mercoledì 2 luglio 2014

Dilatato Corde



Un’esperienza fondata su un programma di scambi spirituali. Monaci protagonisti del dialogo tra le religioni

(William Skudlarek, Consultore del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso)
Anche prima del 1978, anno in cui la Confederazione benedettina istituì commissioni per il dialogo interreligioso in Europa e Nord America, alcuni monaci erano già impegnati nel dialogo con i seguaci di altre religioni. Tra i più noti di questi pionieri vi era Henri Le Saux (1910-1963), monaco benedettino del Monastero di Sainte-Anne de Kergonan in Francia (Bretagna). Arrivato in India nel 1948, adottò presto la veste zafferano di un sannyasi, il “rinunciante” indù, prendendo il nome indiano Abhishiktananda (“Gioia dell’Unto”). Negli Stati Uniti, il monaco trappista Thomas Merton (1915-1968) approfondì gli insegnamenti e le pratiche spirituali del cristianesimo occidentale e orientale e di altre tradizioni religiose. Poco prima della sua morte accidentale nel 1968 durante una conferenza monastica panasiatica a Bangkok, una delle rare occasioni in cui ha lasciato il suo monastero in Kentucky, spiegò il motivo per cui desiderava imparare dalle altre religioni: «Io parlo come monaco occidentale che è in primissimo luogo interessato alla propria vocazione e dedizione monastica [...] Sono venuto come pellegrino, desideroso non di raccogliere informazioni o “fatti” sulle altre tradizioni monastiche, bensì di abbeverarsi alle antiche fonti della concezione e dell’esperienza monastica. Io non cerco solamente di saperne di più in fatto di religione e di vita monastica, ma di fare di me stesso un monaco migliore e più illuminato [...] A mio giudizio siamo arrivati oggi a un grado tale di maturità religiosa per cui è dato a qualcuno di poter attingere alla disciplina e all’esperienza diciamo indù o buddista, pur rimanendo del tutto fedele al proprio impegno cristiano e monastico. Credo anzi che alcuni di noi abbiano bisogno di una tale esperienza per migliorare la qualità della loro vita monastica».
L’importanza del dialogo interreligioso per i monaci e le monache, soprattutto coloro che sono stati coinvolti nella creazione di comunità monastiche in Paesi dove il cristianesimo è una religione di minoranza, è stato riconosciuto dall’Alleanza inter-monastica (Aim), un’organizzazione fondata nel 1961 per aiutare le nuove comunità monastiche cattoliche in Asia e in Africa. Molto presto l’Aim ha cominciato a organizzare conferenze per aiutare i monaci e le monache cristiani a comprendere meglio le culture e le tradizioni religiose dei popoli fra i quali vivevano.
Il successo delle due conferenze asiatiche sponsorizzate dall’Aim, una a Bangkok nel 1968 e l’altra a Bangalore nel 1973, convinse il cardinale Sergio Pignedoli, secondo presidente del Segretariato per le religioni non-cristiane (oggi Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso), a scrivere all’abate primate dell’ordine benedettino Rembert Weakland nel 1974 per invitare gli ordini monastici della Chiesa a essere coinvolti nel dialogo interreligioso. La ragione per cui fece quest’appello, disse, è che «il monachesimo costituisce un ponte tra le religioni». La richiesta del cardinale Pignedoli portò alla creazione nel 1978 delle sottocommissioni per il dialogo interreligioso all’interno dell’Aim in Europa e in Nord America, e, successivamente, alla creazione del Dialogo interreligioso monastico (Dialogue interreligieux monastique/Monastic interreligious dialogue, Dimmid) come un segretariato indipendente all’interno della confederazione benedettina, con collegamenti formali ai due rami dell’ordine cistercense.
Uno dei principali obiettivi del Dimmid è quello di promuovere l’interesse e l’impegno dei monaci e delle monache cattolici nel dialogo interreligioso. Strumenti per raggiungere quest’obiettivo sono una rete di commissioni nazionali e regionali, convegni interreligiosi e una rivista multilingue dedicata al dialogo dell’esperienza religiosa. Questa rivista, dal titolo «Dilatato Corde», è stata lanciata nel 2011, e i numeri attuali e precedenti possono essere trovati sul sito www.Dimmid.org. Ogni anno i principali articoli sono pubblicati in forma di libro dalla casa editrice Lantern Press a New York. Il nome della rivista, «Dilatato Corde», proviene dalla Regola di san Benedetto, che invita coloro che seguono la vita monastica a correre sulla via dei comandamenti di Dio con un “cuore dilatato” (Prologo, 49).
