martedì 15 luglio 2014

Perché qui abita Dio



Tra i «clochards célestes» che trovano rifugio e speranza nelle chiese di Parigi. 

(Giovanni Zavatta) «Perché sono qui? Perché qui sto bene, perché qui abita Dio. Vive in me, è al mio fianco. Ho bisogno di tempo e questo è ciò che trovo qua. Questa chiesa è il mio nido di speranza». Linda, ricercatrice dell’Institut Pasteur, da un anno finita a vivere in strada «a causa di un processo», è uno dei tanti vagabondi mistici, dei clochards célestes che passano le loro giornate nelle chiese di Parigi. A essi il quotidiano francese «la Croix», nell’edizione del 5-6 luglio, ha dedicato un ampio servizio a firma di Mikael Corre. Uomini e donne senza domicilio fisso che hanno trovato nelle chiese il loro luogo d’asilo, in grado di accogliere le proprie sofferenze ma anche la loro personale ricerca spirituale.
Sporchi a volte, spesso ubriachi, chiedono l’elemosina, dormono accanto a una colonna. Nella chiesa di Saint-Laurent, a due passi dalla Gare de l’Est, c’è Vincent Marie, alias “Vain sans Marie” o “Vin sang Marie”, che prega in ginocchio davanti a una statua della Vergine; al collo e fra le mani croci e medaglie “miracolose”. «Si riceve la fede nell’infanzia, dopo è una lotta. Si fa la scelta di seguirla — dice — o di voltarsi verso ciò che è materiale. Io preferisco essere libero». C’è Elias, giovane sudanese, cristiano, che va a messa a Saint-Eustache, nel quartiere Les Halles, un altro, australiano, che frequenta Saint-Sulpice, vicino Saint-Germain-des-Prés. C’è Siamak — che ha lasciato l’Iran a 13 anni perché gli ayatollah minacciavano la sua famiglia e ora dorme in un parco, “Mme Dieu” — che prega in ginocchio su una sedia di paglia — Dimitar, bulgaro, al collo una croce di legno donatagli dal parroco di Saint-Laurent. Vicino place du Châtelet c’è Sylvie, vestita di nero. Ha fatto battezzare i suoi tre figli, prima che venissero presi in consegna dai servizi sociali. È stata in carcere, ora chiede perdono davanti a un’icona di una chiesa di Les Halles. Un’altra donna riceve all’indirizzo della parrocchia di Saint-Laurent le lettere della madre dalla Finlandia. E poi c’è Bruno, di mestiere macellaio, finito sulla strada dopo il divorzio dalla moglie: frequenta Saint-Nicolas-des-Champs, non lontano dal Centre Pompidou, assiste alla messa, accompagna i malati a Lourdes, si occupa della sicurezza del mercatino parrocchiale.
Non sono pochi i clochard che si rendono indispensabili allo svolgimento della vita della parrocchia; alcuni assicurano le letture durante le funzioni, soprattutto nei giorni feriali, quando la chiesa è semideserta.
«Quando arrivo nel quartiere, al mattino, le prime persone che incrocio sono i “miei” poveri», racconta il vicario della parrocchia di Saint-Laurent che recentemente ha ospitato un’intera famiglia nigeriana. In chiesa è vietato mendicare, bere alcol, dormire sdraiati. Da parte dei religiosi niente soldi o cibo, piuttosto l’indirizzo più vicino di Secours Catholique. Ma quella di accogliere, malgrado tutto, è una missione più che un dovere. E non è raro incontrare tra le navate qualche indù o qualche musulmano. A Saint-Leu-Saint-Gilles l’associazione «Aux captifs la libération», che si occupa dell’accompagnamento delle persone di strada, ogni mese riunisce una trentina di “barboni” per la preghiera, seguita da una cena. Quest’associazione, fondata nel 1981 da padre Patrick Giros, è tuttora uno dei più fulgidi esempi di quell’evangelizzazione che parte dalle periferie, dagli ultimi, come tanto auspicato da Papa Francesco.
Nell’approfondimento su «la Croix», si spiega che l’appellativo clochards célestes è mutuato da un libro di Jack Kerouac — I vagabondi del Dharma — che racconta l’avventura di poeti americani, ispirati dal buddismo, viaggiatori senza soldi tra montagne, boschi e deserti. Nel cristianesimo di tradizione russa e bizantina si può invece trovare la figura dello yourodivy, il “folle in Cristo” che abbandona ogni bene materiale e si mette in cammino alla ricerca di Dio: «Sfuggendo a qualsiasi ordine stabilito, sociale o politico, il clochard céleste si caratterizza per un rapporto diretto con il Signore, senza intermediari, sulla linea erratica dei profeti dell’Antico Testamento, dei monaci di differenti tradizioni, fino ai mistici sufi». Hanno anche un patrono, Benedetto Giuseppe Labre, detto “il vagabondo di Dio”, venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Nato in Francia, morì a Roma, a soli 35 anni, nel 1783. Viveva sotto un’arcata del Colosseo, frequentava solitamente le chiese dove si svolgevano le Quarantore, e la sua fama di uomo spirituale crebbe a tal punto che, per i funerali, le spoglie vennero esposte in Santa Maria ai Monti davanti a una folla enorme. I “barboni celesti” sono sempre stati con noi.
L'Osservatore Romano