martedì 6 agosto 2013

Messaggio del Santo Padre Francesco per l’87.ma Giornata Missionaria Mondiale



[Text: Italiano, Français, English, Español] 

 Di seguito il Messaggio del Santo Padre Francesco per l’87.ma Giornata Missionaria Mondiale, che si celebra domenica 20 ottobre p.v, a ridosso della conclusione dell’Anno della fede:
Cari fratelli e sorelle,
quest’anno celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale mentre si sta concludendo l’Anno della fede, occasione importante per rafforzare la nostra amicizia con il Signore e il nostro cammino come Chiesa che annuncia con coraggio il Vangelo. In questa prospettiva, vorrei proporre alcune riflessioni.
1. La fede è dono prezioso di Dio, il quale apre la nostra mente perché lo possiamo conoscere ed amare. Egli vuole entrare in relazione con noi per farci partecipi della sua stessa vita e rendere la nostra vita più piena di significato, più buona, più bella. Dio ci ama! La fede, però, chiede di essere accolta, chiede cioè la nostra personale risposta, il coraggio di affidarci a Dio, di vivere il suo amore, grati per la sua infinita misericordia. E' un dono, poi, che non è riservato a pochi, ma che viene offerto con generosità. Tutti dovrebbero poter sperimentare la gioia di sentirsi amati da Dio, la gioia della salvezza! Ed è un dono che non si può tenere solo per se stessi, ma che va condiviso. Se noi vogliamo tenerlo soltanto per noi stessi, diventeremo cristiani isolati, sterili e ammalati. L’annuncio del Vangelo fa parte dell’essere discepoli di Cristo ed è un impegno costante che anima tutta la vita della Chiesa. «Lo slancio missionario è un segno chiaro della maturità di una comunità ecclesiale» (Benedetto XVI, Esort. ap. Verbum Domini, 95). Ogni comunità è "adulta" quando professa la fede, la celebra con gioia nella liturgia, vive la carità e annuncia senza sosta la Parola di Dio, uscendo dal proprio recinto per portarla anche nelle "periferie", soprattutto a chi non ha ancora avuto l’opportunità di conoscere Cristo. La solidità della nostra fede, a livello personale e comunitario, si misura anche dalla capacità di comunicarla ad altri, di diffonderla, di viverla nella carità, di testimoniarla a quanti ci incontrano e condividono con noi il cammino della vita.
2. L’Anno della fede, a cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, è di stimolo perché l'intera Chiesa abbia una rinnovata consapevolezza della sua presenza nel mondo contemporaneo, della sua missione tra i popoli e le nazioni. La missionarietà non è solo una questione di territori geografici, ma di popoli, di culture e di singole persone, proprio perché i "confini" della fede non attraversano solo luoghi e tradizioni umane, ma il cuore di ciascun uomo e di ciascuna donna, Il Concilio Vaticano II ha sottolineato in modo speciale come il compito missionario, il compito di allargare i confini della fede, sia proprio di ogni battezzato e di tutte le comunità cristiane: «Poiché il popolo di Dio vive nelle comunità, specialmente in quelle diocesane e parrocchiali, ed in esse in qualche modo appare in forma visibile, tocca anche a queste comunità rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni» (Decr. Ad gentes, 37). Ciascuna comunità è quindi interpellata e invitata a fare proprio il mandato affidato da Gesù agli Apostoli di essere suoi «testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8), non come un aspetto secondario della vita cristiana, ma come un aspetto essenziale: tutti siamo inviati sulle strade del mondo per camminare con i fratelli, professando e testimoniando la nostra fede in Cristo e facendoci annunciatori del suo Vangelo. Invito i Vescovi, i Presbiteri, i Consigli presbiterali e pastorali, ogni persona e gruppo responsabile nella Chiesa a dare rilievo alla dimensione missionaria nei programmi pastorali e formativi, sentendo che il proprio impegno apostolico non è completo se non contiene il proposito di "rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni", di fronte a tutti i popoli. La missionarietà non è solamente una dimensione programmatica nella vita cristiana, ma anche una dimensione paradigmatica che riguarda tutti gli aspetti della vita cristiana.
3. Spesso l'opera di evangelizzazione trova ostacoli non solo all'esterno, ma all’interno della stessa comunità ecclesiale. A volte sono deboli il fervore, la gioia, il coraggio, la speranza nell’annunciare a tutti il Messaggio di Cristo e nell’aiutare gli uomini del nostro tempo ad incontrarlo. A volte si pensa ancora che portare la verità del Vangelo sia fare violenza alla libertà. Paolo VI ha parole illuminanti al riguardo: «Sarebbe ... un errore imporre qualcosa alla coscienza dei nostri fratelli. Ma proporre a questa coscienza la verità evangelica e la salvezza di Gesù Cristo con piena chiarezza e nel rispetto assoluto delle libere opzioni che essa farà ... è un omaggio a questa libertà» (Esort, ap. Evangelii nuntiandi, 80). Dobbiamo avere sempre il coraggio e la gioia di proporre, con rispetto, l’incontro con Cristo, di farci portatori del suo Vangelo. Gesù è venuto in mezzo a noi per indicare la via della salvezza, ed ha affidato anche a noi la missione di farla conoscere a tutti, fino ai confini della terra. Spesso vediamo che sono la violenza, la menzogna, l’errore ad essere messi in risalto e proposti. E’ urgente far risplendere nel nostro tempo la vita buona del Vangelo con l’annuncio e la testimonianza, e questo dall’interno stesso della Chiesa. Perché, in questa prospettiva, è importante non dimenticare mai un principio fondamentale per ogni evangelizzatore: non si può annunciare Cristo senza la Chiesa. Evangelizzare non è mai un atto isolato, individuale, privato, ma sempre ecclesiale. Paolo VI scriveva che «quando il più sconosciuto predicatore, missionario, catechista o Pastore, annuncia il Vangelo, raduna la comunità, trasmette la fede, amministra un Sacramento, anche se è solo, compie un atto di Chiesa». Egli non agisce «per una missione arrogatasi, né in forza di un'ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa» (ibidem). E questo dà forza alla missione e fa sentire ad ogni missionario ed evangelizzatore che non è mai solo, ma parte di un unico Corpo animato dallo Spirito Santo.
