giovedì 2 ottobre 2014

Con Papa Francesco la Veglia per il Sinodo


Alla vigilia del Sinodo dei Vescovi, dedicato alla famiglia, la Conferenza Episcopale Italiana promuove per sabato 4 ottobre una veglia di preghiera con il Santo Padre in Piazza San Pietro

Alla vigilia della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi (Roma, 5-19 ottobre 2014), dedicato a riflettere circa “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”, la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana invita il popolo di Dio a prendere parte a un momento pubblico di preghiera e di riflessione, che culminerà nell’intervento del Santo Padre.
L’iniziativa intende manifestare l’attenzione della Chiesa italiana attorno a una tematica tanto decisiva quale quella della famiglia, nucleo vitale della società e della stessa comunità ecclesiale. Di qui la volontà di accompagnare i lavori dell’Assemblea sinodale, invocando su di essa la luce dello Spirito Santo.
Il momento di preghiera, presieduto dal Santo Padre, sarà introdotto da alcune testimonianze: Antonio e Roberta di Benevento, fidanzati incamminati verso il matrimonio; Margherita e Marco, una coppia di sposi di Novara, quattro figli a cui recentemente si è unita una bimba in affido familiare; Antonella e Nicola di Tivoli, separati per sei anni, attraverso il percorso di Retrouvaille hanno ritrovato l’unità e sono tornati a vivere insieme.
L’evento – al quale parteciperanno anche i Padri sinodali – si svolgerà sabato 4 ottobre, dalle 18 alle 19.30, in Piazza San Pietro; sarà ripreso dal CTV e trasmesso in diretta da Tv2000 e dalle altre televisioni cattoliche.

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Kasper: ridire ai giovani la verità del matrimonio

La questione dell’accesso all’eucarestia dei divorziati risposati è importante ma è una «follia» ridurre il prossimo Sinodo sulla famiglia ad una discussione su questo tema. E comunque alla fine del cammino sinodale anche su tale problema si raggiungerà un ampio consenso. Lo sostiene il cardinale Walter Kasper, padre sinodale e relatore unico al Concistoro sulla famiglia dello scorso febbraio, in questa intervista ad Avvenire.

Eminenza, la discussione sul prossimo Sinodo sembra focalizzata solo sulla questione dell’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati…
Non mi piace questa focalizzazione. Il tema del Sinodo sono le sfide pastorali della famiglia. E quella dei divorziati risposati è una di queste. Ma non certamente l’unica e va inquadrata in una cornice più ampia. Che cosa è la famiglia, questo è il principale problema. Infatti oggi ci sono molte concezioni della famiglia che non corrispondono alla visione cristiana. Ci sono poi le sfide collegate all’immigrazione, alle persecuzioni, alla miseria e alla povertà.

Non si sente un po’ responsabile di questa focalizzazione per aver gettato il sasso nello stagno con il suo intervento al Concistoro?
Il mio discorso era strutturato in cinque capitoli e solo l’ultimo era dedicato all’argomento. E lo faceva ponendo domande, non affermando tesi. Io avevo chiesto al Papa se potevo porre quelle domande e lui mi ha incoraggiato a farlo, altrimenti non le avrei pronunciate. Questo problema è molto sentito soprattutto nel mondo occidentale, ma chiaramente non era l’unico segnalato nel mio discorso.

Eppure ha monopolizzato l’attenzione mediatica e anche il dibattito ecclesiale…
È vero, e mi è dispiaciuto.

Altri temi che hanno trovano ampia eco mediatica riguardo al Sinodo sono quelli riguardanti i processi di nullità matrimoniale e la questione delle unioni omosessuali. Cosa pensa a riguardo?
È certamente importante rendere, dove possibile, più snelle le cause matrimoniali. Ma non si può pretendere di risolvere tutto in quel modo. Non ha senso dichiarare come mai esistito, ad esempio, un matrimonio durato dieci anni e che ha visto la nascita di bambini. Le unioni omosessuali poi non sono equiparabili al matrimonio. Se sono vissute in modo stabile e responsabile sono da rispettare, ma sono un’altra realtà rispetto alla famiglia.

