsi privilegi.
Durante il concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica, nella dichiarazione sulle sue relazioni con le religioni non cristiane, ha riflettuto anche sui rapporti con i musulmani e ha parlato di loro con stima. I cristiani — disse allora il concilio — si impegneranno, insieme con i musulmani, a «difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà» (Nostra aetate, n. 3). La legge austriaca sull’islam consolida le fondamenta per una buona convivenza nello Stato e nelle comunità.
Il giubileo della legge austriaca sull’islam può e deve essere anche un’occasione per riflettere sulla vita gli uni con gli altri, gli uni accanto agli altri o anche gli uni contro gli altri, di ebrei, cristiani e musulmani in una società secolarizzata. Le Chiese cristiane, e quindi anche la Chiesa cattolica, fanno molto per favorire questa convivenza. Io stesso, nei diciotto anni trascorsi come cappellano per gli studenti delle università di Graz, e anche come direttore dell’Istituto afro-asiatico di Graz dal 1964 al 1982, mi sono costantemente dedicato a ciò, trovando non pochi amici tra i musulmani. Se oggi vogliamo procedere su questo cammino degli uni con gli altri, allora i problemi, e specialmente anche le ingiustizie e le paure, devono essere chiamati apertamente per nome, e senza belle parole per attenuarli, da qualunque parte essi provengano: cristiana, musulmana o ebrea. E non riguardano unicamente il contesto austriaco o europeo, ma anche sempre il contesto globale. Nella società secolarizzata attuale ai cristiani vengono attribuiti anche gli errori di compagni di fede del passato e del presente geograficamente e storicamente molto lontani. Lo stesso vale per musulmani ed ebrei.
Se vogliono essere credibili in seno a una società secolarizzata, sia i cristiani, sia i musulmani e gli ebrei, devono impegnarsi a favore dei diritti umani e della libertà di religione non solo nel proprio Paese, ma anche a livello internazionale. I cristiani in Austria sono solo una piccola parte dei cristiani nel mondo, e i musulmani in Austria sono una parte ancora più piccola della grande comunità islamica mondiale. Per quanto riguarda però la collaborazione produttiva — seppure spesso ricca di tensioni — delle religioni mondiali in una società secolarizzata critica dinanzi alle religioni, l’Austria può comunque essere un piccolo mondo nel quale il grande mondo fa le sue prove. Il giubileo della legge austriaca sull’islam deve essere inteso e celebrato come impulso in tal senso.
L'Osservatore Romano 31 ottobre 2012