4. Nella nostra epoca, la mobilità diffusa e la facilità di comunicazione attraverso i new media hanno mescolato tra loro i popoli, le conoscenze, le esperienze. Per motivi di lavoro intere famiglie si spostano da un continente all'altro; gli scambi professionali e culturali, poi, il turismo e fenomeni analoghi spingono a un ampio movimento di persone. A volte risulta difficile persino per le comunità parrocchiali conoscere in modo sicuro e approfondito chi è di passaggio o chi vive stabilmente sul territorio. Inoltre, in aree sempre più ampie delle regioni tradizionalmente cristiane cresce il numero di coloro che sono estranei alla fede, indifferenti alla dimensione religiosa o animati da altre credenze. Non di rado poi, alcuni battezzati fanno scelte di vita che li conducono lontano dalla fede, rendendoli così bisognosi di una "nuova evangelizzazione". A tutto ciò si aggiunge il fatto che ancora un'ampia parte dell'umanità non è stata raggiunta dalla buona notizia di Gesù Cristo. Viviamo poi in un momento di crisi che tocca vari settori dell'esistenza, non solo quello dell’economia, della finanza, della sicurezza alimentare, dell’ambiente, ma anche quello del senso profondo della vita e dei valori fondamentali che la animano. Anche la convivenza umana è segnata da tensioni e conflitti che provocano insicurezza e fatica di trovare la via per una pace stabile. In questa complessa situazione, dove l'orizzonte del presente e del futuro sembrano percorsi da nubi minacciose, si rende ancora più urgente portare con coraggio in ogni realtà il Vangelo di Cristo, che è annuncio di speranza, di riconciliazione, di comunione, annuncio della vicinanza di Dio, della sua misericordia, della sua salvezza, annuncio che la potenza di amore di Dio è capace di vincere le tenebre del male e guidare sulla via del bene. L’uomo del nostro tempo ha bisogno di una luce sicura che rischiara la sua strada e che solo l’incontro con Cristo può donare. Portiamo a questo mondo, con la nostra testimonianza, con amore, la speranza donata dalla fede! La missionarietà della Chiesa non è proselitismo, bensì testimonianza di vita che illumina il cammino, che porta speranza e amore. La Chiesa - lo ripeto ancora una volta - non è un’organizzazione assistenziale, un’impresa, una ONG, ma è una comunità di persone, animate dall'azione dello Spirito Santo, che hanno vissuto e vivono lo stupore dell’incontro con Gesù Cristo e desiderano condividere questa esperienza di profonda gioia, condividere il Messaggio di salvezza che il Signore ci ha portato. E’ proprio lo Spirito Santo che guida la Chiesa in questo cammino.
5. Vorrei incoraggiare tutti a farsi portatori della buona notizia di Cristo e sono grato in modo particolare ai missionari e alle missionarie, ai presbiteri fidei donum, ai religiosi e alle religiose, ai fedeli laici - sempre più numerosi - che, accogliendo la chiamata del Signore, lasciano la propria patria per servire il Vangelo in terre e culture diverse. Ma vorrei anche sottolineare come le stesse giovani Chiese si stiano impegnando generosamente nell’invio di missionari alle Chiese che si trovano in difficoltà - non raramente Chiese di antica cristianità - portando così la freschezza e l’entusiasmo con cui esse vivano la fede che rinnova la vita e dona speranza. Vivere in questo respiro universale, rispondendo al mandato di Gesù «andate dunque e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28, 19) è una ricchezza per ogni Chiesa particolare, per ogni comunità, e donare missionari e missionarie non è mai una perdita, ma un guadagno. Faccio appello a quanti avvertono tale chiamata a corrispondere generosamente alla voce dello Spirito, secondo il proprio stato di vita, e a non aver paura dì essere generosi con il Signore. Invito anche i Vescovi, le famiglie religiose, le comunità e tutte le aggregazioni cristiane a sostenere, con lungimiranza e attento discernimento, la chiamata missionaria ad gentes e ad aiutare le Chiese che hanno necessità di sacerdoti, di religiosi e religiose e di laici per rafforzare la comunità cristiana. E questa dovrebbe essere un’attenzione presente anche tra le Chiese che fanno parte di una stessa Conferenza Episcopale o di una Regione: è importante che le Chiese più ricche di vocazioni aiutino con generosità quelle che soffrono per la loro scarsità.
    Insieme esorto i missionari e le missionarie, specialmente i presbiteri fidei donum e i laici, a vivere con gioia il loro prezioso servizio nelle Chiese a cui sono inviati, e a portare la loro gioia e la loro esperienza alle Chiese da cui provengono, ricordando come Paolo e Barnaba al termine del loro primo viaggio missionario «riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede» (At 14,27). Essi possono diventare una via per una sorta di "restituzione" della fede, portando la freschezza delle giovani Chiese, affinché le Chiese di antica cristianità ritrovino l’entusiasmo e la gioia di condividere la fede in uno scambio che è arricchimento reciproco nel cammino di sequela del Signore.
    La sollecitudine verso tutte le Chiese, che il Vescovo di Roma condivide con i confratelli Vescovi, trova un'importante attuazione nell’impegno delle Pontificie Opere Missionarie, che hanno lo scopo di animare e approfondire la coscienza missionaria di ogni battezzato e di ogni comunità, sia richiamando la necessità di una più profonda formazione missionaria dell'intero Popolo di Dio, sia alimentando la sensibilità delle Comunità cristiane ad offrire il loro aiuto per favorire la diffusione del Vangelo nel mondo.
    Un pensiero infine ai cristiani che, in varie parti del mondo, si trovano in difficoltà nel professare apertamente la propria fede e nel vedere riconosciuto il diritto a viverla dignitosamente. Sono nostri fratelli e sorelle, testimoni coraggiosi - ancora più numerosi dei martiri nei primi secoli - che sopportano con perseveranza apostolica le varie forme attuali di persecuzione, Non pochi rischiano anche la vita per rimanere fedeli al Vangelo di Cristo. Desidero assicurare che sono vicino con la preghiera alle persone, alle famiglie e alle comunità che soffrono violenza e intolleranza e ripeto loro le parole consolanti di Gesù: «Coraggio, io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).
Benedetto XVI esortava: «"La Parola del Signore corra e sia glorificata" (2Ts 3,1): possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo» (Lett. ap. Porta fidei, 15). È il mio auspicio per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno. Benedico di cuore i missionari e le missionarie e tutti coloro che accompagnano e sostengono questo fondamentale impegno della Chiesa affinché l’annuncio del Vangelo possa risuonare in tutti gli angoli della terra, e noi, ministri del Vangelo e missionari, sperimenteremo "la dolce e confortante gioia di evangelizzare" (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80).
Dal Vaticano, 19 maggio 2013, Solennità di Pentecoste
FRANCESCO
[01150-01.01] [Testo originale: Italiano]

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La missione è minacciata dal relativismo
di Massimo Introvigne

Papa Francesco ha diffuso il suo messaggio per  la Giornata Missionaria Mondiale, formalmente datato 19 maggio. Il messaggio propone cinque riflessioni, ispirate all'Anno della fede, e ha al centro l'importante considerazione secondo cui oggi gli ostacoli alla missione vengono anche «dall'interno» della Chiesa, dove si diffonde la convinzione che annunciare una verità agli altri equivarrebbe a mancare di rispetto alla loro libertà. Questa convinzione riposa sull'idea che la verità non esista o non sia importante, cioè sul relativismo. Ma esaminiamo uno per uno i cinque punti di Papa Francesco.

Primo: «La fede è dono prezioso di Dio, il quale apre la nostra mente perché lo possiamo conoscere ed amare». È il più grande dono che Dio ci fa. Ed è «un dono che non si può tenere solo per se stessi, ma che va condiviso. Se noi vogliamo tenerlo soltanto per noi stessi, diventeremo cristiani isolati, sterili e ammalati». Si parla molto di cattolici adulti: ma in realtà, spiega il Papa,  una comunità «è “adulta”»  quando «annuncia senza sosta la Parola di Dio, uscendo dal proprio recinto per portarla anche nelle “periferie”, soprattutto a chi non ha ancora avuto l’opportunità di conoscere Cristo». Se la fede di una parrocchia, un movimento, una comunità è genuina e solida lo si vede dalla capacità di comunicarla in modo missionario agli altri.