Alcune comunità protestanti, anche in Italia, sono arrivate a dare una benedizione ecclesiale a queste relazioni. Ritiene che sia una prospettiva percorribile per la Chiesa cattolica?
Non credo. Sono da rispettare se vissute responsabilmente secondo la loro coscienza. Ma non sono una famiglia secondo il disegno di Dio.

Torniamo alla questione della comunione ai divorziati risposati. Ma se alla fine del percorso sinodale ci fosse una apertura riguardo all’accesso all’Eucaristia, non sarebbe una rottura con il magistero espresso dalla Familiaris Consortio?
Il magistero vincolante è quello che riguarda la sacramentalità del matrimonio tra cristiani e la sua indissolubilità. In questo caso invece si tratterebbe di uno sviluppo della disciplina. I principii non possono essere cambiati, ma la loro applicazione in situazioni concrete e contingenti, la disciplina, può esserlo. Questa distinzione è molto importante. Non c’è un dogma su questo punto. C’è una disciplina importante ma che di per sé non si può considerare immutabile.

Ma non c’è il rischio che aprendo un varco in questa disciplina ci possa essere un effetto domino con ulteriori rotture?

Molti hanno questo timore. Ma concepiscono la fede in modo ideologico, come un castello di carte, così, se se ne viene cambiata una, tutto crolla. La Chiesa però non è una realtà statica e c’è uno sviluppo nella comprensione della fede.

D’altra parte in campo cattolico c’è anche chi ritiene che il vincolo matrimoniale possa cessare non solo per la morte fisica di un coniuge ma anche per la "morte morale" del matrimonio stesso…
Nel mio discorso al Concistoro non ho toccato questo punto. Personalmente non sono di questa opinione. Il matrimonio sacramentale è indissolubile, pur con le eccezioni che derivano dal Nuovo Testamento. Penso al privilegio paolino e a quello petrino.

E la disciplina ortodossa, che ammette la possibilità di un secondo o terzo matrimonio seppur non sacramentale, è in qualche modo "importabile" nella Chiesa cattolica?
Si può studiare questa disciplina e si può imparare qualcosa da essa. Ma non credo possa essere trasferita come tale nella Chiesa cattolica, anche perché in essa ci sono degli elementi che derivano dal diritto imperiale bizantino e non dalle Scritture.

Quali sono i temi che lei spera vengano approfonditi nel Sinodo?
Principalmente dovremmo parlare di come aiutare i giovani a realizzare il matrimonio vissuto come disegno di Dio. Di come aiutare le famiglie ad essere realmente chiese domestiche. Di come promuovere la bellezza e la santità della famiglia.

Eminenza, un’ultima domanda. Riguardo al Sinodo e anche altre questioni, sta veramente montando una fronda ecclesiastica con il programma di resistere allo spirito riformatore del pontificato?
Se ne sente parlare. Io non dico questo perché non siamo un sistema totalitario. C’è libertà e papa Francesco vuole un dibattito aperto. Ognuno ha diritto di esprimere la sua opinione senza che sia considerato un complottardo. Abbiamo avuto una situazione simile prima e durante il Concilio Vaticano II quando c’erano vescovi e cardinali che avevano una linea differente da quella di Giovanni XXIII e Paolo VI. Ma alla fine è stato raggiunto sempre un largo consenso. Sono convinto che anche questa volta sarà così.
Avvenire

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Riporto da 
www.rossoporpora.org – 2 ottobre 2014

 

Il relatore generale del Sinodo, card Peter Erdo,  evidenzia che la grande sfida è quella di riuscire a rendere attraenti per l’odierna umanità i valori della famiglia –L’indissolubilità del matrimonio cattolico non è in discussione – Le famiglie importante fattore di evangelizzazione – Perché ci si sposa di meno? Stanchezza verso le forme istituzionali, perciò privatizzazione del matrimonio e anche del funerale, oltre a motivi economici.


