mercoledì 16 luglio 2014

Il parroco d'Italia.




I destini del mondo maturano in periferia. Il servizio alla parrocchia e l’impegno «oltre la parrocchia» per una pastorale missionaria e una testimonianza coraggiosa ispirata al convincimento che «i destini del mondo si maturano in periferia»: tutto questo è racchiuso nella biografia che Bruno Bignami dedica a una delle figure più significative del cattolicesimo italiano nella prima metà del Novecento (Don Primo Mazzolari. Parroco d’Italia, Bologna, Dehoniane, 2014, pagine 188, euro 15). Pubblichiamo la prefazione a firma dell’arcivescovo di Campobasso-Boiano.(Giancarlo Maria Bregantini) Don Mazzolari è stato una di quelle figure, chiare e preziose, che ci hanno accompagnato negli anni decisivi della nostra formazione verso il sacerdozio e la vita consacrata, in seminario. Specie negli anni roventi della contestazione del dopo concilio, anni fecondi pur se sofferti. 
Anni in cui la parola profetica di don Primo, letta con avidità e interiorizzata con la forza che ha lo studio giovanile, era diventata un sicuro punto di riferimento, una luce, una risposta per maturare scelte decisive nella vita, che dovevano essere fatte “nostre” e non imposte da fuori, per ovvietà o stanchezza intellettuali.
La storia ha i suoi tempi, di non facile lettura. Ma di certa maturazione. Come potremmo subito cogliere dal cammino di questi 50 anni di dopo concilio, preparato appunto da voci profetiche come quella di don Primo. 
Oggi, con benedizione, questo cammino di lenta ma fiduciosa maturazione ha in Papa Francesco la sicura certezza che quanto i profeti avevano intuito era esatto, era già una primavera che faceva intravedere feconde stagioni di frutti. Questo libro ha un pregio impagabile: quello di far emergere, con rigorosa documentazione (quella documentazione di chi don Mazzolari l’ha studiato fin sui banchi dell'università, per farne tesi di laurea, appassionata e vitale), che se don Mazzolari è stato un “profeta” che ha saputo intravedere la presenza del Signore in tempi difficili e in condizioni ostili, è stato proprio perché ha vissuto come parroco. Da qui, quella luce che ancora oggi emanano le sue opere. Specie quelle più appassionate che parlano del Cristo come impegno di vita. Parola, questa, che tanto mi ha aiutato nella mia scelta, insieme alla voce e alla testimonianza di don Lorenzo Milani e di padre Turoldo.
Ecco perché cogliere il taglio di don Primo come «parroco d'Italia» è di certo un'intuizione preziosa. E stato parroco d'Italia, proprio perché è stato parroco di piccoli paesi, a Cicognara e Bozzolo. Qui, nel piccolo, nel quotidiano, nell’umiltà e nella povertà è diventato quella «tromba dello Spirito Santo in terra mantovana» (come finalmente lo ebbe a proclamare papa Giovanni nell’atteso incontro, poco prima di morire, il 5 febbraio 1959).
C'è infatti un modo diverso di vedere le stesse cose. C’è chi le osserva superficialmente. C’è invece chi va oltre. Imparando proprio dai contadini di Bozzolo, don Primo intuì che non bastava osservare passivamente i rami, apparentemente secchi, di filari di viti durante l’inverno. Certo, sembrano sterili, tesi al nulla, perduti. E invece, quando l’esperto contadino pota, già «intravede sui rami secchi il grappolo. Non vede, ma intravede». Questo è il profeta. Questo è stato don Primo. Ma se ha saputo intravedere tempi futuri, per la Chiesa e per l’Italia, lo ha fatto imparando proprio dalla sua gente, dai contadini delle sue parrocchie di Cicognara e di Bozzolo. Li amava, ne condivideva le fatiche e la fame in tempo di guerra e di miseria; li serviva e ammoniva, insegnando dal pulpito con voce chiara, ogni sera, partendo