Secondo: tutti sono missionari. Non solo chi va in missione in terre lontane, non solo i sacerdoti e le suore. È un grande insegnamento del Vaticano II, di cui l'Anno della fede celebra il cinquantenario invitando a rileggerne i documenti. Leggiamo allora nel decreto «Ad gentes»: «Poiché il popolo di Dio vive nelle comunità, specialmente in quelle diocesane e parrocchiali, ed in esse in qualche modo appare in forma visibile, tocca anche a queste comunità rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni».  Vale anche per i movimenti, e Francesco invita «ogni persona e gruppo responsabile nella Chiesa a dare rilievo alla dimensione missionaria». Infatti, «la missionarietà non è solamente una dimensione programmatica nella vita cristiana, ma anche una dimensione paradigmatica che riguarda tutti gli aspetti della vita cristiana».

Terzo: come accennato, «spesso l'opera di evangelizzazione trova ostacoli non solo all'esterno,ma all’interno della stessa comunità ecclesiale». A volte si tratta di debolezza umana. Ma altre volte, il che è molto più grave, s'insinua il relativismo, e «si pensa [...] che portare la verità del Vangelo sia fare violenza alla libertà». Già il venerabile Paolo VI (1897-1978), ricorda Francesco, dovette rispondere a questo relativismo in un documento che il regnante Pontefice cita volentieri e considera decisivo, l'esortazione apostolica «Evangelii nuntiandi». «Spesso vediamo che sono la violenza, la menzogna, l’errore ad essere messi in risalto e proposti»: e non si dovrebbe forse annunciare il Vangelo? C'è però anche un'altra forma di relativismo: «Annunciare Cristo senza la Chiesa», annunciare le proprie soggettive opinioni su Cristo anziché la dottrina cattolica. Francesco cita ancora la «Evangelii nuntiandi» del venerabile Paolo VI: «Quando il più sconosciuto predicatore, missionario, catechista o Pastore, annuncia il Vangelo, raduna la comunità, trasmette la fede, amministra un Sacramento, anche se è solo, compie un atto di Chiesa». Egli non agisce «per una missione arrogatasi, né in forza di un'ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa». 

Quarto: il contesto della missione è oggi insieme difficilissimo e affascinante. Molti si spostano continuamente, e «a volte risulta difficile persino per le comunità parrocchiali conoscere in modo sicuro e approfondito chi è di passaggio o chi vive stabilmente sul territorio. Inoltre, in aree sempre più ampie delle regioni tradizionalmente cristiane cresce il numero di coloro che sono estranei alla fede, indifferenti alla dimensione religiosa o animati da altre credenze. Non di rado poi, alcuni battezzati fanno scelte di vita che li conducono lontano dalla fede». Gli stessi nuovi media chiudono alcuni in casa di fronte al loro computer, con scarse relazioni sociali. La crisi economica si collega a una crisi «del senso profondo della vita e dei valori fondamentali». In molte parti del mondo la violenza diventa endemica e genera insicurezza. «In questa complessa situazione, dove l'orizzonte del presente e del futuro sembrano percorsi da nubi minacciose, si rende ancora più urgente portare con coraggio in ogni realtà il Vangelo di Cristo». Chi abita in un mondo in crisi ha più, non meno bisogno di «nuova evangelizzazione»: ha bisogno del Vangelo, non solo di aiuti materiali. «La Chiesa - lo ripeto ancora una volta - non è un’organizzazione assistenziale, un’impresa, una ONG, ma è una comunità di persone, animate dall'azione dello Spirito Santo, che hanno vissuto e vivono lo stupore dell’incontro con Gesù Cristo e desiderano condividere questa esperienza di profonda gioia, condividere il Messaggio di salvezza che il Signore ci ha portato».

Quinto: oggi assistiamo a un fenomeno nuovo. Cattolici dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina - tra cui non pochi sacerdoti - vengono a prestare il loro servizio pastorale in Europa. Le «giovani Chiese si stanno impegnando generosamente nell’invio di missionari alle Chiese che si trovano in difficoltà - non raramente Chiese di antica cristianità - portando così la freschezza e l’entusiasmo con cui esse vivono la fede che rinnova la vita e dona speranza». Non mancano le difficoltà, ma in questa nuova missione emerge il «respiro universale» della Chiesa, e il Papa ammira la generosità e «la freschezza delle giovani Chiese», che non di rado può essere di esempio «affinché le Chiese di antica cristianità ritrovino l’entusiasmo e la gioia». 
Queste ultime, le Chiese europee, dovrebbero ricambiare il dono anzitutto sostenendo e aiutando «i cristiani che, in varie parti del mondo, si trovano in difficoltà nel professare apertamente la propria fede e nel vedere riconosciuto il diritto a viverla dignitosamente. Sono nostri fratelli e sorelle, testimoni coraggiosi - ancora più numerosi dei martiri nei primi secoli - che sopportano con perseveranza apostolica le varie forme attuali di persecuzione, Non pochi rischiano anche la vita per rimanere fedeli al Vangelo di Cristo». I martiri e i perseguitati non devono essere dimenticati nell'Anno della Fede.

Francesco conclude con le parole di Benedetto XVI nella lettera apostolica «Porta fidei» che indiceva l'Anno della fede: «"La Parola del Signore corra e sia glorificata'’ (2Ts 3,1): possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo». E per trovare anche la gioia, «la dolce e confortante gioia di evangelizzare» che il venerabile Paolo VI metteva al centro della «Evangelii nuntiandi».

Chers frères et sœurs,
Cette année, nous célébrons la Journée missionnaire mondiale alors que s’achève l’Année de la foi, occasion importante pour renforcer notre amitié avec le Seigneur et notre cheminement en tant qu’Église qui annonce avec courage l’Évangile. Dans cette perspective, je souhaiterais proposer quelques réflexions.
1. La foi est un précieux don de Dieu, qui ouvre notre esprit afin que nous puissions le connaître et l’aimer. Il veut entrer en relation avec nous afin de nous faire participer à sa vie même et rendre notre vie davantage pleine de signification, meilleure, plus belle. Dieu nous aime ! La foi demande cependant à être accueillie. Elle demande donc une réponse personnelle de notre part, le courage de faire confiance à Dieu, de vivre son amour, reconnaissants pour son infinie miséricorde. Elle est ensuite un don qui n’est pas réservé à quelques-uns mais qui est offert avec générosité. Tous devraient pouvoir faire l’expérience de la joie de se sentir aimés par Dieu, de la joie du salut ! Et il s’agit d’un don qu’il n’est pas possible de conserver pour soi mais qui doit être partagé : si nous voulions le garder seulement pour nous, nous deviendrions dans ce cas des chrétiens isolés, stériles et malades. L’annonce de l’Évangile est inséparable du fait d’être disciples du Christ et elle constitue un engagement constant qui anime toute la vie de l’Église. « L’élan missionnaire est un signe clair de la maturité d’une communauté ecclésiale » (Benoît XVI, Exhortation apostolique Verbum Domini, n. 95). Chaque communauté est « adulte » lorsqu’elle professe la foi, qu’elle la célèbre avec joie dans la liturgie, qu’elle vit la charité et annonce sans relâche la Parole de Dieu, sortant de son enclos afin de la porter également dans les « périphéries », surtout à ceux qui n’ont pas encore eu la possibilité de connaître le Christ. La solidité de notre foi, au plan personnel et communautaire, se mesure aussi à partir de la capacité de la communiquer à d’autres, de la diffuser, de la vivre dans la charité, d’en témoigner auprès de ceux qui nous rencontrent et partagent avec nous le chemin de la vie.
