sabato 1 febbraio 2014

2 febbraio, Festa della Presentazione al Tempio di Gesù

http://www.zenit.org/it/articles/riconoscere-il-messia-laddove-il-mondo-non-vede-che-morte-e-dolore

In questa Domenica, in cui la Chiesa celebra la Festa della Presentazione del Signore, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Maria e Giuseppe portano il bambino Gesù al Tempio per il riscatto del primogenito, come prescritto dalla legge di Mosè. Simeone, uomo giusto, e la profetessa Anna, riconoscono in quel bambino il Salvatore tanto atteso. Simeone dice:

“I miei occhi han visto la tua salvezza preparata da te davanti a tutti i popoli”.

Su questo brano evangelico la presentazione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:

La festa di oggi, che la tradizione popolare conosce come la “candelora”, per le candele che si usano nella processione prevista dalla liturgia, è in realtà la manifestazione del Signore che chiude il ciclo del Natale e ci proietta già verso la luce della Pasqua. Gesù, che è il Primogenito, viene presentato al Tempio perché, come ogni primogenito (dalla notte della prima Pasqua), appartiene al Signore ed Egli lo invia non solo a “restaurare le tribù di Giacobbe”, ma anche come luce per le genti, perché “porti la salvezza fino all’estremità della terra. Simeone e Anna, che riassumono l’attesa di Israele, vanno incontro del Signore e, illuminati dallo Spirito, lo riconoscono e gli rendono testimonianza; l’immagine di Simeone che riceve tra le braccia il bambino rievoca l’adorazione dei pastori e dei magi, la presenza di Maria, a cui viene predetta una spada di dolore, ci porta ai piedi della croce, dove Gesù sarà quel segno di contraddizione che svelerà i pensieri di molti cuori. L’attesa di Simeone ed Anna non è finita, è l’attesa di quanti aspettano ancora oggi la redenzione di Gerusalemme. Oggi il Signore viene a dare compimento a tutte le nostre attese, alle attese di tutte le genti, andiamogli incontro con gioia, spalanchiamo le porte a Cristo, le porte delle nostre case, delle nostre città, perché faccia risplendere in mezzo al disorientamento e alle tenebre che ci circondano la sua luce divina. E così potremo cantare anche noi con Simeone ed Anna: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace perche i miei occhi hanno visto la tua salvezza”.
 Radio Vaticana 


LITURGIA E COMMENTI

BENEDIZIONE DELLE CANDELE E PROCESSIONE
L’assemblea si raccoglie in una chiesa succursale o in altro luogo adatto da dove si muoverà la processione verso la chiesa principale; può anche radunarsi nella chiesa principale, dinanzi alla porta o in altro luogo, da dove si muoverà la processione verso l’altare: si disponga ogni cosa in modo che una buona parte dei fedeli possa partecipare comodamente al rito.

Mentre si accendono le candele, si canta l’antifona:
Il Signore nostro Dio verrà con potenza,
e illuminerà il suo popolo. Alleluia.

Il sacerdote saluta il popolo e poi, con queste parole o con altre simili, illustra il significato del rito ed esorta i fedeli a una partecipazione attiva, cosciente e piena.
Fratelli carissimi, sono passati quaranta giorni dalla solennità del Natale. Anche oggi la Chiesa è in festa, celebrando il giorno in cui Maria e Giuseppe presentarono Gesù al tempio. Con quel rito il Signore si assoggettava alle prescrizioni della legge antica, ma in realtà veniva incontro al suo popolo, che l’attendeva nella fede.
Guidati dallo Spirito Santo, vennero nel tempio i santi vegliardi Simeone e Anna; illuminati dallo stesso Spirito riconobbero il Signore e pieni di gioia gli resero testimonianza.
Anche noi qui riuniti dallo Spirito Santo andiamo incontro al Cristo nella casa di Dio, dove lo troveremo e lo riconosceremo nello spezzare il pane, nell’attesa che egli venga e si manifesti nella sua gloria.
  


BENEDIZIONE DELLE CANDELE

Pregiamo.
O Dio, fonte e principio di ogni luce,
che oggi hai rivelato al santo vecchio Simeone
il Cristo, vera luce di tutte le genti,
benedici  +  questi ceri
e ascolta le preghiere del tuo popolo,
che viene incontro  a te con questi segni luminosi
e con inni di lode;
guidalo  sulla   via del bene,
perché giunga alla luce che non ha fine.
Per Cristo nostro Signore.

IN LATINO:

Oppure:
Dio, creatore e datore di verità e di luce,
guarda noi tuoi fedeli riuniti nel tuo tempio
e illuminati dalla luce di questi ceri,
infondi nel nostro spirito lo splendore della tua santità,
perché possiamo giungere felicemente
alla pienezza della tua gloria.
Per Cristo nostro Signore.