Il Dimmid si concentra sul dialogo con i monaci e le monache di altre tradizioni religiose, la cui vita monastica, si deve rilevare, precede il monachesimo cristiano di circa un migliaio di anni. Al di là di voler offrire ospitalità e vivere in pace e nel rispetto reciproco con i loro fratelli e sorelle monaci buddisti e indù, un numero crescente di monaci cattolici condividono la convinzione di Thomas Merton che possiamo «imparare in profondità, per esempio, la disciplina o l’esperienza buddista o indù [e perciò] migliorare la qualità della nostra vita monastica». A tal fine, un programma di scambi spirituali tra monaci e monache giapponesi buddisti zen e comunità monastiche europee è in corso dal 1979. Questo programma è una forte espressione della tradizione monastica dell’ospitalità raccomandata da san Benedetto nella sua Regola. Padre Pierre-François de Béthune, O.S.B., primo segretario generale del Dimmid e per molti anni consulente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, descrive questo tipo di scambio nel suo libro L’ospitalità. La strada sacra delle religioni (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2013).
Nell’America del Nord, le riunioni dei gruppi “monache in occidente” e “monaci in occidente” si sono svolte dal 2004 per fornire ai monaci e alle monache buddisti, cattolici e indù l’opportunità di riflettere sulle sfide di condurre una vita monastica in una cultura che pone sempre più importanza ai beni e al piacere. Inoltre, la commissione nordamericana del Dimmid ha sponsorizzato tre importanti dialoghi buddisti-cattolici, chiamati “Incontri di Getsemani”; l’anno prossimo si terrà il quarto incontro, che affronterà il tema della maturazione spirituale.
Grazie soprattutto al libro di Raimon Panikkar, Beata semplicità. La sfida di scoprirsi monaco (Cittadella, Assisi 2007), divenne sempre più chiaro che “monaco” può anche essere inteso come un “archetipo”, vale a dire, un prototipo di impegno totale per la ricerca della bellezza, della verità e della bontà definitiva che è il segno distintivo di ogni autentico ricercatore spirituale. Una definizione del monachesimo più profonda e più inclusiva, che si esprime in questa comprensione di “monaco” che non diminuisce ma esalta il ruolo di monaci e monache professi, ha portato il Dimmid a espandere la propria comprensione del “dialogo monastico” come un dialogo a livello dell’esperienza e della pratica religiosa. Così, mentre i partner principali del Dialogo interreligioso monastico continuano a essere i monaci e le monache di altre tradizioni spirituali, il dialogo condotto a livello dell’esperienza religiosa si estende anche ai ricercatori spirituali che non fanno parte di una forma istituzionalizzata di monachesimo. Tra questi praticanti spirituali non formalmente monastici occupano un posto importante i musulmani, le cui pratiche religiose sono spesso parallele a quelle dei monaci e delle monache. Diverse comunità monastiche in Europa e nell’America del Nord hanno stabilito stretti legami spirituali con i loro vicini musulmani. A livello internazionale, il Dimmid è coinvolto in un dialogo continuo con i musulmani sciiti dell’Iran. L’esempio di Christian de Chergé e della comunità trappista di Tibhirine in Algeria ha spinto un numero crescente di monaci e di monache cattolici a riconoscere e imparare dagli insegnamenti spirituali e dalle pratiche dell’Islam.
Negli ultimi anni siamo diventati sempre più consapevoli che essere “religiosi” oggi significa essere “interreligiosi”, cioè aperti a ricevere gli stimoli che le altre religioni possono offrire, consapevoli che se conosciamo solo la nostra religione è probabile che la comprendiamo e la viviamo in maniera incompleta. Come diceva Goethe, «Chi non conosce le lingue straniere, non sa nulla della propria». Oggi, sappiamo come le sue parole sono applicabili alla conoscenza e alla pratica del cristianesimo, e in modo particolare, alla vita monastica. Come ha detto Papa Francesco durante il suo incontro con la classe dirigente del Brasile il 27 luglio 2013, «l’altro ha sempre qualcosa da darmi, se sappiamo avvicinarci a lui con atteggiamento aperto e disponibile, senza pregiudizi. Questo atteggiamento aperto, disponibile e senza pregiudizi, lo definirei come “umiltà sociale” che è ciò che favorisce il dialogo. Solo così può crescere una buona intesa fra le culture e le religioni».
L'Osservatore Romano