2. L’Année de la foi, cinquante ans après le début du Concile Vatican II, nous appelle à faire en sorte que l’Église tout entière ait une conscience renouvelée de sa présence dans le monde contemporain, de sa mission parmi les peuples et les nations. Le caractère missionnaire n’est pas seulement une question de territoires géographiques mais de peuples, de cultures et de personnes, parce que justement les « frontières » de la foi ne traversent pas seulement des lieux et des traditions humaines mais le cœur de tout homme et de toute femme. Le Concile Vatican II a souligné de façon particulière la manière dont le devoir missionnaire, le devoir d’élargir les frontières de la foi, est le propre de tout baptisé et de toutes les communautés chrétiennes : « Puisque le Peuple de Dieu vit dans des communautés, diocésaines et paroissiales surtout, et que c’est dans ces communautés que d’une certaine manière il se montre visible, c’est aussi aux communautés qu’il appartient de rendre témoignage au Christ devant les nations » (Décret Ad Gentes, n. 37). Chaque communauté est donc interpellée et invitée à faire sien le mandat confié par Jésus à ses Apôtres afin qu’ils soient ses « témoins à Jérusalem, dans toute la Judée et la Samarie, et jusqu’aux extrémités de la terre » (Ac 1, 8), non pas comme un aspect secondaire de la vie chrétienne mais comme un aspect essentiel : nous sommes tous envoyés sur les routes du monde pour cheminer avec nos frères, en professant et en témoignant notre foi au Christ et en étant annonciateurs de son Évangile. J’invite les Évêques, les prêtres, les Conseils presbytéraux et pastoraux, toute personne et tout groupe responsable à l’intérieur de l’Église à donner de l’importance à la dimension missionnaire au sein de leurs programmes pastoraux et de formation, ressentant que son propre engagement apostolique n’est pas complet s’il ne comprend pas l’intention de « rendre témoignage du Christ devant les Nations », face à tous les peuples. Le caractère missionnaire n’est pas seulement une dimension programmatique dans la vie chrétienne mais il est également une dimension paradigmatique qui concerne tous les aspects de la vie chrétienne.
3. Souvent, l’œuvre d’évangélisation rencontre des obstacles non seulement à l’extérieur mais à l’intérieur même de la communauté ecclésiale. Parfois la ferveur, la joie, le courage, l’espérance que nous mettons dans le fait d’annoncer à tous le Message du Christ et d’aider les hommes de notre temps à le rencontrer sont faibles. Parfois, certains pensent encore que porter la Vérité de l’Évangile consiste à faire violence à la liberté. Paul VI a des paroles lumineuses à ce propos : « Ce serait … une erreur d’imposer quoi que ce soit à la conscience de nos frères. Mais c’est tout autre chose de proposer à cette conscience la vérité évangélique et le salut en Jésus-Christ en pleine clarté et dans le respect absolu des options libres qu’elle fera … c’est un hommage à cette liberté » (Exhortation apostolique Evangelii nuntiandi, n. 80). Nous devons toujours avoir le courage et la joie de proposer, avec respect, la rencontre avec le Christ, de nous faire porteurs de son Évangile. Jésus est venu parmi nous pour indiquer le chemin du salut et il nous a confié à nous aussi la mission de le faire connaître à tous, jusqu’aux extrémités de la terre. Souvent, nous voyons que ce sont la violence, le mensonge, l’erreur qui sont mis en relief et proposés. Il est urgent de faire resplendir à notre époque la bonne vie de l’Évangile au travers de l’annonce et du témoignage et cela à l’intérieur même de l’Église parce que, dans cette perspective, il est important de ne jamais oublier un principe fondamental pour tout évangélisateur : il n’est pas possible d’annoncer le Christ sans l’Église. Évangéliser n’est jamais un acte isolé, individuel, privé mais toujours ecclésial. Paul VI écrivait que « lorsque le plus obscur prédicateur, catéchiste ou pasteur, dans la contrée la plus lointaine, prêche l’Évangile, rassemble sa petite communauté ou confère un sacrement, même seul, il fait un acte d’Église ». Il agit « non pas par une mission qu’il s’attribue, ou par une inspiration personnelle, mais en union avec la mission de l’Église et en son nom » (Ibid. n. 60). Et cela donne force à la mission et fait sentir à tout missionnaire et évangélisateur qu’il n’est jamais seul mais qu’il fait partie d’un seul Corps, animé par le Saint Esprit.
4. À notre époque, la mobilité diffuse et la facilité de communication au travers des « nouveaux média » ont mélangé entre eux les peuples, les connaissances, les expériences. Pour des raisons de travail, des familles entières se déplacent d’un continent à l’autre. Les échanges professionnels et culturels, suivis par le tourisme et des phénomènes analogues, provoquent un vaste mouvement de personnes. Parfois il est difficile même pour les Communautés paroissiales de connaître de manière sûre et approfondie ceux qui sont de passage ou ceux qui vivent de manière stable sur le territoire. En outre, dans des zones toujours plus vastes des régions traditionnellement chrétiennes s’accroît le nombre de ceux qui sont étrangers à la foi, indifférents à la dimension religieuse ou animés par d’autres croyances. Par ailleurs, il n’est pas rare que certains baptisés fassent des choix de vie qui les conduisent loin de la foi, rendant ainsi nécessaire qu’ils fassent l’objet d’une « nouvelle évangélisation ». À tout cela vient s’ajouter le fait qu’une vaste part de l’humanité n’a pas été atteinte par la Bonne Nouvelle de Jésus Christ. Nous vivons par ailleurs un moment de crise qui touche différents secteurs de l’existence, non seulement celui de l’économie, de la finance, de la sécurité alimentaire, de l’environnement mais également celui du sens profond de la vie et des valeurs fondamentales qui l’animent. La coexistence humaine est marquée, elle aussi, par des tensions et des conflits qui provoquent insécurité et difficulté à trouver le chemin d’une paix stable. Dans cette situation complexe, où l’horizon du présent et de l’avenir semblent caractérisés par des nuages menaçants, il est encore plus urgent de porter avec courage au sein de chaque réalité l’Évangile du Christ qui constitue une annonce d’espérance, de réconciliation, de communion, une annonce de la proximité de Dieu, de sa miséricorde, de son salut, une annonce du fait que la puissance de l’amour de Dieu est capable de l’emporter sur les ténèbres du mal et de conduire sur le chemin du bien. L’homme de notre temps a besoin d’une lumière sûre qui éclaire sa route et que seule la rencontre avec le Christ peut donner. Portons à ce monde, par notre témoignage, avec amour, l’espérance donnée par la foi ! Le caractère missionnaire de l’Église n’est pas un prosélytisme mais un témoignage de vie qui illumine le chemin, qui porte espérance et amour. L’Église – je le répète une fois encore – n’est pas une organisation d’assistance, une entreprise, une ONG mais une communauté de personnes animées par l’action de l’Esprit Saint, qui ont vécu et vivent l’étonnement de la rencontre avec Jésus Christ et désirent partager cette expérience de joie profonde, partager le Message de salut que le Seigneur nous a apporté. C’est justement l’Esprit Saint qui conduit l’Église sur ce chemin.