PROCESSIONE

All’invito del sacerdote (o del diacono) la processione si muove verso la chiesa principale (oppure verso l’altare). Intanto si esegue il seguente cantico o un altro canto adatto.

Rit. Cristo è luce per illuminare le genti,
e gloria del tuo popolo Israele.

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola.

Perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli.


Mentre la processione entra in chiesa, si esegue un canto che introduca la celebrazione della Messa; quindi si canta o si recita l’inno Gloria a Diocui segue immediatamente l’orazione.


MESSALE
Antifona d'Ingresso   Sal 47,10-11
Abbiamo accolto, o Dio, 
la tua misericordia in mezzo al tuo tempio.
Come il tuo nome, o Dio, così la tua lode
si estende ai confini della terra:
di giustizia è piena la tua destra.
  
Colletta
Dio onnipotente ed eterno, guarda i tuoi fedeli riuniti nella festa della Presentazione al tempio del tuo unico Figlio fatto uomo, e concedi anche a noi di essere presentati a te pienamente rinnovati nello Spirito. Per il nostro Signore..

   
LITURGIA DELLA PAROLA
   
Prima Lettura  Ml 3,1-4
Entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate.
Dal libro del profeta Malachìa
Così dice il Signore Dio:
«Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti.
Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai.
Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia.
Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani».
 
   
Salmo Responsoriale  Dal Salmo 23
Vieni, Signore, nel tuo tempio santo.
   
Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.

Chi è questo re della gloria?
Il Signore forte e valoroso,
il Signore valoroso in battaglia.

Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.

Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria.
 
   
Seconda Lettura  Eb 2,14-18
Doveva rendersi in tutto simile ai fratelli.
Dalla lettera agli  Ebrei
Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.
Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.

Canto al Vangelo  Lc 2,30.32    
Alleluia, alleluia.
I miei occhi han visto la tua salvezza:
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo, Israele.
Alleluia.
  
  
Vangelo   Lc 2,22-40 (forma breve: Lc 2,22-32)
I miei occhi hanno visto la sua salvezza.
Dal vangelo secondo Luca
[ Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele». 
]
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
  

*

"Riconoscere il Messia laddove il mondo non vede che morte e dolore"