Al sessantaduenne ungherese Peter Erdö la Chiesa ha affidato compiti importanti: arcivescovo di Esztergom-Budapest e primate d’Ungheria dal dicembre 2002 (ingresso in diocesi a gennaio 2013), cardinale dal 2003, presidente del Consiglio delle conferenze episcopali europee dal 2006, relatore generale del Sinodo straordinario sulla famiglia, che incomincerà il 5 ottobre. E’ proprio in quest’ultima – delicatissima - veste che l’abbiamo intervistato a via Giulia, presso il Pontificio Istituto ecclesiastico ungherese, al secondo piano di palazzo Falconieri, gioiello barocco in parte opera del Borromini.

Eminenza, Lei è stato designato come relatore generale del Sinodo del 5-18 ottobre (ricordiamo che a questo ne seguirà tra un anno un altro, da cui emergeranno risultati concreti) e avrà dunque un ruolo di moderatore e di collettore delle istanze che emergeranno nel dibattito. Il Suo non sarà certo un compito facile, poiché, a leggere quanto è emerso nei massmedia (non raramente anche a firma cardinalizia), la discussione si prospetta agitata. Da quel che si è potuto capire, ci perdoni la metafora calcistica, assisteremo a una sorta di derby assai aspro tra un fronte cosiddetto conservatore (con tante porpore schierate a catenaccio, a difesa della porta della Dottrina) e un fronte cosiddetto progressista, animato da un fantasista come il cardinale tedesco Kasper e ispirato – questo il sospetto dei ‘conservatori’ – da un suggeritore argentino di grande peso. Sarà proprio così?
In realtà non credo che si prefiguri uno scontro tra una dottrina un po’ astratta e una prassi staccata dalla fede, ma più realisticamente un dibattito attorno ai valori. E i valori sono quelli della e per la vita. Come scrisse Paolo VI nella sua grande esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, bisogna operare in modo che il Vangelo penetri la nostra propria vita, facendo tesoro però della tradizione e della fede della Chiesa. Bisogna dunque dialogare con gli uomini e le donne di oggi perché i valori evangelici siano non solo accettati, ma appaiano attraenti, in grado di rendere felice la nostra vita. La grande sfida è questa. Tale è l’argomento centrale del Sinodo, che non casualmente è chiamato già nel titolo a discutere delle “sfide pastorali sulla famiglia nel contesto della nuova evangelizzazione”. Quel “contesto della nuova evangelizzazione” spesso viene però dimenticato nella presentazione massmediatica.
Nel fronte cosiddetto conservatore serpeggia il timore seguente: cambiando la prassi, l’approccio concreto e quotidiano, in materia di famiglia e nel senso della misericordia, non si indebolirà nel mondo cattolico la percezione della dottrina dell’indissolubilità del matrimonio, pur formalmente non toccandola?
In tale contesto, conoscendo le esperienze nelle società di varie parti del mondo, è possibile una differenza di accenti a seconda del luogo in cui si vive. La mia esperienza mi suggerisce che la preoccupazione per la tenuta della famiglia è molto diffusa: in tanti si attendono una parola concreta, che possa essere messa in pratica nella vita quotidiana. Non si tratta di fare grandi discorsi teologici o pastorali, ma di riuscire a incidere positivamente sulla vita di tante famiglie. Dobbiamo essere fedeli al metodo usato durante il Concilio ecumenico vaticano II con grandi e profonde argomentazioni teologiche i cui risultati sono stati offerti alla vita della Chiesa..
Allora Lei non teme che nel popolo cattolico si riduca, a causa di decisioni sinodali, la percezione dell’indissolubilità del matrimonio sacramentale…
Fondandoci sui contenuti dell’ Instrumentum laboris, frutto anche delle risposte date al Questionario elaborato dalla Segreteria del Sinodo (che è il documento-base per la nostra assemblea), possiamo già ritenere che la maggioranza dei cattolici del mondo sa che il matrimonio sacramentale non può essere sciolto per volontà delle parti contraenti. Non è un rapporto a tempo, non è solubile. Su questo c’è una vasta condivisione, magari non per motivi teologici astratti, ma biblici e di Catechismo della Chiesa.