5. Je voudrais tous vous encourager à vous faire porteurs de la Bonne Nouvelle du Christ et je suis particulièrement reconnaissant aux missionnaires, aux prêtres fidei donum, aux religieux et aux religieuses, aux fidèles laïcs – toujours plus nombreux – qui, répondant à l’appel du Seigneur, quittent leur propre patrie pour servir l’Évangile dans des terres et des cultures différentes. Mais je voudrais également souligner combien les jeunes Églises elles-mêmes s’engagent actuellement généreusement dans l’envoi de missionnaires aux Églises qui se trouvent en difficulté – et il n’est pas rare qu’il s’agisse d’Églises d’antique chrétienté – portant ainsi la fraîcheur et l’enthousiasme avec lesquels elles vivent la foi qui renouvelle la vie et donne l’espérance. Vivre selon ce souffle universel, en répondant au mandat de Jésus, « allez donc, de toutes les nations faites des disciples » (Mt 28, 19), est une richesse pour toute Église particulière, pour toute communauté et donner des missionnaires n’est jamais une perte mais un gain. Je fais appel à ceux qui perçoivent cette vocation à répondre généreusement à la voix de l’Esprit, selon leur état de vie, et à ne pas avoir peur d’être généreux avec le Seigneur. J’invite également les Évêques, les familles religieuses, les communautés et tous les groupements chrétiens à soutenir, avec clairvoyance et un discernement attentif, l’appel missionnaire ad gentes et à aider les Églises qui ont besoin de prêtres, de religieux et de religieuses ainsi que de laïcs pour renforcer la communauté chrétienne. Ceci devrait être également une attention présente au sein des Églises faisant partie d’une même Conférence épiscopale ou d’une même Région : il est important que les Églises qui sont plus riches en vocations aident avec générosité celles qui souffrent suite à leur manque.
    J’exhorte aussi les missionnaires, en particulier les prêtres fidei donum et les laïcs, à vivre avec joie leur précieux service dans les Églises auxquelles ils sont envoyés, et à porter leur joie et leur expérience aux Églises dont ils proviennent, se rappelant comment Paul et Barnabé, au terme de leur premier voyage missionnaire « se mirent à rapporter tout ce que Dieu avait fait avec eux, et comment il avait ouvert aux païens la porte de la foi » (Ac 14, 27). Ils peuvent devenir un chemin pour une sorte de « restitution » de la foi, en portant la fraîcheur des jeunes Églises, afin que les Églises d’antique chrétienté retrouvent l’enthousiasme et la joie de partager la foi dans un échange qui est enrichissement réciproque sur le chemin à la suite du Seigneur.
    La sollicitude envers toutes les Églises, que l’Évêque de Rome partage avec ses confrères Évêques, trouve une importante réalisation dans l’engagement des Œuvres pontificales missionnaires, qui ont pour but d’animer et d’approfondir la conscience missionnaire de chaque baptisé et de chaque communauté, tant en rappelant la nécessité d’une plus profonde formation missionnaire de l’ensemble du Peuple de Dieu qu’en alimentant la sensibilité des Communautés chrétiennes afin qu’elles offrent leur aide pour favoriser la diffusion de l’Évangile dans le monde.
    Une pensée enfin va aux chrétiens qui, en différentes parties du monde, se trouvent en difficulté en ce qui concerne le fait de professer ouvertement leur foi et de se voir reconnu le droit de la vivre dignement. Ce sont nos frères et sœurs, témoins courageux – encore plus nombreux que les martyrs des premiers siècles – qui supportent avec persévérance apostolique les différentes formes actuelles de persécution. Nombreux sont ceux qui risquent même leur vie pour demeurer fidèles à l’Évangile du Christ. Je désire assurer que je suis proche par la prière des personnes, des familles et des communautés qui endurent la violence et l’intolérance et je leur répète les paroles consolantes de Jésus : « Gardez courage ! J’ai vaincu le monde » (Jn 16, 33).
Benoît XVI exhortait : « ‘Que la Parole du Seigneur accomplisse sa course et soit glorifiée’ (2 Th 3, 1) : puisse cette Année de la foi rendre toujours plus solide la relation avec le Christ Seigneur, puisque seulement en lui se trouve la certitude pour regarder vers l’avenir et la garantie d’un amour authentique et durable » (Lettre apostolique Porta Fidei, n. 15). C’est mon souhait pour la Journée missionnaire mondiale de cette année. Je bénis de tout cœur les missionnaires et tous ceux qui accompagnent et soutiennent cet engagement fondamental de l’Église afin que l’annonce de l’Évangile puisse résonner dans tous les coins de la terre et que nous, Ministres de l’Évangile et missionnaires, fassions l’expérience de « la douce et réconfortante joie d’évangéliser » (Paul VI, Exhortation apostolique Evangelii nuntiandi, n. 80).
Du Vatican, le 19 mai 2013, Solennité de la Pentecôte
FRANÇOIS
[01150-03.01] [Texte original: Italien]
 Dear Brothers and Sisters,
This year, as we celebrate World Mission Day, the Year of Faith, which is an important opportunity to strengthen our friendship with the Lord and our journey as a Church that preaches the Gospel with courage, comes to an end. From this perspective, I would like to propose some reflections.
1. Faith is God’s precious gift, which opens our mind to know and love him. He wants to enter into relationship with us and allow us to participate in his own life in order to make our life more meaningful, better and more beautiful. God loves us! Faith, however, needs to be accepted, it needs our personal response, the courage to entrust ourselves to God, to live his love and be grateful for his infinite mercy. It is a gift, not reserved for a few but offered with generosity. Everyone should be able to experience the joy of being loved by God, the joy of salvation! It is a gift that one cannot keep to oneself, but it is to be shared. If we want to keep it only to ourselves, we will become isolated, sterile and sick Christians. The proclamation of the Gospel is part of being disciples of Christ and it is a constant commitment that animates the whole life of the Church. Missionary outreach is a clear sign of the maturity of an ecclesial community" (BENEDICT XVI, Verbum Domini, 95). Each community is "mature" when it professes faith, celebrates it with joy during the liturgy, lives charity, proclaims the Word of God endlessly, leaves one’s own to take it to the "peripheries", especially to those who have not yet had the opportunity to know Christ. The strength of our faith, at a personal and community level, can be measured by the ability to communicate it to others, to spread and live it in charity, to witness to it before those we meet and those who share the path of life with us.
