lunedì 14 luglio 2014

Il segreto dell’arte è la comunione




Rupnik intervistato da «la Gregoriana». 

«Quel quadro potrebbe anche far perdere la fede a qualcuno», dice il protagonista de L’idiota di Dostoevkij, fissando un Cristo morto di Hans Holbein il Giovane. La questione non è certo secondaria — scrive Paolo Pegoraro nella sua intervista al gesuita sloveno Marko Ivan Rupnik, pubblicata sull’ultimo numero della rivista «la Gregoriana» — se la citazione compare nell’enciclica Lumen fidei (n. 16). Come fanno intuire le parole del principe Myskin, il rapporto tra arte e fede è centrale e problematico al tempo stesso. È un punto nevralgico, spiega Rupnik, artista, consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura e del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova evangelizzazione e docente di Teologia alla Gregoriana. 
«L'arte — dice — prima è uscita dal tempio, cioè dalla Chiesa, poi è passata nel palazzo del potere temporale, infine nella galleria e nel museo, che però non sono spazi per la vita. Nel momento in cui l'arte si è staccata dallo spazio vitale dell'uomo, si è rinchiusa sul soggetto. Oggi l'arte riesce sempre meno a far sì che l'altro, vedendo l'opera, esclami: "Ecco, questo è proprio ciò che avrei voluto dire anch'io, ma non trovavo le parole". Oggi la gente non ha più l'esperienza di un’arte che susciti meraviglia, e allora se ne disinteressa o si abbandona al Kitsch». 
Un’immagine che inchioda nell’al di qua, alle sole esigenze della natura, è ferita, avvelenata — continua Rupnik — perché perde la dimensione universale ed ecclesiale concentrandosi sempre più sull’individuo; così non si accede mai a una visione comunionale. 
«Normalmente — racconta il gesuita — quando vado in giro per vedere gli spazi che ci chiedono di mosaicare succede che l'architetto della chiesa dica: "Vorrei creare uno spazio di raccoglimento". Chiedo a chi celebra in tali spazi e nessuno sente questo bisogno. Allora dico all'architetto: "Scusi, se lei vuole creare un edificio ecclesiastico, non deve cercare di fare uno spazio del silenzio, deve creare lo spazio dell’incontro. Il raccoglimento può essere nella mia stanza". La chiesa non è il raccoglimento: la chiesa è l’incontro tra il divino e l'umano».
L'Osservatore Romano