Condivisione però non significa automaticamente concretizzazione nella vita di ogni giorno…
Sì, io distinguerei tra coscienza e accettazione del valore del matrimonio e comportamento pratico. La sociologia conosce ampiamente la differenza che ci può essere tra condivisione di un valore e la sua applicazione nella quotidianità. E’ il caso anche del matrimonio cristiano. Se consideriamo il numero dei divorzi, almeno in Europa, vediamo che è altissimo. In Ungheria ad esempio più della metà dei matrimoni finisce in questo modo. D’altra parte chi si sposa in chiesa si impegna pienamente e pubblicamente al mantenimento del legame, alla cura del coniuge in ogni circostanza, lieta e triste. Nella nostra liturgia ungherese c’è una formula di origine medievale molto bella, utilizzata anche dai protestanti, che è un giuramento solenne che impegna fino alla morte.
Si è parlato e si continua a parlare della proposta - cresciuta nell’ambito di un potenziamento di un atteggiamento di misericordia nell’ambito dei rapporti tra Chiesa e famiglia - di riammettere alla comunione i divorziati risposati civilmente…
Il fatto fondamentale è che, considerando le risposte pervenute tramite il Questionario alla domanda su che cosa chiedono i divorziati risposati alla Chiesa, si evince che nella maggior parte dei Paesi tali divorziati non chiedono niente. In tanti Paesi è rarissimo che i divorziati risposati vogliano tornare alla comunione. Molti divorziati hanno sì celebrato il loro matrimonio in chiesa, ma poi non si sono mai curati di frequentarla. E dunque per loro la questione della riammissione ai sacramenti non è importante, non costituisce un problema. In alcune regioni i divorziati risposati non sanno neppure che non possono accostarsi  a certi sacramenti.
Sì, ma allora come mai si parla tanto dell’argomento?
Perché in alcuni Paesi la questione è particolarmente sentita. Il tema emerge altrove piuttosto da una situazione diversa. E mi spiego. Persone di quarant’anni e più incominciano, magari attraverso degli amici, a conoscere veramente la fede. Sono persone battezzate, che hanno celebrato il loro primo matrimonio in chiesa e poi si sono fermate lì nella loro vita dal punto di vista cattolico. Mai sono state veramente praticanti. Divorziate e risposate, dopo un percorso di avvicinamento alla fede, incominciano a comprendere che la loro situazione matrimoniale non è compatibile con la riscoperta della stessa fede. Dal punto di vista pastorale questa è un’occasione per spiegare il vero valore del matrimonio, riflettere sul passato, sui motivi della sconfitta matrimoniale. Può darsi che, approfondendo la loro storia, si scoprano motivi riconosciuti dalla Chiesa come elementi di potenziale nullità del primo matrimonio. Se così è, la successiva sentenza ecclesiastica di nullità del primo matrimonio non sarà solo un atto ufficiale, formale per poter considerare valida la seconda unione, ma una vera e propria liberazione psicologica e pastorale. 
Da quanto si è detto, si può dedurre che il tema della riammissione alla comunione dei divorziati risposati non sarà al centro dell’attenzione del Sinodo… 
Non so, non posso prevedere quale argomento sarà al centro del dibattito sinodale. Certo tematicamente non deve essere il tema centrale. Noi parleremo del matrimonio nel contesto dell’evangelizzazione, un tema importantissimo, comprovato dalla realtà dei fatti. In molti continenti le famiglie diventano il nucleo operativo parrocchiale, fanno il lavoro caritativo e l’annuncio fra i non credenti.
Anche nell’Europa centro-orientale, afflitta spesso psicologicamente dai guasti del comunismo che considerava con sospetto ogni assembramento non autorizzato dal partito?