2. The Year of Faith, fifty years after the beginning of the Second Vatican Council, motivates the entire Church towards a renewed awareness of its presence in the contemporary world and its mission among peoples and nations. Missionary spirit is not only about geographical territories, but about peoples, cultures and individuals, because the "boundaries" of faith do not only cross places and human traditions, but the heart of each man and each woman. The Second Vatican Council emphasized in a special way how the missionary task, that of broadening the boundaries of faith, belongs to every baptized person and all Christian communities; since "the people of God lives in communities, especially in dioceses and parishes, and becomes somehow visible in them, it is up to these to witness Christ before the nations" (Ad gentes, 37). Each community is therefore challenged, and invited to make its own, the mandate entrusted by Jesus to the Apostles, to be his "witnesses in Jerusalem, throughout Judea and Samaria and to the ends of the earth" (Acts 1:8) and this, not as a secondary aspect of Christian life, but as its essential aspect: we are all invited to walk the streets of the world with our brothers and sisters, proclaiming and witnessing to our faith in Christ and making ourselves heralds of his Gospel. I invite Bishops, Priests, Presbyteral and Pastoral Councils, and each person and group responsible in the Church to give a prominent position to this missionary dimension in formation and pastoral programmes, in the understanding that their apostolic commitment is not complete unless it aims at bearing witness to Christ before the nations and before all peoples. This missionary aspect is not merely a programmatic dimension in Christian life, but it is also a paradigmatic dimension that affects all aspects of Christian life.
3. The work of evangelization often finds obstacles, not only externally, but also from within the ecclesial community. Sometimes there is lack of fervour, joy, courage and hope in proclaiming the Message of Christ to all and in helping the people of our time to an encounter with him. Sometimes, it is still thought that proclaiming the truth of the Gospel means an assault on freedom. Paul VI speaks eloquently on this: "It would be... an error to impose something on the consciences of our brethren. But to propose to their consciences the truth of the Gospel and salvation in Jesus Christ, with complete clarity and with total respect for free options which it presents... is a tribute to this freedom" (Evangelii Nuntiandi, 80). We must always have the courage and the joy of proposing, with respect, an encounter with Christ, and being heralds of his Gospel. Jesus came among us to show us the way of salvation and he entrusted to us the mission to make it known to all to the ends of the earth. All too often, we see that it is violence, lies and mistakes that are emphasized and proposed. It is urgent in our time to announce and witness to the goodness of the Gospel, and this from within the Church itself. It is important never to forget a fundamental principle for every evangelizer: one cannot announce Christ without the Church. Evangelization is not an isolated individual or private act; it is always ecclesial. Paul VI wrote, "When an unknown preacher, catechist or Pastor, preaches the Gospel, gathers the little community together, administers a Sacrament, even alone, he is carrying out an ecclesial act." He acts not "in virtue of a mission which he attributes to himself or by a personal inspiration, but in union with the mission of the Church and in her name" (ibid. 60). And this gives strength to the mission and makes every missionary and evangelizer feel never alone, but part of a single Body animated by the Holy Spirit.
4. In our era, the widespread mobility and facility of communication through new media have mingled people, knowledge, experience. For work reasons, entire families move from one continent to another; professional and cultural exchanges, tourism, and other phenomena have also led to great movements of peoples. This makes it difficult, even for the parish community, to know who lives permanently or temporarily in the area. More and more, in large areas of what were traditionally Christian regions, the number of those who are unacquainted with the faith, or indifferent to the religious dimension or animated by other beliefs, is increasing. Therefore it is not infrequent that some of the baptized make lifestyle choices that lead them away from faith, thus making them need a "new evangelization". To all this is added the fact that a large part of humanity has not yet been reached by the good news of Jesus Christ. We also live in a time of crisis that touches various sectors of existence, not only the economy, finance, food security, or the environment, but also those involving the deeper meaning of life and the fundamental values that animate it. Even human coexistence is marked by tensions and conflicts that cause insecurity and difficulty in finding the right path to a stable peace. In this complex situation, where the horizon of the present and future seems threatened by menacing clouds, it is necessary to proclaim courageously and in very situation, the Gospel of Christ, a message of hope, reconciliation, communion, a proclamation of God's closeness, his mercy, his salvation, and a proclamation that the power of God’s love is able to overcome the darkness of evil and guide us on the path of goodness. The men and women of our time need the secure light that illuminates their path and that only the encounter with Christ can give. Let us bring to the world, through our witness, with love, the hope given by faith! The Church’s missionary spirit is not about proselytizing, but the testimony of a life that illuminates the path, which brings hope and love. The Church – I repeat once again – is not a relief organization, an enterprise or an NGO, but a community of people, animated by the Holy Spirit, who have lived and are living the wonder of the encounter with Jesus Christ and want to share this experience of deep joy, the message of salvation that the Lord gave us. It is the Holy Spirit who guides the Church in this path.
5. I would like to encourage everyone to be a bearer of the good news of Christ and I am grateful especially to missionaries, to the Fidei Donum priests, men and women religious and lay faithful - more and more numerous – who by accepting the Lord's call, leave their homeland to serve the Gospel in different lands and cultures. But I would also like to emphasize that these same young Churches are engaging generously in sending missionaries to the Churches that are in difficulty - not infrequently Churches of ancient Christian tradition – and thus bring the freshness and enthusiasm with which they live the faith, a faith that renews life and gives hope. To live in this universal dimension, responding to the mandate of Jesus: "Go therefore and make disciples of all nations" (Mt 28, 19) is something enriching for each particular Church, each community, because sending missionaries is never a loss, but a gain. I appeal to all those who feel this calling to respond generously to the Holy Spirit, according to your state in life, and not to be afraid to be generous with the Lord. I also invite Bishops, religious families, communities and all Christian groups to support, with foresight and careful discernment, the missionary call ad gentes and to assist Churches that need priests, religious and laity, thus strengthening the Christian community. And this concern should also be present among Churches that are part of the same Episcopal Conference or Region, because it is important that Churches rich in vocations help more generously those that lack them.
    At the same time I urge missionaries, especially the Fidei Donum priests and laity, to live with joy their precious service in the Churches to which they are sent and to bring their joy and experience to the Churches from which they come, remembering how Paul and Barnabas at the end of their first missionary journey "reported what God had done with them and how he had opened the door of faith to the Gentiles" (Acts 14:27). They can become a path to a kind of "return" of faith, bringing the freshness of the young Churches to Churches of ancient Christian tradition, and thus helping them to rediscover the enthusiasm and the joy of sharing the faith in an exchange that is mutual enrichment in the journey of following the path of the Lord.
    The concern for all the Churches that the Bishop of Rome shares with his brother Bishops finds an important expression in the activity of the Pontifical Mission Societies, which are meant to animate and deepen the missionary conscience of every baptized Christian, and of every community, by reminding them of the need for a more profound missionary formation of the whole People of God and by encouraging the Christian community to contribute to the spread of the Gospel in the world.
