giovedì 3 settembre 2015

Ritorno al monachesimo



Protestantesimo e vita contemplativa al seminario sul fondatore di Taizé. 

«Verrà il giorno in cui la supposta incompatibilità fra protestantesimo e vita monastica sarà completamente superata. Allora, per il protestantesimo, sarà stato come un soffio per lungo tempo perduto ma ritrovato. E, su questo cammino, fratel Roger sarà stato pietra miliare determinante, pioniere fecondo, testimone luminoso». Fra i relatori del seminario internazionale in corso a Taizé, dedicato al contributo di fratel Roger al pensiero teologico, il pastore Laurent Schlumberger, presidente del Consiglio nazionale della Chiesa protestante unita di Francia, ha tentato di smontare il cliché che vede, a partire dall’avvento della Riforma, fede protestante e comunità monastica su due strade diverse, quasi incompatibili.
Il rifiuto della vita monastica come «necessità», addirittura «precondizione» del protestantesimo, ha condotto vita ecclesiale e teologia protestanti a svilupparsi «senza vena monastica, senza un ritorno alle fonti di questa forma di vita comunitaria». Tra le principali ragioni, l’opposizione di Lutero (e poi di Calvino) ai voti monastici, «a causa del valore meritorio accordato loro davanti a Dio e perché stabilivano una divisione in seno alla Chiesa». Il sospetto è che i monaci volessero ottenere la salvezza mediante disciplina e ascesi proprie. Un eccesso. Ma nel ventesimo secolo, nelle comunità protestanti, si è tornati a pensare a una vita comunitaria che non si opponesse al Vangelo. Il giovane Roger si inserì in questa corrente di pensiero e, più tardi, con la Règle de Taizé «sarà particolarmente attento a porsi alla congiunzione fra la tradizione monastica e le affermazioni della Riforma», soprattutto in materia di professione di fede e carità.
Schlumberger conferma che tale fenomeno è in espansione. La riscoperta del monachesimo da parte del protestantesimo francofono sarebbe dovuto a tre fattori convergenti: ecclesiale (risveglio della fede e nuovo slancio di radicalismo evangelico), socio-politico (resistenza a tentazioni invasive o totalitarie di realtà sociali o di ideologie), internazionale (urgenza vitale, dopo le due guerre mondiali, di una riconciliazione fra gli Stati e fra i popoli). Sta di fatto che oggi il numero dei membri della Fraternité des Veilleurs aumenta, così come nelle comunità di Pomeyrol e di Reuilly, e a Taizé sempre più pastori vengono sulla collina ad accompagnare gruppi di giovani. «La vita monastica — ha affermato il relatore — appare come una possibilità reale di vivere concretamente» riconciliazione e unità. «Si offre come alternativa, pedagogia, centro di resistenza: resistenza all’accelerazione, non tanto con una lentezza imposta quanto con la regolarità di un ritmo; resistenza all’accumulazione, poiché essa invita a una logica del meno e non del più; resistenza all’abbandono dell’individuo isolato, con l’articolazione fra personale e comunitario, individuale e collettivo». La risposta una «all’esistenza polverizzata di fronte a istanze differenti che impongono gioghi concorrenti». E alla domanda, angosciante: «Che cosa giustifica la mia vita?».
Il teologo Michel Stavrou ha messo in evidenza le convergenze fra Taizé e l’Oriente cristiano: «L’appello alla semplicità è anche il messaggio di tutta la spiritualità del cristianesimo orientale, da san Isacco il Siro a san Silvano del Monte Athos, passando per i padri del deserto». Fratel Roger «era cosciente dell’importanza della povertà e della pace interiore come fonti di gioia. Sottolineava in particolare l’importanza, per i monaci, di celebrare la trasfigurazione di Cristo, premessa della nostra trasfigurazione». La gioia spirituale «è un tema centrale nel cristianesimo ortodosso», ha spiegato il teologo citando (per esempio) san Serafino di Sarov. Altra convergenza, la misericordia: Olivier Clément «amava ricordare che l’insistenza di fratel Roger sull’amore di Dio ha segnato la fine di un’epoca in cui, nelle differenti confessioni cristiane, si temeva un Dio che punisce». Per Stavrou, Roger si è rivelato attraverso la sua vita e i suoi scritti come un essere “filocalico”, «un vero innamorato della bellezza divina che egli scopriva nel mondo e nel volto del prossimo».
Anche Karen Scott, della DePaul University di Chicago, ha sottolineato che nelle parole di fratel Roger troviamo «il riflesso della consapevolezza che egli aveva dell’amore appassionato e tenero di Gesù risorto per lui e per ciascuno di noi, il calore di Dio, la gioiosa certezza del suo amore e della presenza di Cristo». Poi, due storie di stima e amicizia: l’arciprete ortodosso Vladimir Fedorov ha parlato dei rapporti tra Roger e Nikodim, dal 1963 al 1978 metropolita di Leningrado e Novgorod; la teologa Beate Bengard si è soffermata sull’arricchimento reciproco vissuto negli incontri fra il priore di Taizé e Paul Ricoeur.
«La speranza che ha caratterizzato tutta la vita e l’opera di fratel Roger — ha spiegato Marguerite Léna, religiosa della comunità apostolica di Saint-François-Xavier — non era semplicemente una disposizione virtuale, un’attitudine, ma un modo concreto di vivere e di agire: la speranza teologale in tutta la sua piena realtà ed effettività storica, oltre che nella sua più alta tensione escatologica, quell’“insperato” che ha dato anche il titolo a un suo libro. Era una speranza “in atti”, più tradotta e manifestata da azioni che dichiarata e insegnata».
Amélé Adamavi-Aho Ekué, teologo protestante, ha approfondito il contributo di Roger all’etica cristiana, mentre Constantin Sigov, dell’Università nazionale di Kiev Mohyla Accademia, si è soffermato sul “paradigma della fiducia” testimoniato a Taizé, che «amplia il tempo disponibile per le relazioni interpersonali, le libera dallo stress generato dall’urgenza, dalla tirannia dei contatti affrettati ed effimeri, condannati a scomparire come piatti usa e getta. Rivelando l’orizzonte di rapporti a lungo termine (amicizia, matrimonio)», la fiducia manifesta «il cammino della persona umana nel tempo» e al di là del tempo.
Secondo Julija Vidovic, dell’Istituto cattolico di Parigi, quella di Roger è stata una vita illuminata dalle Scritture. «Per causa di Cristo e del Vangelo» (cfr. Marco, 10, 29): questa citazione — ha spiegato la relatrice — «torna a più riprese e dà l’impressione che non solo tutta l’opera ma anche tutto il pensiero e tutta la vita di fratel Roger si costruivano attorno a essa. È evidente che Roger, come i padri della Chiesa che amava leggere e citare, identificava il Vangelo con il Cristo».
L’arcivescovo Thomas Menamparampil, amministratore apostolico di Jowai, ha ricordato come fratel Roger abbia visitato più volte l’Asia, attingendo alle «vibrazioni religiose» del continente e costruendo un vincolo molto forte con esso. Lo testimoniano l’invio di fratelli della comunità in Bangladesh e in Corea, la sua presenza a raduni dei giovani e a incontri di preghiera in India e nelle Filippine, la nomina di fratelli a ministeri itineranti attraverso i Paesi asiatici, compresa la Cina.

L'Osservatore Romano