martedì 15 settembre 2015

IL BRACCIO DI FERRO DECISIVO



di Mario Adinolfi
La dialettica in corso sulla riforma costituzionale rischia di essere il terreno decisivo di snodo della legislatura e sarà bene analizzare le forze in campo, le loro motivazioni, i loro obiettivi per provare a comprendere quel che accadrà nelle prossime settimane.
Soggetto centrale è ovviamente Matteo Renzi. Non il suo governo, non il ministro Maria Elena Boschi, non la neoamazzone Anna Finocchiaro (che una volta detestava l'allora sindaco di Firenze con tutte le sue forze, ora si è ingauinata in una deliziosa livrea), non i vari sottosegretari alle Riforme che pochissimo contano. Questa è la partita personale di Matteo Renzi, aperta il giorno in cui si presentò in Senato per il discorso inaugurale del suo governo con una mano in tasca e l'annuncio ferale per i senatori: non conterete più nulla, non avrete lo stipendio e non sarete eletti. Un annuncio traumatico che, condito con la teorizzazione di un bicameralismo fasullo che diventava monocameralismo di fatto, ha avviato la stagione della riforma costituzionale in salsa renziana. E la salsa renziana è tosta da digerire, perché prevede la consegna dei partiti all'irrilevanza: è la vera assunzione del modello americano, fondato sulla leadership ottenuta dalle primarie, che poi governa senza una sostanziale dialettica con l'unica aula parlamentare deliberante, secondo lo schema del rapporto sindaco-consiglio comunale, il solo che Matteo Renzi ama. E cioè uno schema efficiente in cui il sindaco decide, la giunta discute e mette a punto le delibere, il consiglio docilmente ratifica.
Il combinato disposto di Italicum-premio alla lista e monocameralismo di fatto costruisce il sistema di potere a cui punta Renzi. Ritiene di poter vincere le elezioni con il quaranta per cento (il suo Pd alle europee prese il quarantuno) o al limite vincendo il successivo ballottaggio se dovesse solo sfiorare l'asticella. Poi l'azione di governo sarebbe in discesa e soprattutto non condizionabile da partiti e partitini. I quali sono sul piede di guerra, politicamente per loro è la battaglia del vivere o morire. Ma Renzi li ha quietati con una soglia di sbarramento bassa per l'accesso al riparto dei seggi, in modo da far sapere ai gruppi dirigenti che potranno autotutelare il loro posto da parlamentare, anche grazie al fatto che l'Italicum consegna di fatto il potere assoluto nei piccoli partiti al leader che potrebbe candidarsi capolista in tutti i collegi e poi indicare quali "numeri due" far arrivare a Montecitorio e quali no. Ah, ovviamente il Parlamento sarà quasi totalmente composto da nominati e la reintroduzione delle preferenze riguarderà una minoranza degli eletti. Insomma, occorrerà dimostrarsi superfedelissimi dei capi per poter aspirare al seggio.
Se Renzi porterà a casa questo sistema, diventerà di fatto inamovibile per almeno dieci anni. Chi sta provando a opporsi? A chiacchiere, i partitini, ma come si è spiegato le loro armi sono spuntate e i loro appetiti più inconfessati sono già stati saziati. La Lega fa una opposizione neanche troppo convinta all'impianto della riforma, sarebbe interessata ad andare al voto prima possibile ma sa anche che né Renzi né soprattutto Berlusconi vogliono elezioni a breve. Già, Berlusconi. Anche Forza Italia sarebbe formalmente all'opposizione di questo impianto di riforma, ma le elezioni proprio non le vuole e alla fine quando i voti decisivi necessiteranno di conte sul filo di lana vedrete che qualcuno si attarderà al bagno e eviterà di andare a far pesare il proprio voto contrario. Anche l'operazione di Verdini va in questa direzione, chiamiamolo di soccorso azzurro ai piani di Renzi.
Restano i due soggetti che realmente vorrebbero le elezioni: Grillo e la minoranza dem. Il M5S paga purtroppo dazio ancora all'inesperienza della vita di palazzo: se Di Maio e i suoi avessero cominciato a costruire ponti con la Lega, con cui su alcuni temi chiave vanno più che d'accordo, Renzi si sarebbe preoccupato assai. Un asse Grillo-Salvini lo metterebbe in difficoltà e forse l'Italicum non verrebbe più considerata la migliore delle leggi elettorali possibili. Il M5S però è prigioniero delle sue logiche e della sua crisi di crescità, dunque in aula farà rumore ma non politica.
C'è la minoranza dem, che su questa partita si gioca tutto. La Boschi è addirittura irridente, si prepara a saltare tutta la fase preliminare e far approdare direttamente la riforma in aula, dichiarando sicura che "ci saranno i numeri, come sempre". La minoranza del Pd pare essere una tigre di carta, una federazione di piccoli comprimari della politica e vecchie glorie sul viale del tramonto, peraltro divisi al loro interno. Però sono loro a poter far saltare il banco, magari aiutati da un presidente del Senato che sogna di fare uno scherzo imprevisto al premier e di andarlo a sostituire a Palazzo Chigi, perché alcuni dicono che il presidente Mattarella non darebbe mai lo scioglimento delle Camere a Renzi, risuscitando il caro vecchio "governo istituzionale" protagonista di tanti snodi della Prima Repubblica. Ma ce lo vedete voi Pietro Grasso a fare il novello Fanfani? Io no.
Credo che Renzi forzerà la mano fino in fondo e approverà la riforma, anche se con pochissimi voti di scarto e con le urla delle opposizioni che grideranno al golpe. Ma Renzi si appellerà al popolo, perché in caso di maggioranza risicata si va al referendum. E credo che tra il premier che dirà di aver di fatto spazzato via il Senato (e i senatori stipendiati) e reso efficiente la democrazia con il voto di fiducia demandato a una sola Camera e le opposizioni che appariranno interessate a conservare lo status quo, l'innovazione del premier riceverà consensi tali che porranno sul suo capo una corona da imperatore. Non immagino nel referendum riforme sì, riforme no un risultato diverso da settanta-trenta. E allora davvero il capolavoro da pokerista di Matteo Renzi sarà compiuto.
Queste settimane saranno decisive. Noi osserveremo da vicino tutti i passaggi e tenteremo di spiegarveli in maniera comprensibile. Certo è che il gioco politico è sempre lo stesso: un gioco pieno di parole insensate, che coprono un gran clangore di spade agitate da coloro che duellano per il potere.