Cari giovani, anche oggi Cristo si rivolge a voi
con la stessa domanda che fece agli apostoli:
«Ma voi, chi dite che io sia?».
Rispondetegli con generosità e audacia,
come corrisponde a un cuore giovane qual è il vostro.
Ditegli: Gesù, io so che Tu sei il Figlio di Dio,
che hai dato la tua vita per me.
Voglio seguirti con fedeltà e lasciarmi guidare dalla tua parola.
Tu mi conosci e mi ami.
Io mi fido di te e metto la mia intera vita nelle tue mani.
Voglio che Tu sia la forza che mi sostiene,
la gioia che mai mi abbandona.
Benedetto XVI
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Dal Vangelo secondo Luca 9,18-22.
Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: «Chi sono io secondo la gente?». Essi risposero: «Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio». Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno. «Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno».
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"Ma voi chi dite che io sia?". C'è un "ma" fondamentale che separa i cristiani dalla "gente", perché traccia una linea netta tra i "pensieri secondo Dio" e quelli della religiosità, delle opinioni, della cultura, i "pensieri secondo il mondo" che non riesce a vedere in Lui il Messia. Che cosa manca alla gente per avere la stessa fede di Pietro e degli apostoli? Perché molti, nel mondo, la invidiano, vorrebbero averla, mentre in fondo rimproverano Dio di non offrire anche a loro il dono riservato ai cristiani. Che tonteria... Che inganno, con il quale il demonio tiene al guinzaglio anche tante belle intelligenze. La fede è un'esperienza, per cui Gesù oggi chiede a ciascuno di noi: "ma voi che ho scelto e chiamato per stare con me e imparare da me; ma voi, che prima di incontrarmi avevate una vita radicalmente diversa; ma voi che vi appartate per pregare e per riposare con me; ma voi che camminate dietro a me, e avete ascoltato tante parole che ho spiegato solo a voi nell'intimità della casa; ma voi, che ho costituito per andare e portare frutto annunciando il Vangelo; ma voi che avete ricevuto da me il potere di guarire gli infermi e scacciare i demoni; ma voi chi dite che io sia?". Dove siamo dunque? Al di qua o al di là del "ma"? Stiamo camminando dietro a Lui imparando a obbedire alla sua Parola? Lo stiamo conoscendo attraverso il perdono dei peccati e il dono della vita nuova che ci fa entrare nella storia concreta di ogni giorno, senza scappare dalla sofferenza? Insomma, dal crogiuolo della Croce, cosa diciamo di Gesù? Perché quando i chiodi ti trapassano mani e piedi, c'è poco da scherzare e scivolare sul politicamente e religiosamente corretto. Il mondo, infatti, scappa dalla sofferenza, per non prendere posizione di fronte a Cristo. E' questo il dramma di questa generazione, al quale partecipiamo tutti, noi e i nostri figli. Se, ridicolizzando e cancellando il peccato, non si guardano in faccia la sofferenza e la morte, Gesù resta del tutto irrilevante. Un profeta che scalda il cuore, che dice cose romantiche, ma in fondo le sue parole e i suoi gesti sono solo sublimi utopie, ideali così trendy da indossare nei salotti e al bar, ma impossibili da incarnare. Così Gesù, pur tra le acclamazioni, resta irrilevante, e l'incontro con Lui non cambia radicalmente l'esistenza. La sessualità, la famiglia, il lavoro, il denaro, l'amicizia, lo studio: in tutto Gesù è via, verità e vita, ma di fatto, le sue parole scorrono sulle giornate come una struggente colonna sonora, mentre le passioni, il piacere e l'egoismo travestiti da valori civili e criteri ragionevoli, ci conducono lontani da Lui.
Forse è così anche per noi che, pur seguendo Gesù, come la "folla" non abbiamo ancora professato la stessa fede di Pietro e dei discepoli. Gesù è per noi come Giovanni Battista, ci ha scosso illuminando alcuni peccati e situazioni difficili indicandoci una via di uscita; o come Elia, che ha fatto tanti miracoli per saziarci; o come gli altri profeti, ci ha consolato e dato speranza, ma il nostro giudizio su di Lui resta ancora oggi una opinione. Non certo la fede adulta. Dunque, su Cristo hai opinioni personali o lo conosci e risuona in te la fede della Chiesa? Hai un'esperienza concreta di Lui nella tua vita, o solo un'idea che ti sei fatto da alcuni momenti in cui, a intermittenza, lo hai sentito vicino e lo hai visto all'opera? Perché per dire che Gesù è "Cristo di Dio" occorre essere al di qua del ma, vivere in Lui, dimorare nella sua intimità, dove imparare a riconoscere nel Nazareno Crocifisso il Figlio di Dio. Per questo, non a caso Gesù pose la domanda decisiva "mentre si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui". Non la fa alla "folla", anzi, proprio il contesto e il contenuto del dialogo rivelano la peculiarità della Chiesa, la comunità riunita "in un luogo appartato". Altra cosa è la missione, frutto maturo della fede. Solo nell'intimità con Gesù, innestati nella sua preghiera solitaria e staccata dal chiasso e dalle menzogne del mondo, solo nel cammino di conversione che è il seno fecondo della Chiesa, si può ricevere la rivelazione che schiude gli occhi sull'identità di Gesù. Come quelli di Pietro, aperti in quel luogo solitario ma che, per poter annunciare a tutti chi era Gesù, hanno poi dovuto vedere la propria realtà di peccato per sperimentare in essa il potere dell'amore di Dio capace di vincere peccato e morte. Doveva camminare e sperimentare ciò che gli era stato rivelato. Per questo, il segreto che Gesù ha "ordinato severamente" di mantenere, significava difendere se stesso e Pietro, proteggere dalla sua debolezza la missione e l'annuncio che avrebbe portato nei secoli. Era un segreto messianico che riguardava Gesù ma coinvolgeva anche Pietro, perché anche lui doveva prima morire nel rinnegamento per risorgere con Cristo nella sua misericordia. Anche noi dobbiamo percorrere un cammino che sigilli la fede nell'esperienza. Non si può far confusione: se i cristiani non spendono la vita annunciando il vangelo, se le parrocchie sono autoreferenziali, è perché non sanno chi è Cristo. Non ne hanno l'esperienza! Alle periferie, infatti, si va solo nutriti dalla liturgia che, proprio per questo e per preparare alla missione, nella Chiesa primitiva era celebrata in luoghi appartati, riservata agli eletti, ai battezzati, ai cristiani. C'è un "voi" che ci riguarda oggi, perché è chiamato a dare ragione del "ma" che ci separa dalla gente per essere inviati alla gente. Abbiamo bisogno di un luogo appartato, di una comunità dove risuoni la domanda di Gesù e trovi, nella fede di Pietro, la risposta che si fa, giorno dopo giorno, esperienza e vita. Gli occhi illuminati dalla fede vedono Gesù crocifisso nella propria storia, e riconoscono in Lui l'amore che vince il peccato e la morte. La professione di fede di Pietro infatti, si fa autentica nel crogiuolo della storia: egli è morto come Gesù, che aveva riconosciuto essere il Messia. Alle parole "Tu sei il Cristo" aggiunge così quel "per me" e "in me" che certifica la credibilità e l'autenticità del suo annuncio agli occhi degli uomini. Anche "per noi" Gesù è il Cristo proprio quando la sua Croce ci accoglie per condurci alla risurrezione, per testimoniare che Lui è il Cristo "in me" oggi, ovunque e dinanzi a chiunque.