Siamo figli della Pasqua, e per questo primogeniti. La Presentazione al Tempio di Gesù ci svela la nostra identità, il senso di tutto quanto ci accade: "Quando tuo figlio domani ti chiederà: Che significa ciò?, tu gli risponderai: Con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire dall'Egitto, dalla condizione servile " (Es, 13). Queste parole sono la risposta ad ogni "domani" sorto nella storia di Israele e della Chiesa, il "domani" sorto dalla notte di Pasqua.
I primogeniti sono la primizia dell'opera di Dio, “il segno di contraddizione offerto il mondo, perché siano svelati i pensieri dei cuori”, e risplenda sulla terra la Verità che il demonio, come il faraone, tenta di occultare. Sui primogeniti riverbera la luce che brilla sul volto di Cristo: ciascuno di noi è la risposta che Dio rivela all'umanità, il segno del suo amore nascosto tra le lacrime che bagnano la storia.
Quanti "che significa ciò?" intorno e dentro di noi! "Che significa tutto questo?": questa mia storia senza capo né coda; questa malattia che s'è portata via mia madre a soli quarant'anni; questo incidente che mi ha strappato mio figlio mentre si affacciava alla vita; questa crisi economica che dissangua la mia famiglia; il tradimento di mio marito; questa depressione che mi inchioda in casa; la bulimia di mia figlia, impazzita dietro ai social e alle diete; e le ingiustizie patite, il dolore innocente, le guerre, i terremoti, il male.
"Che significa ciò?", non comprendo... E la tristezza soffoca i giorni nella delusione e nel disincanto, l'ira strattona lingua e mani, e la violenza sgorga indomita a macchiare indelebilmente relazioni e sentimenti. 
"Tu gli risponderai…" così: Dio ha fatto uscire dalla tomba suo Figlio, ha vinto il male, il peccato e la morte. Tu gli risponderai con la tua vita, crocifissa con Cristo e con Lui risuscitata. La Chiesa è il segno del braccio potente del Signore, capace di liberare dalla condizione servile nei confronti del demonio, dalla schiavitù alla paura della morte.
Quel "tu gli risponderai" giunge oggi diritto al nostro cuore; quel "tu" si fa "io" nel mistero che oggi celebriamo. Gesù, un bambino di appena quaranta giorni, è condotto al Tempio per essere offerto al Signore. Il Figlio di Dio, apparso per pura grazia nel seno della Vergine Maria, è ufficialmente e pubblicamente consegnato a suo Padre. Dio gioca a carte scoperte, sin dall'inizio.
Gesù è il primogenito perfetto sacro al Signore, tutta la sua vita sarà un cammino verso il compimento della missione affidatagli. Così anche tu ed io, la Chiesa. Per un'insondabile condiscendenza del cuore di Dio, fin da prima della nascita siamo stati eletti e poi, con il battesimo, siamo stati presentati al Tempio, la vita non ci appartiene, è di Cristo, e di ogni uomo che non lo conosce.
Per questo è necessario tutto quello che ci accade, e, come accadde a Giuseppe,  il male deve raggiungerci e portarci in Egitto. Secondo i rabbini, la schiavitù in Egitto è stata causata dalla malvagità dei fratelli di Giuseppe che lo hanno venduto per invidia. Il midràsh ci spiega che il prezzo del riscatto dei primogeniti fu fissato dalla Torà in base al denaro ricevuto dai fratelli per la vendita di Giuseppe: "E vendettero Giuseppe per 20 denari… perciò ciascuno di voi dovrà dare per il riscatto di suo figlio cinque Selaìm" (Ber. Rabbà 84, 18).
La sapienza di Israele vede nell'offerta dei primogeniti un legame stretto con il peccato. I primogeniti divengono così il segno del riscatto di Giuseppe: il braccio potente del Signore rivela la sua misericordia che perdona riscattando i discendenti di Giacobbe caduti in schiavitù. Gesù, come Giuseppe, è stato venduto per poche monete, e così crocifisso, ucciso e sepolto nella tomba. Ma Dio lo ha riscattato dalla morte, primogenito di molti fratelli, il segno che contraddice per sempre il peccato e la morte.
Così, in Lui, l'offerta della nostra vita è il sigillo della misericordia che Dio depone in questa generazione. Siamo la prova e la memoria del suo amore. La nostra vita è stata riscatta da Cristo, come una primizia per ogni uomo. Sei un primogenito della libertà, lo sapevi? ecco la risposta di Dio al male: i primogeniti offerti in sacrificio perché nel mondo operi la vita
La parola ebraica che definisce il "primogenito” deriva dal radicale bkr che significa "portare frutti primaticci ". Siamo chiamati a portare i primi frutti annunciati dal Cantico dei Cantici, i frutti dello Spirito Santo, l'amore capace di lasciarsi crocifiggere, i segni della fede adulta. Per essere fecondi abbiamo però bisogno, come Gesù, che il seme della primogenitura diventi un albero, e non sia calpestato e perduto.
Abbiamo bisogno di stare a Nazaret con la nostra famiglia, la comunità dove “lo Spirito Santo sia sopra di noi” e “cresca e si fortifichi” l’uomo nuovo “pieno di Sapienza”. Ci attende, infatti, il compito più importante assegnato dal midrash al primogenito, quello di esercitare il culto sacerdotale (Ber. Rabbà 63, 18).  
La nostra vita di primogeniti è una liturgia da servire come sacerdoti santi. Per questo la festa di oggi è immagine di ogni nostro giorno: come Simeone, “siamo nella Gerusalemme” che Dio ha pensato per noi; la vita è il Tempio dove pregare e digiunare, nell’attesa quotidiana di “vedere” il Messia. In ogni circostanza, infatti, Gesù è presentato a noi perché, “vedendolo e abbracciandolo”, possiamo annunciarlo al mondo.
Hai visto tua figlia? Neanche ti ha parlato, vero? E quel collega? Ha sparlato di te al dirigente, vero? E il vicino di casa? Ti ha denunciato per una stupidaggine, vero? Ecco, in ciascuno di loro, come nel mal di denti o nella macchina rotta, nel traffico e nella fila alla Posta, ovunque e in chiunque è vivo un Bambino che è Dio. Non è facile riconoscerlo, lo sappiamo bene… E’ più facile rifiutarlo, d’altronde un bambino può essere Dio?
Eppure anche oggi lo “Spirito Santo ci muove” a stare dove Dio ci ha messo per vivere nel “timore” di Dio e nell’ “attesa del conforto di Israele”, “servendo Dio giorno e notte, pregando e digiunando”. Per questo sapremo riconoscere il Messia laddove il mondo non vede che morte e dolore. Per questo, anche se “una spada ci trafigge l’anima”,  la nostra vita che “va in pace” nella storia difficile che tutti sfuggono, riflette la “luce che illumina le genti”.