    Finally I wish to say a word about those Christians who, in various parts of the world, experience difficulty in openly professing their faith and in enjoying the legal right to practice it in a worthy manner. They are our brothers and sisters, courageous witnesses - even more numerous than the martyrs of the early centuries - who endure with apostolic perseverance many contemporary forms of persecution. Quite a few also risk their lives to remain faithful to the Gospel of Christ. I wish to reaffirm my closeness in prayer to individuals, families and communities who suffer violence and intolerance, and I repeat to them the consoling words of Jesus: "Take courage, I have overcome the world" (Jn 16:33).
Benedict XVI expressed the hope that: "The word of the Lord may spread rapidly and be glorified everywhere" (2 Thes 3:1): May this Year of Faith increasingly strengthen our relationship with Christ the Lord, since only in him is there the certitude for looking to the future and the guarantee of an authentic and lasting love" (Porta fidei, 15). This is my wish for World Mission Day this year. I cordially bless missionaries and all those who accompany and support this fundamental commitment of the Church to proclaim the Gospel to all the ends of the earth. Thus will we, as ministers and missionaries of the Gospel, experience "the delightful and comforting joy of evangelizing" (PAUL VI, Evangelii Nuntiandi, 80).
From the Vatican, 19 May 2013, Solemnity of Pentecost
FRANCIS
[01150-02.01] [Original text: Italian]
Queridos hermanos y hermanas:
Este año celebramos la Jornada Mundial de las Misiones mientras se clausura el Año de la fe, ocasión importante para fortalecer nuestra amistad con el Señor y nuestro camino como Iglesia que anuncia el Evangelio con valentía. En esta prospectiva, quisiera proponer algunas reflexiones.
1. La fe es un don precioso de Dios, que abre nuestra mente para que lo podamos conocer y amar, Él quiere relacionarse con nosotros para hacernos partícipes de su misma vida y hacer que la nuestra esté más llena de significado, que sea más buena, más bella. Dios nos ama. Pero la fe necesita ser acogida, es decir, necesita nuestra respuesta personal, el coraje de poner nuestra confianza en Dios, de vivir su amor, agradecidos por su infinita misericordia. Es un don que no se reserva sólo a unos pocos, sino que se ofrece a todos generosamente. Todo el mundo debería poder experimentar la alegría de ser amados por Dios, el gozo de la salvación. Y es un don que no se puede conservar para uno mismo, sino que debe ser compartido. Si queremos guardarlo sólo para nosotros mismos, nos convertiremos en cristianos aislados, estériles y enfermos. El anuncio del Evangelio es parte del ser discípulos de Cristo y es un compromiso constante que anima toda la vida de la Iglesia. «El impulso misionero es una señal clara de la madurez de una comunidad eclesial» (Benedicto XVI, Exhort. ap. Verbum Domini, 95). Toda comunidad es "adulta", cuando profesa la fe, la celebra con alegría en la liturgia, vive la caridad y proclama la Palabra de Dios sin descanso, saliendo del propio ambiente para llevarla también a las "periferia", especialmente a aquellas que aún no han tenido la oportunidad de conocer a Cristo. La fuerza de nuestra fe, a nivel personal y comunitario, también se mide por la capacidad de comunicarla a los demás, de difundirla, de vivirla en la caridad, de dar testimonio a las personas que encontramos y que comparten con nosotros el camino de la vida.
2. El Año de la fe, a cincuenta años de distancia del inicio del Concilio Vaticano II, es un estímulo para que toda la Iglesia reciba una conciencia renovada de su presencia en el mundo contemporáneo, de su misión entre los pueblos y las naciones. La misionariedad no es sólo una cuestión de territorios geográficos, sino de pueblos, de culturas e individuos independientes, precisamente porque los "confines" de la fe no sólo atraviesan lugares y tradiciones humanas, sino el corazón de cada hombre y cada mujer. El Concilio Vaticano II destacó de manera especial cómo la tarea misionera, la tarea de ampliar los confines de la fe es un compromiso de todo bautizado y de todas las comunidades cristianas: «Viviendo el Pueblo de Dios en comunidades, sobre todo diocesanas y parroquiales, en las que de algún modo se hace visible, a ellas pertenece también dar testimonio de Cristo delante de las gentes» (Decr. Ad gentes, 37). Por tanto, se pide y se invita a toda comunidad a hacer propio el mandato confiado por Jesús a los Apóstoles de ser sus «testigos en Jerusalén, en toda Judea y Samaría, y hasta los confines de la tierra» (Hch 1,8), no como un aspecto secundario de la vida cristiana, sino como un aspecto esencial: todos somos enviados por los senderos del mundo para caminar con nuestros hermanos, profesando y dando testimonio de nuestra fe en Cristo y convirtiéndonos en anunciadores de su Evangelio. Invito a los obispos, a los sacerdotes, a los consejos presbiterales y pastorales, a cada persona y grupo responsable en la Iglesia a dar relieve a la dimensión misionera en los programas pastorales y formativos, sintiendo que el propio compromiso apostólico no está completo si no contiene el propósito de "dar testimonio de Cristo ante las naciones", ante todos los pueblos. La misionariedad no es sólo una dimensión programática en la vida cristiana, sino también una dimensión paradigmática que afecta a todos los aspectos de la vida cristiana.
3. A menudo, la obra de evangelización encuentra obstáculos no sólo fuera, sino dentro de la comunidad eclesial. A veces el fervor, la alegría, el coraje, la esperanza en anunciar a todos el mensaje de Cristo y ayudar a la gente de nuestro tiempo a encontrarlo son débiles; en ocasiones, todavía se piensa que llevar la verdad del Evangelio es violentar la libertad. A este respecto, Pablo VI usa palabras iluminadoras: «Sería... un error imponer cualquier cosa a la conciencia de nuestros hermanos. Pero proponer a esa conciencia la verdad evangélica y la salvación ofrecida por Jesucristo, con plena claridad y con absoluto respeto hacia las opciones libres que luego pueda hacer... es un homenaje a esta libertad» (Exhort, Ap. Evangelii nuntiandi, 80). Siempre debemos tener el valor y la alegría de proponer, con respeto, el encuentro con Cristo, de hacernos heraldos de su Evangelio, Jesús ha venido entre nosotros para mostrarnos el camino de la salvación, y nos ha confiado la misión de darlo a conocer a todos, hasta los confines de la tierra. Con frecuencia, vemos que lo que se destaca y se propone es la violencia, la mentira, el error. Es urgente hacer que resplandezca en nuestro tiempo la vida buena del Evangelio con el anuncio y el testimonio, y esto desde el interior mismo de la Iglesia. Porque, en esta perspectiva, es importante no olvidar un principio fundamental de todo evangelizador: no se puede anunciar a Cristo sin la Iglesia. Evangelizar nunca es un acto aislado, individual, privado, sino que es siempre eclesial. Pablo VI escribía que «cuando el más humilde predicador, catequista o Pastor, en el lugar más apartado, predica el Evangelio, reúne su pequeña comunidad o administra un sacramento, aun cuando se encuentra solo, ejerce un acto de Iglesia»; no actúa «por una misión que él se atribuye o por inspiración personal, sino en unión con la misión de la Iglesia y en su nombre» (ibíd., 60). Y esto da fuerza a la misión y hace sentir a cada misionero y evangelizador que nunca está solo, que forma parte de un solo Cuerpo animado por el Espíritu Santo.