sempre dal Vangelo, proclamato con chiarezza e bellezza. Si impara a intravedere poiché si ama la gente, il suo linguaggio, si ascoltano le sue lacrime. Come fece don Primo nei dieci anni di parroco a Cicognara e poi nei lunghi anni di Bozzolo. Ma poi, seppe volare alto, oltre i confini ristretti della sua stessa parrocchia, come ricorda nel suo stesso testamento spirituale: «Se ho lavorato anche fuori, il Signore sa che non sono uscito per cercare rinomanza, ma per esaurire una vocazione, che, pur trovando nella parrocchia la sua più buona fatica, non avrebbe potuto chiudersi in essa (...) ed il tornare a Bozzolo fu sempre per me tornare a casa e rimanervi con gioia affettuosa e ilare». Intravede chi ama. Come fece l’apostolo Giovanni, davanti al «fantasma» sulla riva. Fu lui, per primo, che intravide in quell’ombra: «È il Signore» (Giovanni, 21, 7). E lo gridò con gioia e certezza, tanto da creare nel cuore preoccupato di Pietro lo slancio ardito verso Gesù. Poi, con calma e pienezza, giunse anche la barca, con i suoi 153 grossi pesci. 
Tutti i protagonisti incontrano Gesù. Ma con cuore diverso, con tempi differenti e scaglionati. Don Mazzolari è quel Giovanni che intuisce e proclama. Per questo la sua voce si è fatta profetica. Perché tanto ha amato. Proprio nella linea che, in questi giorni, Papa Francesco ci ha regalato, nella sua concretissima esortazione apostolica Evangelii gaudium. Scrive, quasi eco dello stile e della vita di don Primo: «Il predicatore deve porsi in ascolto del popolo, per scoprire quello che i fedeli hanno bisogno di sentirsi dire. Un predicatore è un contemplativo della Parola ed anche un contemplativo del popolo» (n. 154). 
Non poteva esserci conferma migliore. Così don Primo oggi trova luminosa conferma da Papa Francesco, come già ieri ne aveva provvidenzialmente avuto sostegno e riabilitazione da Papa Giovanni. Quel papa che di certo pensava a lui quando iniziava il Concilio, nella sua celebre omelia dell’11 ottobre 1962: «Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l'umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi, attraverso l’opera degli uomini e spesso al di là delle loro aspettative e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa!».
Il suo soffrire ha fecondato il suo parlare e agire. Ci è di monito serio ed efficace per tutti. Specie per chi, come un vescovo, deve proclamare, deve parlare, deve prendere posizione e non può restare neutrale. Deve schierarsi. Ma sempre, posso anch’io umilmente attestare, proprio in quel crogiuolo della sofferenza, nasce l’oro purissimo della fede, il frutto oltre la potatura, la pesca con le reti piene oltre le reti vuote. Dio premia chi ama e chi lo ama e chi lo fa amare, con verità e coerenza. Grazie a don Bruno, per questo libro, che esce ora, nel solco approfondito dall’Anno della fede. Sono certo che anche questo libro ci aiuterà, oggi, sulla scia della nuova evangelizzazione, a essere coraggiosi, fantasiosi, aperti al nuovo incontrato nello studio e nella passione di biblioteca. Ma soprattutto incontrato nella voce di un popolo, con cui condividiamo il dramma della crisi, in povertà e sacrificio, ma anche in letizia e gioia perché sorretti da quel Cristo, con cui ci siamo impegnati per amore, per sempre.
L'Osservatore Romano

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Sudan, tre anni dopo la morte del vescovo Mazzolari
Korazym 
(Angela Ambrogetti) Un uomo mite e passionale. Cesare Mazzolari, il vescovo del Sud Sudan ha compiuto la missione: dal 9 luglio del 2011  il paese è indipendente e lui ha festeggiato con quello che è il suo popolo da quando decenni fa è arrivato come missionario comboniano. (...)