*

Di seguito l’omelia pronunciata oggi pomeriggio  dal cardinale arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, in occasione del tradizionale pellegrinaggio al Santuario di San Luca.
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1. Cari fratelli e sorelle, il mistero che oggi celebriamo è il mistero di un incontro: una persona anziana di nome Simeone con una persona, bambino di qualche settimana di vita, di nome Gesù.
La narrazione che Luca fa di questo incontro è molto suggestiva, proprio per le due persone che si incontrano. Simeone è descritto come uno «che aspettava il conforto di Israele». È l’incarnazione dell’attesa che Dio visiti il suo popolo. Tutta la storia di Israele aveva come preso corpo in questo anziano. Era un uomo sula quale “era lo Spirito Santo”, che gli aveva donato una certezza: «che non avrebbe visto la morte prima di aver veduto il messia del Signore». Era, quello di Simeone, un tramonto non pieno di malinconia, ma pieno di speranza.
E dove vede, in chi vede che la sua speranza non è andata delusa? In un bambino che egli può perfino prendere fra le braccia. Quale paradosso! Era convinzione comune che l’apparizione del Messia sarebbe stata accompagnata da segni miracolosi, sarebbe accaduto in un contesto di gloria. Dio conforta Israele con l’arrivo di un bambino. E’ un bambino la speranza, la salvezza d’Israele e di ogni popolo.
E Simeone consegna alla memoria credente della Chiesa una delle più belle professioni di fede circa Gesù, una professione che la Chiesa recita ogni sera come preghiera che introduce nel sonno della notte. Questa professione di fede proclama la missione salvifica di Gesù, una missione universale. Essa consiste in una «luce» che illumina ogni uomo che viene in questo mondo .
Ma le parole che Simeone dice a Maria ricordano quanto dice Giovanni nel Prologo del suo Vangelo: «la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta» [1, 5]. E Simeone a Maria: «egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori». La luce nel cuore dell’uomo, dono della presenza nel mondo di Gesù, può essere spenta dal potere delle tenebre. La speranza dono del Bambino può essere estinta. E così la persona del Bambino, la persona di Gesù scopre che cosa veramente alberga nel cuore dell’uomo; quale amore vi dimora, se della luce o delle tenebre. S. Paolo è esplicito. Egli denota lo stato di vita di chi rifiuta di credere, con le tenebre: «eravate tenebre».
La profezia di Simeone dunque è chiara. Gesù, quel Bambino che tiene fra le braccia è il salvatore, ma lo è come segno di contraddizione, segno contestato che esige una decisione urgente e coraggiosa da parte degli uomini. Gesù è scandalo e rovina per quanti lo rifiutano, risurrezione e vita per quanto lo accolgono. È la decisione della fede o dell’incredulità che ultimamente qualifica la condizione esistenziale di una persona.
2. Questa pagina del Vangelo illumina profondamente il senso della Giornata per la Vita, che in questa prima domenica di febbraio la Chiesa in Italia celebra.
È, come vi dicevo, la festa dell’incontro di un anziano con un bambino. È un anziano che serenamente chiede al Signore di porre fine alla sia vita ormai piena di anni, perché è nato un bambino che è la speranza del popolo. Mi tornano alla mente le parole di Agostino, secondo il quale Dio crea l’uomo perché il mondo sia continuamente rinnovato. Concepire e generare un bambino è il segno che nel cuore di un uomo e di una donna non si è spenta la speranza. Generando un bambino, hanno generato speranza. Ne deriva che l’attitudine di un popolo verso i concepiti non ancora nati, verso i bambini, è il segno di quale e quanta speranza dimora in esso. Se ha la capacità di generare futuro. Papa Francesco ha detto: «i figli sono la pupilla dei nostri occhi…che ne sarà di noi se non ci prendiamo cura dei nostri occhi…come potremo andare avanti?» [Cerimonia di apertura della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù. 22-7-2013].
C’è ancora nel nostro popolo la capacità di generare futuro? Dobbiamo purtroppo constatare che nei giovani sposi è presente un grande desiderio di generare, ma che esso viene non raramente mortificato dalla carenza di adeguate politiche familiari, dalla pressione fiscale ormai al limite del sopportabile, dalla mancanza e/o precarietà del lavoro. In una parola: in una cultura della disperazione.
Vedete, miei cari fratelli e sorelle, come il mistero che oggi celebriamo abbia una grande eloquenza profetica: il Vangelo della speranza e della vita si contrappone alla minaccia della disperazione e della morte. Al centro di questo scontro sta Dio fattosi bambino; sta ogni bambino.
O Dio della vita e fonte di speranza, libera il nostro popolo dall’incapacità di generare futuro: perché chi lo governa non comprende che fonte della speranza è la nascita di ogni bambino; perché a tanti bambini viene impedito di nascere; a tanti poveri di vivere nella dignità. Ridonaci la gioia della speranza; ridonaci la capacità di generare futuro. Amen.

