sabato 26 settembre 2015

Il bambino che voleva essere Melissa




"Famiglie: storia di George, il bambino che voleva chiamarsi Melissa". Corriere della Sera di oggi. Smettetela, lasciate in pace almeno i bimbi. Ah, già, l'ideologia gender non esiste. Vergogna.
(Mario Adinolfi)

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Storia di George, il bambino  che voleva essere Melissa
di Elena Tebano
Come si parla di transessualità ai bambini? Lo fa, attraverso gli occhi di un altro bambino, un libro da poco uscito negli Stati Uniti e che da martedì arriverà anche nelle librerie italiane per Mondadori, nella collana «Contemporanea» diretta ai ragazzi e alle ragazze dagli undici anni in su:George di Alex Gino (15 euro, 160 pagine).
Il protagonista che gli dà il titolo non assomiglia a nessuno di quelli che popolano usualmente le storie per i più piccoli: ha 10 anni e sente, da quando ha contezza di sé, di voler essere una ragazza. «“Melissa”. Era quello il nome che si dava allo specchio quando nessuno la vedeva, e lei poteva pettinarsi i lisci capelli castano-rossicci sulla fronte, come se avesse la frangia». All’inizio il suo è un segreto coltivato con cura, sarà la recita scolastica di «La tela di Carlotta» a farlo venire allo scoperto: prima con la sua migliore amica (una bimba sveglia, cresciuta dal padre single disorganizzato e amorevole), poi con il fratello Scott, l’archetipo del ragazzone sportivo americano, infine con la mamma e il papà separato, che vive lontano ma è attento ai figli. Anche se la madre e la maestra si oppongono, George vuole a ogni costo interpretare il ragno Carlotta perché si riconosce in lei come non può riconoscersi nel maiale Wilbur (un maschio).
«Per me era importante mostrare le reazioni delle persone a chi fa coming out come transgender: volevo che i lettori si chiedessero come si comporterebbero al posto di quel fratello o di quella madre — spiega Alex Gino al telefono da Oakland, California —. E che i bambini potessero leggere un libro in cui vedere riflessa la vita di una persona transgender, che ci si riconoscano o no». Paolo Valerio, professore di Psicologia clinica all’Università Federico II di Napoli e presidente dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere, concorda: «I bambini vanno accompagnati in un processo di conoscenza delle differenze, devono poter sapere che c’è una pluralità di identità e che questo è un arricchimento — afferma —. Sono bombardati di informazioni dal web e dalla tv, anche sulle persone “gender non-conforming”. Gli adulti, meglio se a scuola, devono aiutarli a capire che queste condizioni non sono una patologia, ma una delle modalità in cui si esprime il genere». Non significa dire che si «debba» essere tutti così, con buona pace di chi teme che al semplice parlare di persone transgender si voglia «indurre» i bambini a cambiare sesso. Né basta che a un maschio piaccia il rosa (o a una femmina il calcio) perché sia transgender. «Non è che qualsiasi bimbo che prova un vestito diventerà una donna! — protesta Gino —. E i transgender non sono tutti uguali a George: ognuno ha la sua storia».
«La non conformità di genere è una condizione molto rara e non è detto che permanga oltre l’infanzia — conferma il professor Paolo Valerio —: alcuni porteranno avanti la loro identità “gender variant”, altri torneranno indietro, altri ancora potranno scoprirsi omosessuali. L’importante è non stigmatizzare il loro comportamento: noi adottiamo un atteggiamento di osservazione e attesa. Non incoraggiamo l’assunzione del “nuovo” genere, ma neanche la scoraggiamo».
E qui sta forse l’unico limite del libro: Alex Gino parla di George per tutto il tempo al femminile (e chiede che lo facciano anche i lettori). È una scelta stilistica e letteraria che aiuta a capire il personaggio. Ma non può essere intesa come un manuale d’istruzioni per i bambini reali. E infatti nel racconto la mamma di George si deciderà a chiedere aiuto a «qualcuno che si intenda di queste cose», senza garantirgli che potrà subito «fare la bambina». Per quello è meglio aspettare.