In Ungheria e nei Paesi comunisti in genere, il radunarsi in gruppo con regolarità suscitava la diffidenza delle autorità di polizia ed era considerato negativamente. De facto chi lo faceva veniva indicato come nemico del regime e sorvegliato, a volte anche perseguitato. Nelle parrocchie non esistevano allora comunità di famiglie che leggevano la Bibbia, pregavano insieme, facevano catechismo, si aiutavano a vicenda. La mia esperienza odierna mi mostra invece che oggi più del 70 per cento delle parrocchie della diocesi di Esztergom-Budapest vede in piena attività comunità di famiglie praticanti, soprattutto giovani. Queste comunità invitano amici, altri non credenti e offrono loro la possibilità di avvicinarsi alla fede, come ho constatato avviene per molte madri giovani. Le comunità di famiglie poi non solo partecipano alla preparazione al matrimonio, ma accompagnano gli sposi nel loro cammino, sostenendoli nei momenti di difficoltà. Questa è la realtà delle famiglie evangelizzatrici.
Nella realtà del mondo occidentale sono in continua, forte crescita le convivenze… 
Sono convinto che bisogna occuparci di questo problema, che è globale e anche statisticamente più rilevante di ogni altra questione. La gente non si sposa più. In Ungheria più del 50% di tutte le coppie, di tutte le età, convive più o meno stabilmente, senza alcuna forma istituzionale, né religiosa nè civile.
Allora in questo non c’è una grande differenza tra l’Ungheria e tanti Paesi dell’Europa occidentale… 
Si deve dire che all’interno dell’area dell’Europa centro-orientale siamo confrontati in alcuni Paesi con una mentalità sociale che chiamerei post-sovietica. Anche l’Ungheria si avvicina a tale modello. In questi Paesi domina una profonda indifferenza e anche il matrimonio, come forma istituzionale della convivenza, perde molto del suo valore. In altri Paesi dell’Europa centro-orientale come la Polonia, la Slovacchia, la Croazia permane invece una tradizione cristiana più vivace: lì numericamente i matrimoni religiosi sono ancora la maggioranza e tuttavia la tendenza è al ribasso.
Eminenza, perché ci si sposa sempre meno?
Si fugge sempre di più dalle istituzioni. Abbiamo trovato ad esempio una correlazione tra la percentuale di chi convive senza alcun matrimonio e la percentuale di chi non chiede i funerali per i parenti… portano le ceneri a casa in un sacchetto di plastica, lo tengono nell’armadio oppure spargono le ceneri al vento…
Una vera e propria privatizzazione sia del matrimonio che del funerale…
Sì, c’è una privatizzazione che non è in sintonia con quello che ad esempio è il matrimonio, è la famiglia. Matrimonio e famiglia non sono realtà solo spirituali, ma hanno un’incidenza nella società: dunque, volenti o nolenti, assumono un importante ruolo istituzionale. Così è per la morte: anche il nostro corpo ha una funzione fondamentale di comunicazione tra di noi e con Dio. Pure dopo la morte. Per la società è importante che i defunti vengano onorati nei cimiteri, ne venga coltivata la memoria. Se invece le ceneri vengono sparse, se ne potrebbe trarre l’impressione che la vita del singolo in fondo non valga niente né per la comunità né per il suo futuro.
Ci sono anche aspetti economici che contribuiscono a far decrescere i matrimoni…
A tutto quanto detto occorre aggiungere anche l’aspetto economico: i matrimoni costano, i funerali anche e la gente di soldi ne ha pochi. Ancora: nella nostra società la gente si sente oppressa, soffocata dalla burocrazia, dalle istituzioni. Perciò, laddove esiste la possibilità di evadere dall’obbligatorietà stretta di un comportamento, tale possibilità viene utilizzata. Come vede, il Sinodo dovrà approfondire tanti aspetti rilevanti dell’odierna vita familiare nelle diverse parti del mondo: aspetti spesso molto complessi e che vanno ben al di là di questioni particolari.
P.S. L’intervista appare, in versione cartacea e in forma lievemente ridotta, sul ‘Giornale del Popolo’ (quotidiano cattolico della Svizzera italiana) di giovedì 2 ottobre 2014. In questo sito (rubrica: Intervista a cardinali) appare anche un’altra intervista dell’ottobre 2012 al card. Erdö  intitolata: “Il cardinal Erdö sulla Costituzione ungherese e sul cardinal Mindszenty”. Riguardo a quest’ultimo vedi pure  “Mamberti: successo limitato dell’Ostpolitik vaticana" (rubrica: Vaticano, 26 settembre 2014).