*

Commento di Enzo Bianchi
Sono passati quaranta giorni dal Natale, e la chiesa interrompe il tempo ordinario per celebrare ancora una “manifestazione” dell’incarnazione, ciò che secondo il vangelo di Luca avviene nel quarantesimo giorno dopo la nascita di Gesù: la presentazione del figlio primogenito al tempio e la sua offerta al Signore secondo la Legge (cf. Es 13,1-2.11-16).
Nell’oriente cristiano quella dell’Hypapante (incontrotra il Signore e il suo popolo) è una grande festa che celebra, al pari delle feste del Natale, la luce, come d’altronde testimonia la natura, con il sole ormai sempre più alto nel cielo e il significativo e percepibile allungamento del giorno. Per questo nella liturgia è prevista una processione con le candele accese: è il popolo di Dio che va incontro al Signore, “luce delle genti”.
Sostiamo dunque sul brano evangelico previsto dalla chiesa per questa festa. Innanzitutto Luca mette in evidenza che Gesù, “nato sotto la Legge” (Gal 4,4), viene al mondo come ogni ebreo: circonciso l’ottavo giorno (cf. Lc 2,21), deve essere presentato al Signore e, quale maschio primogenito, riscattato con un’offerta. Giuseppe e Maria, fedeli osservanti, salgono a Gerusalemme, al tempio, per compiere il rito, ma ciò che accade è più significativo del rito stesso.
Al tempio vi è un uomo di nome Simeone, che è “in attesa della consolazione di Israele”, cioè del suo riscatto attraverso l’avvento messianico, e su di lui dimora la presenza del Signore, lo Spirito santo. Esperto nell’ascolto della Parola del Signore, egli aveva ricevuto una profezia: non sarebbe morto prima di vedere il Messia, da lui assiduamente atteso.
È lo stesso Spirito che lo muove ad andare al tempio, dove avviene il compimento della promessa: una coppia di sposi sta portando il bambino Gesù per l’offerta, ed egli riconosce in quel bambino il Messia, lo accoglie tra le braccia e con uno spirito capace di ringraziamento canta al Signore. Ora il Signore può lasciarlo andare in pace, può chiamarlo nella morte, perché tutto si è realizzato secondo la promessa. I suoi occhi vedono il Salvatore, vedono la luce per tutte le genti della terra, vedono la gloria del popolo di Israele.
Simeone fa la sua grande confessione di fede, canta tutto il suo stupore e la sua gioia, ma i suoi occhi di profeta vedono anche ciò che non è ancora visibile, ed egli lo confida a Maria, la madre. Questo bambino sarà un segno contestato, un segno che si può accogliere o rifiutare, e per questo molti troveranno in lui ragioni di rifiuto e cadranno, altri ragioni di resurrezione e di vita.
Ogni uomo dovrà prendere posizione davanti a lui. Ma questa contraddizione sarà pagata a caro prezzo dalla madre, Maria, la figlia di Sion che rappresenta in sé l’intero popolo di Dio: l’anima di Maria, infatti, sarà lacerata, trafitta come da una spada, e su Gesù il popolo di Dio lacererà la sua unità. Una parte di Israele rigetterà Gesù come Messia, un’altra parte lo accoglierà e crederà in lui, ma questo scisma, che un giorno si ricomporrà, resta una ferita nella vita della comunità del Signore nel mondo.
Anche una donna anziana, la profetessa Anna, una vedova che stava sempre in preghiera nella casa di Dio, vegliando e digiunando, inaspettatamente incontra quella piccola famiglia e riconosce nell’infante il Messia. Anche lei inizia a narrare la buona notizia a quanti sono presenti nel tempio, esprimendo tutta la sua lode rivolta a Dio.
Ecco com’è avvenuto l’incontro tra il Figlio di Dio e il suo popolo: nella quotidianità, nella semplicità e soprattutto nell’obbedienza alla Legge. Tutto è stato osservato, dunque Dio tutto ha compiuto come aveva promesso. Chi era in attesa e restava saldo nella fede e nella speranza, ha “visto”, ha riconosciuto in quella quotidianità e in quella povertà di una famiglia la presenza di Dio.
A chi oggi ascolta e legge il vangelo non sfugga però la distanza tra l’annuncio della profezia di Malachia (cf. Ml 3,1-4) e il suo avverarsi secondo Luca, come l’esegesi liturgica ci mostra. Secondo Malachia la venuta del Signore si sarebbe realizzata con la venuta di un messaggero, un nuovo Elia, un angelo dell’alleanza invocato e atteso. Egli entrerà nel tempio e, come fuoco divorante, come lisciva dei lavandai, purificherà tutti quelli che nel tempio prestano servizio al Signore, in modo che l’offerta e i sacrifici ritornino a essere a lui graditi. Dunque un evento che si impone, perché carico di gloria.
Ma la realizzazione evangelica di questa profezia appare ben diversa: un infante di quaranta giorni portato da due poveri e anonimi genitori entra nel tempio, e nessuno, tra tutti i sacerdoti là officianti, se ne accorge. Solo “il resto di Israele” (cf. Is 10,20-22; 11,11.16, ecc.), rappresentato da un uomo giusto e capace di preghiera e da un’anziana vedova assidua alla presenza del Signore, se ne accorge; solo Simeone e Anna riconoscono nel bambino l’adempimento delle promesse del Signore, lodano e ringraziano Dio e iniziano a evangelizzare, a diffondere la buona notizia.
Questi sono i tratti della vicenda cristiana, non altri: non lasciamoci ingannare dall’apparenza, dalla maestà, dagli accenti trionfali.