4. En nuestra época, la movilidad generalizada y la facilidad de comunicación a través de los nuevos medios de comunicación han mezclado entre sí los pueblos, el conocimiento, las experiencias. Por motivos de trabajo, familias enteras se trasladan de un continente a otro; los intercambios profesionales y culturales, así como el turismo y otros fenómenos análogos empujan a un gran movimiento de personas. A veces es difícil, incluso para las comunidades parroquiales, conocer de forma segura y profunda a quienes están de paso o a quienes viven de forma permanente en el territorio. Además, en áreas cada vez más grandes de las regiones tradicionalmente cristianas crece el número de los que son ajenos a la fe, indiferentes a la dimensión religiosa o animados por otras creencias. Por tanto, no es raro que algunos bautizados escojan estilos de vida que les alejan de la fe, convirtiéndolos en necesitados de una "nueva evangelización". A esto se suma el hecho de que a una gran parte de la humanidad todavía no le ha llegado la buena noticia de Jesucristo. Y que vivimos en una época de crisis que afecta a muchas áreas de la vida, no sólo la economía, las finanzas, la seguridad alimentaria, el medio ambiente, sino también la del sentido profundo de la vida y los valores fundamentales que la animan. La convivencia humana está marcada por tensiones y conflictos que causan inseguridad y fatiga para encontrar el camino hacia una paz estable. En esta situación tan compleja, donde el horizonte del presente y del futuro parece estar cubierto por nubes amenazantes, se hace aún más urgente el llevar con valentía a todas las realidades, el Evangelio de Cristo, que es anuncio de esperanza, reconciliación, comunión; anuncio de la cercanía de Dios, de su misericordia, de su salvación; anuncio de que el poder del amor de Dios es capaz de vencer las tinieblas del mal y conducir hacia el camino del bien. El hombre de nuestro tiempo necesita una luz fuerte que ilumine su camino y que sólo el encuentro con Cristo puede darle. Traigamos a este mundo, a través de nuestro testimonio, con amor, la esperanza que se nos da por la fe. La naturaleza misionera de la Iglesia no es proselitista, sino testimonio de vida que ilumina el camino, que trae esperanza y amor. La Iglesia –lo repito una vez más– no es una organización asistencial, una empresa, una ONG, sino que es una comunidad de personas, animadas por la acción del Espíritu Santo, que han vivido y viven la maravilla del encuentro con Jesucristo y desean compartir esta experiencia de profunda alegría, compartir el mensaje de salvación que el Señor nos ha dado. Es el Espíritu Santo quién guía a la Iglesia en este camino.
5. Quisiera animar a todos a ser portadores de la buena noticia de Cristo, y estoy agradecido especialmente a los misioneros y misioneras, a los presbíteros fidei donum, a los religiosos y religiosas y a los fieles laicos –cada vez más numerosos– que, acogiendo la llamada del Señor, dejan su patria para servir al Evangelio en tierras y culturas diferentes de las suyas. Pero también me gustaría subrayar que las mismas iglesias jóvenes están trabajando generosamente en el envío de misioneros a las iglesias que se encuentran en dificultad –no es raro que se trate de Iglesias de antigua cristiandad– llevando la frescura y el entusiasmo con que estas viven la fe que renueva la vida y da esperanza. Vivir en este aliento universal, respondiendo al mandato de Jesús «Id, pues, y haced discípulos de todas las naciones» (Mt 28,19) es una riqueza para cada una de las iglesias particulares, para cada comunidad, y donar misioneros y misioneras nunca es una pérdida sino una ganancia. Hago un llamamiento a todos aquellos que sienten la llamada a responder con generosidad a la voz del Espíritu Santo, según su estado de vida, y a no tener miedo de ser generosos con el Señor. Invito también a los obispos, las familias religiosas, las comunidades y todas las agregaciones cristianas a sostener, con visión de futuro y discernimiento atento, la llamada misionera ad gentes y a ayudar a las iglesias que necesitan sacerdotes, religiosos y religiosas y laicos para fortalecer la comunidad cristiana. Y esta atención debe estar también presente entre las iglesias que forman parte de una misma Conferencia Episcopal o de una Región: es importante que las iglesias más ricas en vocaciones ayuden con generosidad a las que sufren por su escasez.
    Al mismo tiempo exhorto a los misioneros y a las misioneras, especialmente los sacerdotes fidei donum y a los laicos, a vivir con alegría su precioso servicio en las iglesias a las que son destinados, y a llevar su alegría y su experiencia a las iglesias de las que proceden, recordando cómo Pablo y Bernabé, al final de su primer viaje misionero «contaron todo lo que Dios había hecho a través de ellos y cómo había abierto la puerta de la fe a los gentiles» (Hch 14,27). Ellos pueden llegar a ser un camino hacia una especie de "restitución" de la fe, llevando la frescura de las Iglesias jóvenes, de modo que las Iglesias de antigua cristiandad redescubran el entusiasmo y la alegría de compartir la fe en un intercambio que enriquece mutuamente en el camino de seguimiento del Señor.
    La solicitud por todas las Iglesias, que el Obispo de Roma comparte con sus hermanos en el episcopado, encuentra una actuación importante en el compromiso de las Obras Misionales Pontificias, que tienen como propósito animar y profundizar la conciencia misionera de cada bautizado y de cada comunidad, ya sea reclamando la necesidad de una formación misionera más profunda de todo el Pueblo de Dios, ya sea alimentando la sensibilidad de las comunidades cristianas a ofrecer su ayuda para favorecer la difusión del Evangelio en el mundo.
    Por último, me refiero a los cristianos que, en diversas partes del mundo, se encuentran en dificultades para profesar abiertamente su fe y ver reconocido el derecho a vivirla con dignidad. Ellos son nuestros hermanos y hermanas, testigos valientes –aún más numerosos que los mártires de los primeros siglos– que soportan con perseverancia apostólica las diversas formas de persecución actuales. Muchos también arriesgan su vida por permanecer fieles al Evangelio de Cristo. Deseo asegurarles que me siento cercano en la oración a las personas, a las familias y a las comunidades que sufren violencia e intolerancia, y les repito las palabras consoladoras de Jesús: «Confiad, yo he vencido al mundo» (Jn 16,33).
Benedicto XVI exhortaba: « ‘Que la Palabra del Señor siga avanzando y sea glorificada’ (2 Ts 3, 1): que este Año de la fe haga cada vez más fuerte la relación con Cristo, el Señor, pues sólo en él tenemos la certeza para mirar al futuro y la garantía de un amor auténtico y duradero» (Carta Ap. Porta fidei, 15). Este es mi deseo para la Jornada Mundial de las Misiones de este año. Bendigo de corazón a los misioneros y misioneras, y a todos los que acompañan y apoyan este compromiso fundamental de la Iglesia para que el anuncio del Evangelio pueda resonar en todos los rincones de la tierra, y nosotros, ministros del Evangelio y misioneros, experimentaremos "la dulce y confortadora alegría de evangelizar" (Pablo VI, Exhort. Ap. Evangelii nuntiandi, 80).
Vaticano, 19 de mayo de 2013, Solemnidad de Pentecostés
FRANCISCO
[01150-04.01] [Texto original: Italiano]