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Bloccare la pornografia on-line? Meglio usarla a scuola!
La pornografia online è sempre più diffusa: se non determina più la metà delle ricerche su Internet come negli anni 90 ma «solo» un decimo, è perché è aumentato il numero di utenti e di richieste. Ma le pagine porno ammontano a 7-800 milioni, e uno dei siti più gettonati si vanta di avere 80 miliardi di video visti all’anno.

L’effetto, scrive l’Economist in uno dei suoi «leader», è che i teenager di oggi hanno a disposizione una varietà di atti sessuali che farebbe invidia anche ai più debosciati imperatori Mughal. Non sono una generazione di zombie e la dipendenza dal porno non è così diffusa. 
È vero però che per molti di loro il porno è la prima fonte di educazione sessuale, e dà forma alle loro aspettative sul sesso. Bloccare il porno di default sui dispositivi? Inutile, scrive il settimanale. Più suggestivo l’esempio di alcuni insegnanti danesi, che la pornografia la discutono in classe e la usano per educare i ragazzi alla conoscenza del corpo e al significato del consenso: «L’arma migliore contro la cattiva informazione è la verità, non un silenzio imbarazzato». 

Come ha dichiarato Christian Graugaard, medico e professore di sessuologia all’Università di Aalborg, in un’intervista a l’Inkiesta del maggio scorso: «Proiettare i film porno in classe è utile per far loro distinguere la vita sessuale vera dalla finzione» ”. La decisione di proiettare film porno in classe «non è stata la class action partita da un gruppo di adolescenti. Ma la proposta di uno dei sessuologi più famosi della civilissima Danimarca, dove l’educazione sessuale a scuola è obbligatoria dal 1970». 
In un’intervista rilasciata all’inizio di marzo alla televisione pubblica DR, Graugaard ha dichiarato che gli adolescenti dai 13 anni in su dovrebbero vedere e discutere di pornografia e immagini pornografiche a scuola. Anche perché, se non lo fanno in classe, lo fanno a casa: nei Paesi del Nord Europa più del 99% degli adolescenti maschi e oltre l’86% delle ragazze vede o ha visto film porno. Nel resto d’Europa, Italia compresa, la media è dell’80 per cento. Le versioni più aggiornate di «Esplorando il corpo umano» da proiettare in classe non sono più sufficienti. 
Né possono bastare i tutor pratici (che nel Nord Europa si fanno, al contrario dell’Italia) su come si infila un preservativo o sui benefici della pillola anticoncezionale. I tempi sono cambiati. «I giovani, come tutti noi, sono immersi in una società postmoderna altamente sessualizzata», spiega Christian Graugaard. «Quello che propongo non è necessariamente guardare i porno a scuola, ma reinventare l’educazione sessuale non solo parlando degli aspetti biologici, ma anche discutendo di altri fattori come la pornografia, in modo che i ragazzi possano sviluppare un approccio critico rispetto a quello che vedono online, per evitare la confusione tra un film porno e la vita sessuale reale».

In una recente intervista a Radio27 (la radio della 27esima ora) la psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris parlando del tema della generazione Youporn affronta il tema del dialogo, troppo volte carente, fra genitori e figli sulla sessualità. E i rischi di un silenzio che finisce per delegare ad altri (soprattutto al web) un fase delicata della crescita. Come rispondere alle domande dei figli («una risposta va sempre data»), quale linguaggio usare, come sollecitare il discorso se le domande non arrivano. La ferraris parla di sesso e dell’importanza di affrontare il toro per le corna e parlarne in famiglia, «con delicatezza e discrezione, tenerezza e capacità di sorridere, senza disprezzare o sminuire». Comincia con il sesso per finire, però, a parlare di altro: di sentimenti. Perché - come scrive Daniela Monti nell’intervista - «saranno i sentimenti a salvarci, a salvare i ragazzi dall’inondazione di immagini pornografiche di cui è ormai pieno il web». 
Il 60 per cento degli adolescenti naviga o ha navigato in siti pornografici, dice la studiosa. E arriva alla conclusione che solo spiegando ai ragazzi che quella che vedono in video non è la realtà, ma è finzione, perché la realtà è fatta anche di calore, di amore, di rispetto per l’altro, solo così si riuscirà nell’immane compito di genitori che ha posto come sottotitolo al suo ultimo libro Tuo figlio e il sesso: crescere figli equilibrati in un mondo con troppi stimoli.
Fonte: Corriere della Sera