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la IV domenica del Tempo Ordinario (Anno A), che coincide con la festa della Presentazione di Gesù al Tempio.
Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA
L’incontro del Figlio con il Padre e con i fratelli
Presentazione del Signore al Tempio – L’Ipapante[1] – 2 febbraio 2014

Il Signore nel suo Tempio santo
            1) Incontro di cuori puri, umili e obbedienti.
            Quest’anno il 2 di febbraio cade di domenica e quindi oggi la liturgia invece di continuare la celebrazione del “tempo ordinario” ci riporta al “tempo natalizio”, cioè al “tempo iniziale” della nostra salvezza, per fare memoria del mistero del neonato Figlio di Dio, che osserva anche tutte le prescrizioni esposte nella Legge di Mosè.
            Contempliamo Maria e Giuseppe che vanno al Tempio di Gerusalemme, per offrire Gesù al Signore “come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio che apre il grembo sarà chiamato santo per il Signore e per dare in sacrificio, secondo quanto è detto nella legge del Signore, una coppia di tortore o due pulcini di colomba” (Lc 2, 24-25). Così ci viene ridetta la povertà dei genitori, che non hanno la possibilità di offrire l’agnello.  Tuttavia con il cuore pieno di commozione essi offrono tutto quello che hanno: due uccelli piccoli, innocenti e puri. Non sanno ancora che hanno tra le braccia Colui, che Giovanni il Battista indicherà come “Agnello di Dio”.
            L'offerta di Gesù al Padre, compiuta nel Tempio, prelude alla sua totale offerta sulla croce.
Questo atto di obbedienza a un rito legale, al compimento del quale né Gesù né Maria erano tenuti, costituisce anche una lezione di umiltà, ulteriore a quella che ci è stata data a Natale, quando abbiamo contemplato il Figlio di Dio e la sua Madre nella commovente, povera e umile cornice del presepio.
            Dio si manifesta nella debolezza, nella povertà, nell'innocenza dell'infanzia e nella purezza, e solamente i puri di cuore vedono Dio. Quelli cioè che hanno gli occhi tersi, puliti perché hanno cambiato la mente. Chi è pentito e purificato, la persona pia che ha rinunciato al modo di vedere e di pensare umano può “vedere” Dio, che si manifesta nella vita degli uomini, e capire quello che Dio compie.
            Fra questi puri di cuore ci sono Simeone[2] e Anna[3] figlia di Fanuele, della tribù di Aser.
            Il cuore e gli occhi puri permettono a Simeone di riconoscere in quel bambino, portato da un’umile coppia, il Messia promesso, l'unto del Signore annunciato dai profeti e atteso da secoli. Il vecchio Simeone, uomo giusto e pio, che aspetta la consolazione di Israele (cfr. Lc 2,25) e che, mosso dallo Spirito Santo, si reca in tempio, accoglie tra le braccia il bambino e con animo commosso benedice Dio, perché è arrivata la salvezza per lui, per il suo popolo e per tutte le genti. Con i suoi occhi e col suo cuore purificati dall’attesa, il vecchio profeta riconosce in quel bambino il Salvatore. Ma profetizza anche che quella lucetanto attesa e invocata sarà per molti segno di contraddizione e non di risurrezione, perché non riusciranno ad accogliere la luce della sua parola che svela i pensieri di ogni cuore umano.
            L’altra umile persona che accoglie Dio che visita il suo Tempio è Anna. Per grazia di Dio questa donna ha la felicità, la fortuna di vedere il volto di Dio nel bambino Gesù. Credo sia legittimo guardare a questa donna come rappresentante di tutta l’umanità, il cui destino è vedere il Volto di Dio e riflettere in sé tale Volto. Questa vedova rappresenta tutta l’umanità che è vedova perché non ha lo sposo, la sua “altra parte”. L’altra parte dell’uomo è Dio. Questa donna ha la grazia di vederlo faccia a faccia e di gioire per la presenza dello sposo, come lo sposo gioisce della presenza della sposa. Anna finalmente celebra Dio, mentre prima digiunava con suppliche, digiuni notte e giorno nel tempio, e celebra Dio parlando del Bambino, che è la liberazione di tutti. Dunque questa donna rappresenta le nozze finali della Gerusalemme celeste, quando l’umanità si incontrerà con lo Sposo. Sostanzialmente siamo tutti “vedove” in attesa delle nozze, dell’incontro con Dio-Amore.
            2) Due persone portano il Bambino per offrirlo.
