mercoledì 17 ottobre 2012

Vuoi assaggiare, tesoro?



Mia moglie ha una passione viscerale per il cibo, ma che non è gola, è  invero gusto per l’assaggiare i sapori. Io di contro vivrei di menù fisso. Così capita che se, per dire, si sta mangiando la stessa pasta, lei al sugo ed io in bianco, come uno studente impreparato all’esame mi ritrovo a paventare l’incombente interrogazione: “Posso sentire com’è la tua?”, mentre la sua forchetta già si protende verso il mio piatto a violare l’intimità della mia pietanza, come un invasore che mi depreda, che se mi pungolasse  invece le carni mi sarebbe di minor fastidio.
 Ebbene oggi, puntuale, si è riproposto il siparietto, ma sorprendentemente, anziché il furore represso è stata la catarsi a cogliermi d’un tratto. Poiché in effetti la vocazione a cui ho risposto è quella di farmi totalmente dono per lei, ogni istante e “finché morte non ci separi”, ed allora dovrei essere io, rinnegando la mia natura plantigrada, ad offrire per primo a lei un assaggio, senza che lei debba chiedermelo. Ma quante volte, invece, sono colpevole di questi piccoli tradimenti a quel “sì” solenne che pur proferii convinto e consapevole davanti a Dio e agli uomini? Quante volte mi sorprendo infedele a quella promessa di uscire da me stesso per creare un vuoto accogliente per lei?
Perché questo è il matrimonio in Cristo, ed è tanto esigente che persino gli apostoli, davanti alla rivelazione di Gesù si dissero: “Se questa è la situazione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”. Al che Egli rispose loro: “Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso” (Matteo 19,10-11).
Ebbene io, come chiunque si sposi cristianamente, ho ritenuto di essere tra quelli a cui è stato concesso, eppure tradisco mia moglie ogni giorno e le mie infedeltà a quella promessa non si contano nemmeno più, oramai. Bisogna concluderne che il matrimonio è un’utopia? Che questa vocazione alla santità è un’illusione? Forse per chi non crede, ma non per chi nel suo sposalizio tende a  conformarsi a quello che unisce Cristo alla sua Chiesa: poiché come quest’ultima anche ogni coniuge cristiano può fallire ogni giorno la sua vocazione, ma per l’Amore di Colui che l’ha chiamato ad amarLo e lasciarsi riamare incondizionatamente nella consorte, ad ogni caduta verrà rialzato per ritentare, in una morte a se stessi che, per grazia celeste, se domandata, conduce a risurrezione.
Perché l’amore non si nutre solo di sentimento, ma forse anche più, e più profondamente, di volontà d’amare e la ricetta sempre valida per ogni relazione, tanto più per quella tra due sposi, la sintetizzò già efficacemente quella Rita da Cascia che prima d’esser Santa fu moglie e madre: perdonare sempre, perdonare tutto. Poiché il perdono è grazia di Dio che si traduce nella relazione con la presenza viva di quel Cristo crocifisso che solo salva con la sua risurrezione, cosicché per l’intercessione potente di quella Madre e Sposa che è Maria, in ogni tempo, per ogni coppia di sposi, con l’amore offeso che perdona, si ripropone quel miracolo di Cana che trasmuta la caducità del sentimento umano nell’Amore sempiterno di Dio.
E allora moglie mia io ti rinnovo qui, per il domani, questa promessa, che prima che tu me lo domandi, io ti porgerò il mio morire a me stesso in quella offerta: “Vuoi assaggiare?”. (A.T. Giovanoli)
Fonte:costanzamiriano.com