            Abbiamo presentato due persone che hanno accolto il Figlio di Dio che “visitava” casa sua, e che hanno saputo riconoscerlo in un piccolo bambino portato da due povere e umili persone: Giuseppe e Maria, che offrivano il “loro” Figlio a Dio. Ora volgiamo lo sguardo a San Giuseppe e, soprattutto, a Maria che è la Madre vergine offerente: “La Chiesa ha intuito nel cuore della Vergine che porta il Figlio a Gerusalemme per presentarlo al Signore, una volontà oblativa, che superava il senso ordinario del rito” (B. Giovanni Paolo II, Marialis Cultus, n. 20). È questa dimensione oblativa che dobbiamo cogliere come messaggio della festa di oggi, per sviluppare in noi quella che potremmo chiamare la spiritualità dell'offerta, che spinge ciascuno di noi a vivere la vita nel dono totale di sé a Dio come il Tutto della propria vita.
            Infatti, portato nel Tempio da Maria accompagnata dal suo sposo Giuseppe, Gesù è offerto. Come ricorda il Vangelo, la Madonna è stata certamente mossa a fare questo dall’antica prescrizione mosaica, in forza della quale ogni primogenito apparteneva al Signore. Ma nell’offerta di Cristo, quella prescrizione non solamente è osservata; essa è perfettamente adempiuta. In forza della sua partecipazione alla nostra umanità, il Verbo di Dio è divenuto “il primogenito di molti fratelli” ed offre se stesso per la loro salvezza. “Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato… Allora ho detto: Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,5-7).    Immergiamoci oggi nella contemplazione di quest’atto di volontà con cui Gesù Cristo, presentato al tempio, fa della sua vita e della sua umanità un “sacrificio a Dio gradito”.
            Oggi, infine, celebriamo i divini misteri soprattutto perché vogliamo ringraziare il Padre per un dono particolare, frutto prezioso dell’offerta di Cristo: la vita consacrata. Nel dono che Cristo ha fatto di se stesso sulla croce sta la radice del fatto che ci siano uomini e donne che seguono Cristo, amandolo con cuore indiviso, pienamente liberati mediante la pratica dei consigli evangelici.   
            Guardando alle Vergini Consacrate noi siamo profondamente assicurati che Cristo è morto e risorto per noi: queste donne lo dicono non tanto con le parole quanto con la loro esistenza consacrata. Qual è infatti il “nucleo essenziale” della decisione esistenziale di queste persone? E’ l’aver deciso di appartenere esclusivamente e totalmente alla persona di Cristo: la loro vita è una vita consacrata e lo è per sempre. Qualifica questa della loro esistenza che esprime la radicalità del loro essere state afferrate da Cristo e del loro lasciarsi afferrare, senza porre alcuna resistenza. Queste persone consacrate vogliono riposare solamente in Cristo e Lui totalmente aderire (cfr RCV, n 24), seguendo il loro modello per eccellenza Maria che ha detto: “Ecco l’ancella del Signore, avvenga in me secondo la tua parola” (Lc 1,38).
            Radicate in tale appartenenza radicale, completa a Cristo, queste persone consacrate diventano l’espressione perfetta di ogni vita cristiana, la quale consiste nel conformarsi pienamente al Signore Gesù. L’augurio da fare loro è che siano fedeli alla loro vocazione, perché in essa tutti i fedeli, gli sposi ed i pastori della Chiesa vedono svelata la profonda natura della vita cristiana come tale.
            In ogni caso, secondo me oggi si celebra soprattutto la festa del primo incontro di Gesù con il Padre, a cui viene offerto, e subito riscattato, come ogni primogenito. Chiediamoci se siamo davvero pronti a offrire, assieme a Lui, il meglio di noi stessi a Dio, nostro Padre, per poi, “ridonati a noi stessi”, passare nel mondo come benedizione, che illumina il cammino degli uomini in cerca di Dio dà pace e gioia. “Gioia che non consiste nell’avere tante cose, ma nel sentirsi amati dal Signore, nel farsi dono per gli altri e nel volersi bene” (Benedetto XVI, Angelus del 13.12.2009). Benedizione da chiedere a Dio e condividere con i fratelli come fece Papa Francesco nel momento del primo incontro con la Chiesa e il mondo appena dopo la sua elezione a Vescovo di Roma.
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LETTURA PATRISTICA 
San Sofronio, vescovo
Discorso 3, sull’«Hypapante» 6, 7
PG 87, 3, 3291-3293
“Noi tutti che celebriamo e veneriamo con intima partecipazione il mistero dell’incontro del Signore, corriamo e muoviamoci insieme in fervore di spirito incontro a lui. Nessuno se ne sottragga, nessuno si rifiuti di portare la sua fiaccola. Accresciamo anzi lo splendore dei ceri per significare il divino fulgore di lui che si sta avvicinando e grazie al quale ogni cosa risplende, dopo che l’abbondanza della luce eterna ha dissipato le tenebre della caligine. Ma le nostre lampade esprimano soprattutto la luminosità dell’anima, con la quale dobbiamo andare incontro a Cristo. Come infatti la Madre di Dio e Vergine intatta portò sulle braccia la vera luce e si avvicinò a coloro che giacevano nelle tenebre, così anche noi, illuminati dal suo chiarore e stringendo tra le mani la luce che risplende dinanzi e tutti, dobbiamo affrettarci verso colui che é la vera luce.
La luce venne nel mondo (cfr. Gv 1, 9) e, dissipate le tenebre che lo avvolgevano, lo illuminò. Ci visitò colui che sorge dall’alto (cfr. Lc 1, 78) e rifulse a quanti giacevano nelle tenebre. Per questo anche noi dobbiamo ora camminare stringendo le fiaccole e correre portando le luci. Così indicheremo che a noi rifulse la luce, e rappresenteremo lo splendore divino di cui siamo messaggeri. Per questo corriamo tutti incontro a Dio. Ecco il significato del mistero odierno.
La luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr. Gv 1, 9) é venuta. Tutti dunque, o fratelli, siamone illuminati, tutti brilliamo. Nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si ostini a rimanere immerso nel buio. Ma avanziamo tutti raggianti e illuminati verso di lui. Riceviamo esultanti nell’animo, col vecchio Simeone, la luce sfolgorante ed eterna. Innalziamo canti di ringraziamento al Padre della luce, che mandò la luce vera, e dissipò ogni tenebra, e rese noi tutti luminosi. La salvezza di Dio, infatti, preparata dinanzi a tutti i popoli e manifestata a gloria di noi, nuovo Israele, grazie a lui, la vedemmo anche noi e subito fummo liberati dall’antica e tenebrosa colpa, appunto come Simeone, veduto il Cristo, fu sciolto dai legami della vita presente.
Anche noi, abbracciando con la fede il Cristo che viene da Betlemme, divenimmo da pagani popolo di Dio. Egli, infatti, é la salvezza di Dio Padre. Vedemmo con gli occhi il Dio fatto carne. E proprio per aver visto il Dio presente fra noi ed averlo accolto con le braccia dello spirito, ci chiamiamo nuovo Israele. Noi onoriamo questa presenza nelle celebrazioni anniversarie, né sarà ormai possibile dimenticarcene”.(Disc. 3, sull’«Hypapante» 6, 7; PG 87, 3, 3291-3293).
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NOTE
[1] La Festa della Presentazione del Signore, dai Cristiani d’Oriente è chiamata Ipapánte, cioè Incontro, perché 40 giorni dopo il suo Natale, Gesù fu condotto da Maria e Giuseppe al Tempio, sia per adempiere la legge mosaica, sia soprattutto per incontrare il suo popolo credente ed esultante, luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele. Con il titolo di “incontro” (hypapànte) la Chiesa bizantina in questa festa vuol soprattutto sottolineare l’incontro di Gesù con l’anziano Simeone, cioè l’Uomo nuovo con l’uomo vecchio, è la festa dell’incontro di Dio, per mezzo dell’incarnazione del Figlio, con l’umanità, con ogni uomo. Questo incontro ha luogo nel Tempio, cioè nella vita ecclesiale di ogni cristiano, di ognuno di noi. In Simeone ed Anna, è rappresentata l’attesa di tutto il popolo d’Israele, che in questo incontro finalmente trova il suo compimento.
E’ chiamata pure Festa delle luci (cfr Lc 2,30-32) ed ebbe origine nell’Oriente Cristiano. Nel secolo VI si estese all’Occidente con sviluppi originali: a Roma con carattere più penitenziale e in Gallia con la solenne benedizione e processione delle candele popolarmente nota come la ‘candelora’.  Questo rito della benedizione delle candele, di cui si ha testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone: “I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti” (Id.).
La festività odierna era fino alla riforma del calendario liturgico chiamata festa dellaPurificazione della SS. Vergine Maria, in ricordo del momento della storia della santa Famiglia, narrato al capitolo 2 del Vangelo di Luca, in cui Maria, in osservanza della Legge, si recò al Tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, per offrire il suo primogenito e compiere il rito legale della sua purificazione. La riforma liturgica del 1960 ha restituito alla celebrazione il titolo di “Presentazione del Signore”, che aveva in origine.
[2] Simeone vuol dire “Dio ha ascoltato”, cioè la sua attesa viene compiuta.
[3] Anna vuol dire “grazia di Dio”, Fanuele vuol dire “volto di Dio”, Aser vuol dire “felicità, fortuna”.